Oh, i soliti Cohen!

Prima un venditore di Oldsmobile di Minneapolis in Fargo, uno slacker incasinato nel Il grande Lebowski, un saldatore texano reduce dalla guerra del Vietnam in Non è un paese per vecchi, uno sceriffo non più giovane e alcolizzato ne Il Grinta.

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Ora il nuovo pupillo dei fratelli Coen è un cantante squattrinato del Greenwich Village con gatto in braccio e chitarra in spalla che si esibisce nei pub e usa un linguaggio scurrile. Tornati sia alla sceneggiatura che alla macchina da presa (l’ultima volta era stato nel 2007), i due fratelli premi Oscar ci raccontano, iniziando sulle note del brano “Hang me, oh hang me”, i progetti, le disgrazie, i divani, le persone e le canzoni che il musicista folk Llewyn Davis vive, vede, incontra e canta. Llewyn è il classico personaggio che riesce a rendersi simpatico al pubblico. Tutti dentro la storia non lo sopportano e preferirebbero che stesse fuori dalle loro vite, ma alla prima marachella, che in realtà è la millesima, lo spettatore lo guarda con quell’espressione che si ha quando si parla di un ragazzino monello, ma irresistibile e con un mezzo sorriso comprensivo sul viso esclama “Oh, il solito Llewyn!”. Pensando solo alla sua musica, non guarda chiaramente al futuro, immaginandolo solo pieno di macchine volanti e hotel sulla luna; è innamorato di una donna impegnata, in continua ricerca di un posto dove dormire e segnato da un tragico lutto, Llewyn Davis non ha un posto nel mondo e prova disperatamente di trovarne uno nella discografia, compiendo per questo anche un breve e bizzarro viaggio verso Chicago. Se per alcuni il canto è una gioiosa espressione dell’anima, per il nostro nuovo amico è ben altro: è passione, tormento, voglia di riscatto, è un canto intimo che viene dal profondo e diventa troppo personale per aprirsi al grande pubblico. E tu, seduto a guardare, speri in nome della musica e della fortuna che ce la faccia, che le cose a quel disastroso uomo vadano a buon fine. A proposito di Davis è un film che si chiude nello stesso modo in cui si è schiuso, un cerchio che racchiude in sé poesia, personaggi stravaganti (da citare il cameo di John Goodman, immenso come sempre), attori che fanno da cantanti e cantanti che fanno da attori, lo stampo inconfondibile di Joel e Ethan Coen e una colonna sonora protagonista formata principalmente da pezzi tradizionali americani. Un film che pur lasciandoti un senso di dispiacere, ti fa passare due ore all’insegna della buona vecchia musica e ti insegna che se una canzone non è mai stata nuova e non invecchia mai è una canzone folk.

Martina Barone ha 17 anni e studia al liceo Pilo Albertelli di Roma

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  1. andrea monda ha detto:

    Bel pezzo Martina, hai ragione: Lewis “non guarda chiaramente al futuro”, il film come tu cogli è circolare e non è un caso che il gatto (altro protagonista del film) si chiami Ulisse. I Coen dopo un po’ di Bibbia ne Un uomo serio e Il grinta, ora sembrano tornati al loro solito paganesimo.. ma che film e che musica, w il folk!

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