Vero come la fantasia

Numerose sono le accezioni del termine “fantasia”. La definizione più neutra collega il vocabolo alla capacità, propria della mente umana, di creare immagini e rappresentarsi qualcosa, che sia corrispondente o meno alla realtà. Quest’ultimo inciso è in parte rivelatorio della sfumatura più comune che solitamente vien data alla parola “fantasia”, ovvero quella che la vorrebbe quale sinonimo di “invenzione”.

Chi “ha molta fantasia” è considerato un creativo, chi “si perde in fantasie” è invece un ingenuo, chi “racconta fantasie” è infine un bugiardo. In tutte queste accezioni si dà per scontato che la fantasia coincida con l’invenzione, e che entrambe a loro volta rappresentino un modo di discostarsi dalla realtà, quando non addirittura di mistificarla. In un passo di Cecità, ad esempio, Saramago utilizza il termine quale sinonimo di menzogna, affermando che

“la vita è come un otre, dove fantasia e verità si confondono, Noi siamo tutti ciechi, Ciechi che infilano la mano nell’otre e non sanno cosa tireranno fuori”.

La fantasia, dunque, intesa come contrario della verità. E in tal senso si esplicano anche altre accezioni del termine applicate ai campi delle arti: dai romanzi fantasy e di fantascienza collocati in mondi non reali alle fantasie pittoriche, anche dette capricci, che raffigurano luoghi inesistenti. Eppure, per un verso, il fantasy e la fantascienza spesso utilizzano il filtro dell’irrealtà proprio per raccontare altrimenti la realtà; per altro verso, i pittori nei capricci compongono i loro scorci immaginari riprendendo per lo più paesaggi e motivi architettonici reali. Talvolta può anche accadergli di trovarsi nella situazione paradossale narrata da Julio Cortázar, nel racconto Clio, contenuto in Bestiario, dove un pittore di fantasie, senza averne coscienza, dipinge il luogo realmente esistente in cui, anni dopo, incontrerà la morte.

Alla fine del racconto di Cortázar resta al lettore il dubbio se quel luogo dipinto sia “presentito” dal suo autore ovvero se sia da egli portato ad esistenza. In altri termini la domanda che sorge è se l’invenzione contenuta nel quadro preceda la realtà o se viceversa sia la realtà a uniformarsi al quadro.

Un simile dubbio è instillato dal finale di Vita e opera di Norbert Quaid, in Finzioni, nel quale Borges riporta la biografia immaginaria di un falsario che in vecchiaia, smarrita la memoria, si ritrova inconsapevolmente a falsificare un suo stesso quadro giovanile, rendendolo infine un originale.

Entrambe le storie diventano dunque delle indagini su quel labile confine che si colloca tra fantasia e realtà. Ma sono delle indagini senza crimini né colpevoli, in cui la soluzione del mistero è rimessa al lettore.

In tale direzione può giungere in soccorso un aforisma di Pessoa, che Cortázar riporta come epigrafe del proprio racconto:

“La fantasia è l’arte di trovare la realtà nell’irrealtà”.

La fantasia come invenzione e la fantasia come “arte del trovare la realtà” si collocano, invero, lungo la medesima direttrice. Inventare deriva infatti dal latino invenire, che significa per l’appunto “trovare”, mentre fantasia dal greco ϕαντασία, derivativo di ϕαίνω, traducibile come “mostrare”. Ecco, dunque, il vero scopo di invenzioni e fantasie, ossia: trovare e mostrare la realtà.

È questo un tema ricorrente, soprattutto tra chi di fantasie si occupa. Ricorda, a tal proposito, Chesterton in Ortodossia:

“Quando ero ragazzo già avevo intuito confusamente che negli antichi miti, in quelle meravigliose e turpi invenzioni, si celava più verità di quanta non ne potessi apprendere dalle colonne della Pall Mall Gazette“.

La contrapposizione tra la verità secolare contenuta nei miti e la verità usa-e-getta raccontata dai quotidiani appare, in tempi, di post-verità e fake news terribilmente attuale. Il mito, così come il classico, è sempre vero perché parla di quei motivi che stanno a fondamento dell’animo umano, dunque sempre e per sempre reali. Il quotidiano, invece, reca con sé una verità mutevole e dimenticabile, soggetta infatti a smentite, opinioni contrastanti ed errata corrige.

In un’epoca che ha abbandonato le “grandi narrazioni” e ha pensato di poterle sostituire con la cronaca riecheggia l’insegnamento contenuto nel frammento 51 c di Eraclito, secondo il quale:

“Sapienza è intuire che nel canto dell’Aedo è celata la realtà di tutte le cose”.

La finzione dell’arte ci consente di comprendere le verità della vita. Come in un gioco di prestigio, il destinatario dell’opera artistica viene continuamente distratto, illuso e sorpreso, per poi essere lasciato con una domanda irrisolta nella testa.

Nessun gioco di prestigio, tuttavia, può dirsi realmente riuscito senza il disvelamento finale ed è dunque giunto il momento di confessarvi che tutte le citazioni riportate in questo editoriale sono di fantasia. Né le frasi virgolettate né le trame dei racconti sono mai state scritte dagli autori a cui le ho, indegnamente, attribuite. Eppure, sono tutte vere.

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