La trama del mondo – Il filo
Il tema delle Officine BC per l’anno 2022/2023 avrà come titolo “La trama del mondo” e seguirà un… filo conduttore che, nelle nostre intenzioni, ci porterà ad immaginare metaforicamente il “mondo” come un laboratorio di tessitura. Un viaggio dove continuare a fare esperienza concreta di tutto ciò che è letteratura, arte e, in fondo, ciò che siamo noi, le nostre memorie, i nostri ricordi, le nostre storie, che ci circondano e ci creano, giorno dopo giorno.
[…] Tela sottile, tela grande, immensa,
A oprar si mise […][…] Finchè il giorno splendea, tessea la tela
Superba; e poi la distessea la notte
Al complice chiaror di mute faci. […]
È Penelope, nel racconto di Omero nel secondo libro dell’Odissea. Penelope siede davanti al telaio: dobbiamo immaginare un telaio a pesi, il primo tipo di telaio ad essere inventato dall’uomo sin dal periodo neolitico e rimasto in uso presso i popoli del Mediterraneo anche dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Una macchina molto semplice che, rispetto ai telai moderni, comincia a costruire il tessuto nella sua parte alta.
La tela di Penelope, nota nella letteratura come la tela dell’inganno, nasce su uno strumento che la crea “sottosopra” e in qualche modo le conferisce il simbolico DNA di una situazione scombussolata e dolorosa: rimandare giorno dopo giorno e ancora le nuove nozze mentre in cuor suo la regina sente che Ulisse non è morto. Come si conviene ad una regina, la tela è grande, immensa e sottile, quindi di ottima qualità e fattura.
Qualche verso oltre, Omero, rimanendo legato all’immagine della tessitura, fa cenno alle Parche, le inclementi divinità del destino immutabile: Cloto che fila il filo della vita; Lachesi che dispensa i destini e li lega a ciascun individuo stabilendone anche la durata; Atropo che taglia inesorabilmente il filo della vita al momento fissato.
[…] Poichè già Ulisse tra i defunti scese,
Le mie nozze indugiar, ch’io questo possa
Lúgubre ammanto per l’eroe Laerte,
Acciò le fila inutili io non perda,
Prima fornir, che l’inclemente Parca
Di lunghi sonni apportatrice il colga. [..]
Il contesto omerico è quello di un mondo al femminile, che compie attività tipicamente muliebri, importanti e al tempo stesso necessarie; un universo che, nella quotidiana manualità, è fatto anche di dolore e di mistero.
In nuce troviamo qui la trama del mondo: azioni, pensieri, sensibilità e sentimenti che si dipanano in un intreccio serrato e vorticoso.
Non esiste trama senza ordito. I fili tessuti orizzontalmente (trama) non sono nulla se non incontrano i fili tessuti verticalmente (ordito).
E dalla magia dell’intreccio nasce il tessuto, la tela. Il mondo.
Ogni tessuto, ogni pezza ha un dritto e un rovescio, un positivo e un negativo, un dentro ed un fuori. Così come ogni pezza ha una cimosa, il bordo non tagliato, non finito che ne determina la larghezza, ma anche una sorta di confine, di limite, di soglia.
Eppure niente si crea se non dall’unità di misura del tessuto: il filo. Prima di avere il filo si carda la lana: la si pulisce dalle impurità, si districa l’ammasso e si rendono parallele le fibre tessili per consentire le successive operazioni di filatura.
Apollonio Rodio racconta nelle sue Argonautiche il viaggio di Giasone alla ricerca del vello d’oro, il manto dell’ariete Crisomallo che aveva il potere di guarire ogni ferita. La pelle dell’animale, il pelo prima della concia e della lavorazione è lo strumento che i pastori cercatori d’oro della Colchide utilizzavano per setacciare le acque dei fiumi e trattenere sulla pelliccia le pagliuzze d’oro fino. Una sorta di telaio per catturare pietre preziose e per imprigionare la bellezza, la ricchezza.
Si fila la lana, la canapa, il lino, la seta; ma anche l’oro, l’argento, il vetro, lo zucchero. Filare, ovvero ridurre in fili ha anche un significato più esteso: non solo si usa per indicare il baco da seta che fa il bozzolo o il ragno che tesse la tela, ma anche il lasciar scorrere con lentezza e continuità regolare. E inoltre, procedere, avanzare regolarmente o velocemente (detto di imbarcazioni, di automobili, di motociclette); filar dritto, filare d’amore e d’accordo, il discorso fila: non ci si discosta da una linea retta, non si cede a deviazioni o a tentennamenti.
Il filo è una guida. Il filo e la tessitura sono, pure, un emblema della scrittura: il rigore e la disciplina del lavoro creativo accanto alla libertà dell’invenzione, del dare vita alle parole.
Come ha scritto Bartolo Cattafi nella sua poesia Creazione (da Segni, Scheiwiller 1986)
In quel muro in quel foglio
nell’area bianca che la tua mano cerca
il mignolo bagnato nell’inchiostro
sopra strisciato con fiducia
azzurro corso d’acqua rapinoso
vena arteria in cui scorre
a occhi chiusi il mondo.
Scrivere e tessere hanno notevoli punti di contatto anche nel linguaggio: si chiama messa in carta la rappresentazione grafica della tessitura, che comprende l’intero complesso di segni e di istruzioni con cui si può materialmente costruire un tessuto.
Un tessuto è rappresentato con uno schema quadrettato con i quadretti colorati in bianco e nero senza che i due colori abbiano un legame con l’effettivo colore finale dei fili: i quadretti bianchi indicano che il filo d’ordito passa davanti a quello di trama (alzata), quelli neri che il filo di trama passa davanti a quello d’ordito (riposo).
Una vera rappresentazione allegorica della vita o, se si preferisce, del mondo. Un mondo che vive in tensione continua tra presente, passato e futuro. Non diciamo forse che i fili della memoria si annodano? A questo proposito, Liliana Segre (Il mare nero dell’indifferenza) parlando dell’importanza della testimonianza orale nel racconto della Shoah, scrive: “Che la memoria sia un dispositivo fallace, il cui movimento si articola per selezioni e lacune, poco importa: il racconto dei testimoni si fa sapere condiviso, annoda i fili con la collettività; il linguaggio, da strumento di trasmissione, si fa strumento di relazione”.
I fili, qui e nel mondo, appaiono come elementi separati che diventano vivi (solo) mettendosi in relazione, con il compito di creare quella tela grande e sottile attraverso cui guardare oltre.