La ghianda
Ai margini di un bosco una quercia secolare stendeva i rami ricchi di foglie e di ghiande nel sole ancora caldo di settembre: sembrava allargarsi ad accogliere la luce e il calore e nello stesso tempo offriva ai suoi piedi ombra preziosa nei momenti di afa ancora frequenti e rifugio ad uccelli, piccoli roditori ed insetti.
Una ghianda attaccata ad un ramo dalla punta del rugoso cappello color nocciola ben intonato col vestito marrone rigato da sottili striature verticali, si lasciava cullare dalla brezza e curiosa guardava tra le foglie dell’albero tante ghiande piccole e grandi che, sospese come lei ai rami dalla punta del buffo cappello, chiacchieravano tra loro su quello che avveniva nel bosco in un intrecciarsi di domande, risposte, esclamazioni di gioia, che si mescolavano al fruscio del vento e dal vento erano portate lontano.
C’era stato il giorno prima un ragazzo che, passeggiando, si era fermato a guardare la quercia: era rimasto in silenzio per qualche tempo, pensieroso, poi si era avvicinato ed aveva abbracciato il tronco poggiandoci contro il viso in parte nascosto da lunghi capelli neri. La ghianda non sapeva quali segreti egli avesse confidato alla madre né conosceva le sue risposte: si era accorta però del sorriso che gli illuminava il volto quando, buttando indietro i lunghi capelli neri con un movimento deciso del capo, si era allontanato fischiettando.
Ogni giorno poi alla stessa ora arrivava il filosofo: girava per un po’ guardandosi intorno con attenzione e sfiorando in una carezza rapida qualche ramo più basso carico di ghiande, poi sedeva a terra appoggiando le spalle al tronco e volgeva gli occhi verso un punto indeterminato quasi a guardare più dentro che fuori, proteso a scoprire qualcosa che gli mancava.
Passerotti, fringuelli, cinciallegre, merli volando da un ramo all’altro, cercavano di rispondere alle domande delle ghiande curiose: che cos’è quell’azzurro lontano che sembra incresparsi e che s’infiamma al tramonto come se un grande incendio scoppiasse improvviso, che cosa c’è al di là del bosco, da dove vengono le nuvole che in certi giorni oscurano il sole e portano tristezza, in altri si sciolgono e lasciano cadere giù l’acqua che pulisce e rinfresca?
E’ il mare, dicevano i passeri, è il sole che al tramonto tinge di rosso le acque, di là del bosco ci sono le case abitate da uomini, donne e bambini… ma per le nuvole, aggiungevano misteriosi, è più difficile da spiegare, vengono da una grande… trasformazione… l’acqua evapora dalla terra, poi si condensa e…
Trasformazione, dicevano le ghiande, che cos’è una trasformazione, volevano sapere, come avviene…
Ricordate il bruco che si era chiuso in un guscio di fili? Lo avete visto oggi uscir fuori cambiato, con le ali di tanti colori che lo hanno portato via leggero a cercare il nettare nei fiori? È così nella natura, tutto si trasforma, tutto… muore per…
La voce dei passeri si era abbassata mentre pronunciavano la parola che più d’ogni altra metteva paura e già le ghiande non volevano più sapere: si stringevano col cappellino nocciola al ramo e bevevano voraci un sorso di linfa che le faceva sentire vive, una cosa sola con la grande madre, la quercia che dava sicurezza col tronco ben piantato in terra e le radici che si stendevano intorno per un largo raggio.
E’ bello essere al mondo, pensava la ghianda, dimenticando il discorso dei passeri e il pensiero della morte; è bello essere cullate dalla brezza e riscaldate dal sole, succhiare la linfa che arriva dal ramo e rinfrescarsi con la rugiada che la notte regala: sembra quasi che tutto intorno ubbidisca alla volontà di qualcuno che misteriosamente pensa come renderci felici.
E’ bello vivere, pensava, anche se qualcuna tra loro si lamentava del troppo caldo o del troppo freddo, del vento impetuoso che a volte scuoteva la quercia e sembrava lottare con lei per buttarla giù o dei fulmini che, si diceva, una volta avevano bruciato alcuni rami.
Un fruscio tra le foglie e poi un rumore la incuriosì.
Una di noi è caduta, sentì dire.
Caduta, chiese, ma come? Dov’è andata?
Una ghianda più informata le raccontò quello che lei stessa aveva appreso sulla loro vita: ad un certo punto si staccavano dal ramo, cadevano in terra senza più linfa e … morivano…
Ritornava la parola che a tutte faceva paura.
Morire, chiedeva lei, che cos’è morire, che cosa succede nella terra, ma nessuno sapeva risponderle.
Solo un vecchio passero volando verso il nido tra le foglie, le aveva confidato il gran segreto: tutto ad un certo punto deve finire, ogni creatura deve morire ma per rinascere poi, la trasformazione è una legge nel mondo. Una cosa sola è importante, le confidò guardandola con affetto: conservare dentro di sé il sogno della vita nuova che da ogni morte scaturisce, nel suo caso il sogno di una grande quercia che da lei piccolina avrebbe potuto nascere.
Da me, si diceva la ghianda confrontandosi con la quercia enorme, com’è possibile che da me tanto piccola nasca qualcosa di così imponente?
E come avverrà, chiese, ma il passero era già volato via a procurarsi il cibo per la nidiata pigolante.
Poi il pensiero della morte la abbandonò per un po’ di tempo.
Passavano i giorni tra le visite del filosofo, le corse dei bambini nel bosco, i baci degli innamorati che sul tronco lasciavano traccia del loro passaggio, incidendo le iniziali dei loro nomi: a spezzare la monotonia ci pensava qualche acquazzone improvviso dopo il quale tornava a farsi vedere tra le nuvole il faccione del sole che però sembrava non avesse il calore di sempre.
Un giorno la ghianda si accorse di sentirsi stanca, le pareva che la linfa non arrivasse a nutrirla come prima, che il buffo cappellino non fosse più così saldo nell’attacco al ramo, che non ci fossero novità nel bosco: si annoiava ad ascoltare il cicaleccio dei passeri tra i rami e le domande delle sorelline più giovani e curiose…
Una ventata fredda le provocò dei brividi, una più violenta la staccò dal ramo…
Cadendo fu sorpresa di non provare dolore, sentiva solo la mancanza della linfa che le dava la vita e la solitudine per la separazione dalle sorelle.
Un’ombra le tolse la debole luce del sole: la scarpa di un contadino che tornava a casa fischiettando allegramente, si abbatté su di lei spingendola nella terra, al buio.
Ricordò allora il consiglio del passero e mentre moriva tenne stretto dentro di sé soltanto un ricordo, l’immagine di una grande quercia che ai limiti del bosco stendeva al vento i rami coperti di foglie verdi e di ghiande, ognuna con il lucido vestito marrone e il buffo cappello nocciola col quale si teneva attaccata all’albero.
Passò molto tempo…
Tornarono un giorno due innamorati a passeggiare vicino alla quercia testimone muta dei primi gesti d’amore: lei sorrideva e sembrava ancora più bella nell’abito largo color del cielo ben intonato all’azzurro degli occhi e all’oro dei capelli sciolti sulle spalle, lui stendeva la mano ad accarezzare con gesto tenero e protettivo il pancione in cui un nuovo essere faceva sentire la sua presenza, con qualche movimento dei piedi e delle braccia che il ragazzo rilevava con un sorriso di compiacimento.
“Guarda – disse ad un tratto – è nata una nuova quercia” ed indicava con la mano un arbusto che, poco lontano, allargava nel sole d’aprile i rami verdi con le caratteristiche foglie palmate, tremando alla carezza leggera del vento.
bello un po lungo
Una lodevole e brillante pagina di cronaca quotidiana, quella che nessuno più evidenzia perché non urla, non fa rumore.Complimenti.