Con i buoni sentimenti non si fa buona letteratura?

di Agata

Grazie alla frequentazione del Laboratorio, ho avuto occasione di lanciare una piccola provocazione, chiedendo se effettivamente “Con i buoni sentimenti si fa sempre della cattiva letteratura”.
In realtà l’affermazione, da me edulcorata sottoforma di domanda (“Stas secondo te con i buoni sentimenti non si fa buona letteratura?”) non è mia, magari ne fossi all’altezza! È di Andrè Gide e credo sia oggi molto attuale.

Il “pretesto” nasce dalla lettura di un trafiletto di Luigi Sampietro pubblicato sulla pagine “letture” dell’approfondimento culturale della “Domenica” del Il Sole 24 Ore 5 Novembre. L’articolo
a proposito della morte dello scrittore americano William Styron si Interroga sul punto di vista di un calvinista come Andrè Gide.
Interessante credo,soprattutto relativamente alla letteratura contemporanea.

William Styron ha costituito un “pretesto privilegiato” proprio in virtù dei suoi argomenti; la guerra, la schiavitù e la Shoa (Sophie’s Choice) e sempre dalla parte dei “buoni sentimenti”.

Quello che mi piacerebbe approfondire è che è vero che autori come Steinbeck (ma anche molti altri) hanno fatto letteratura con i buoni sentimenti, ma è anche vero che la loro letteratura, oggi, ci appare come una letteratura assolutamente datata ed inadatta nel linguaggio, come nella morale all’attualità e soprattutto ai nostri “modi”; libri come “furore” e “uomini e topi” (che ho amato molto leggere)non potrebbero se fossero scritti oggi avere la forza evocativa che hanno avuto quando sono stati pubblicati, non c’è alcun dubbio. Letti nella prospettiva dell’epoca sicuramente è un’altra storia.

Io per prima, scopro di non riuscire a scrivere di un sentimento positivo, ne relativamente al contenuto rispetto al quale mi parrebbe di domandarmi in conclusione “ebbene? E il dramma dov’è?” Tanto meno rispetto al linguaggio; lo “zucchero filato” della dolce Stefania nell’ambito del laboratorio, ne è stato un esempio calzante, non è piaciuto ai più! Come spesso accade, non ci piace leggere un vocabolo che indichi chiaramente ottimismo o sdolcinatezza (con questo non intendo dire che Steinbeck o Styron parlino di zucchero filato!). Cerchiamo in sostituzione una metafora, ci arriviamo magari con l’informazione, deve nascere in opposizione ad un evento drammatico (lotta tra bene e male)o al più lo scriviamo in forma sarcastica (e dunque ben più amara …), altrimenti siamo in tanti convinti che il “buon sentimento” non funzioni.
Parole come “dolce” “carezzevole” “conciliante” destano pudore nell’atto dello scriverle.

Tuttavia i grandi Maestri della letteratura come Steinbeck e lo stesso Styron ci danno prova del loro prodigioso talento letterario proprio attraverso i buoni sentimenti.

Ed il pretesto di un breve racconto di una “neofita” del laboratorio, mi ha riportato alla mente quella “provocazione” che intendevo rendere pubblica. A parte la naturale consapevolezza del fatto che di fronte a della buona letteratura forse nemmeno ce lo domandiamo se i sentimenti descritti siano così tanto buoni o cattivi (e poi in fondo Andrè Gide era pur sempre un calvinista!), credo che la distanza o meglio il pudore per i “buoni sentimenti” sia un tema di profonda attualità letteraria. Mi domando infatti se personaggi alla “Garrone” ed episodi come la “piccola vedetta lombarda” del nostrano, sdolcinato e tanto poco amato ma tardo-ottocenetesco De Amicis, funzionerebbero oggi. Sicuramente “Torino Criminale”, Napoli criminale”, “Gomorra”… sì.

Leggi i 4 commenti a questo articolo
  1. Stas' ha detto:

    Flannery O’Connor, ad esempio, affermava con grande determinazione che “con i buoni sentimenti non si fa letteratura”. E non era certo una donna cinica. Voleva dire che se uno scrittore si propone di suscitare nel lettore dei buoni sentimenti o di trasmettere una morale positiva o di suggerire un senso edificante dell’esistenza attraverso la messa in scena di personaggi pieni di buoni sentimenti e di buone azioni, è impossibile che riesca a produrre della buona letteratura (per chi ancora non lo avesse fatto, leggetevi l’indispensabile “Il territorio del diavolo” della O’Connor). La scrittrice della Georgia era consapevole del fatto che la vita non è fatta solo di buoni e cattivi sentimenti, di uomini buoni e di uomini cattivi che si muovono e si scontrano su uno sfondo bidimensionale, come in un teatro di burattini. La vita di ogni uomo (e, quindi, quella di ogni personaggio) è immersa in un “mistero” (ovvero in qualcosa che non possiamo mai capire o definire completamente) in cui il Bene è una possibilità offerta gratuitamente ad ogni uomo/personaggio, soprattutto quando i “cattivi sentimenti” tengono banco. L’accoglienza o meno di questa possibilità, la lotta feroce che avviene nella coscienza dell’uomo/personaggio (spesso inconsapevole di ciò che gli accade dentro) è il motore di ogni storia vera e, quindi, di ogni buona narrazione.
    Se le cose stanno così – e io sono d’accordo con la O’Connor – la buona letteratura è quella in cui i buoni sentimenti dei personaggi, i loro comportamenti edificanti scaturiscono solo DOPO che questa lotta si è conclusa nell’accoglienza di quell’offerta di Bene che il personaggio, fino a un minuto prima, era libero di accogliere o meno. In altre parole, la persona/personaggio non è in grado di generare da solo dei buoni sentimenti ma solo di ACCOGLIERE o meno il Bene, la Bellezza, la Sapienza che gli viene offerta come possibilità. Pertanto, è assolutamente possibile che in letteratura vi siano personaggi pieni di buoni sentimenti, ma questi sono la conseguenza di una vicenda drammatica.
    Provate a leggere il recente e splendido “La puttana del tedesco” di Giovanni d’Alessandro (Rizzoli, 2006) o quel “La ragazza di Bube” di Carlo Cassola che quei tristi figuri delle avanguardie avevano considerato alla stregua di un fotoromanzo o di un romanzo rosa. Ma il loro problema stava nel fatto di essere refrattari e allergici a qualsiasi forma di bene o di speranza, nella loro profonda ignoranza della vita. Ma questa è un’altra storia. Ciò che conta sapere è che i “buoni sentimenti” possono esserci in una narrazione perchè possono far parte della vita come conseguenza di una scelta di accoglienza di un bene che non ci appartiene, ma che ci viene offerto in ogni momento gratuitamente. Se questa dinamica di offerta e di scelta non è presente, non rimangono altro che i “buoni sentimenti” e una letteratura da quattro soldi.

  2. Katia M. ha detto:

    Mi viene in mente una canzone di Edoardo Bennato, “La fiera dei buoni sentimenti”, e mi soffermo su questo titolo, addirittura la “fiera”: come dire “su, accorrete, facciamone pure sfoggio!”. Perchè quando tutto va bene dà quasi fastidio, perchè lo sdolcinato non va più di moda e genera indifferenza e piattume, perchè ognuno di noi ha bisogno ogni giorno di fare i conti con il lato più oscuro di sè e con quello degli altri e questo determina caos, chiamiamolo pure “male”, scompiglio, senza il quale però non riusciremmo mai a far emergere quello che veramente “siamo in grado di…” essere, ciò che per ognuno è importante e che vale la pena di salvare.
    Come scrive Stas’ non è che i buoni sentimenti non portino ad una buona letteratura, ma “da soli”…non bastano, per cui anche ai cattivi, in fondo, bisogna in un certo senso dire grazie, dal momento che rendono possibili le letture che più ci appassionano.
    E’ un pò come gli oramai illeggibili diari che scrivevamo da piccoli… io difficilmente scrivevo se stavo bene, se ero felice.

  3. andrea branco ha detto:

    quello che frega, per me, è l’aggettivo. solo dire che ci sono sentimenti “buoni” mi sembra un errore. ci sono i sentimenti.
    e con i sentimenti si fa buona letteratura. invece, con il pensiero di ciò che i sentimenti pensiamo debbano essere, se ne fa di cattiva. credo.

  4. domenica ha detto:

    Il sentimento interessa il cuore che è la parte migliore dell’uomo, anche se è spesso quella che ti fa soffrire di più. Certamente con i sentimenti,buoni o cattivi che siano si fa sempre buona lettura perchè essi sono stimolanti.

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