Colori come desideri

Provo a riflettere sulla “realtà” non come essa mi appare e la percepisco, ma come la descrive quel ramo della fisica che studia i fenomeni luminosi, l’ottica. Quest’ultima definisce un determinato colore come un’onda radio-magnetica che possiede una determinata frequenza e lunghezza d’onda (parole di un mio collega di scienze). Ora, sappiamo che quando la luce investe un oggetto, se questo ci appare bianco, significa che riflette tutte le onde luminose il cui fascio costituisce la luce, se risulta nero significa che le assorbe tutte (come fosse in una stanza buia), se ci sembra, ad esempio rosso, significa che il rosso è proprio l’onda riflessa: Cioè, dico io, il colore che noi vediamo è proprio ciò che non appartiene alla cosa. IL COLORE ESPRIME UN TIPO DI MANCANZA DELLA COSA. Ontologicamnte esprime una precisa mancanza.

Passo ora a considerare le forme degli oggetti. Le cose e noi stessi abbiamo dei contorni, dei confini spaziali che sono anche dei limiti. Grazie ad essi noi entriamo in relazione con la realtà circostante e con gli altri; senza limiti saremmo tutti una gelatina indistinta. È il limite, dunque, che concorre a definire la nostra identità. Se dai contorni passiamo ai colori, si può forse dire che il colore è anch’esso il loro confine, il loro limite cromatico. Mi piace pensare che le creature invochino una relazione proprio attraverso i loro limiti e le loro mancanze. I COLORI COME DESIDERI…

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  1. paolo pegoraro ha detto:

    mmm… ne consegue che le cose bianche sono le più mancanti… ne terrò debitamente conto per il mio intervento, grazie mille!

    peg-

  2. Marianna Russo ha detto:

    Proprio così, senza contorni non avremmo identità. Il limes è termine necessario e al contempo soglia di un infinito che si proietta al di là di esso, e che definisce l’altro da sé, sia esso dimensione spaziale o dimensione umana, quale può essere l’identità di un’altra persona.
    Mi viene da pensare a Medardo Rosso, in merito al nesso fra contorni e colori, e in merito al continuum cui alludi quando parli della gelatina indistinta. Quant’è bella la sua poetica artistica! E Rodin, con il suo Balzac? Nella vita la necessità dei contorni è fisiologicamente indispensabile, e il colore delle cose è loro marca distintiva, al di là degli insegnamenti dell’ottica e delle varie teoria sui colori, quali quella goethiana, che ci insegnano che la miscela dei vari cromatismi del disco ottico dà il bianco – colore di un’albedo alchemica – e che l’assorbimento di tutte le spinte cromatiche in un fascio di luce da parte di un oggetto, produce il nero, il colore della nigredo esistenziale. (Il colore, al di là di questi studi, è quello che l’uomo vede animare una cosa). Ma nell’arte il senso del continuum, del non finito michelangiolesco, è possibile e ha prodotto meravigliosi capolavori. Ed è meravigliosamente poetico l’accennare, l’alludere delle forme, che nel loro mancato rifinimento sono portatrici di una spinta all’infinito, di un dileguarsi, che non è un’estinzione, ma un protendersi dove gli spazi sono più ampi. Grazie per il tuo spunto.

    Marianna Russo

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