La poesia ha tante voci

poesia>La poesia ha tante voci, è duttile, malleabile, accoglie e regala, viene da lontano e si apre con disponibilità alle voci del dire, secondo i desideri, gli orientamenti, le aspettative e le urgenze esistenziali dell’uomo nel tempo del suo vivere. Talvolta la poesia si è fatta voce dell’uomo che vuole parlare con la divinità, è stata sentita come forma speciale per dialogare con chi speriamo ci ascolti e ci risponda, al di là di ogni umana certezza. Per questo la poesia fin dai primordi dell’esperienza culturale e artistica dell’uomo, in luoghi e culture diverse, si è fatta preghiera: è questa una costante antropologica. Per parlare con la divinità si è sempre preferito usare un linguaggio creato appositamente, caratterizzato dalla connotazione espressiva, dalla creatività metaforica, dal ritmo e dalla musicalità, sovente sottolineata da un vero e proprio accompagnamento musicale. L’uomo per parlare con la divinità ha usato da sempre tutta la forza delle sue potenzialità espressive, per dire di sé e per chiedere per sé e per gli altri, per adorare e venerare.
Oggi ci possiamo chiedere se la poesia possa ancora essere e farsi preghiera, in questo nostro tempo di sicurezze per lo più false e apparenti, di inquietudini e di interrogativi. Se guardiamo al passato immediato rileviamo che la voce dei poeti tardo novecenteschi, soprattutto in Italia, ha espresso domande in un atteggiamento di ansia di ricerca, tra dubbi e incertezze, che hanno mostrato desiderio di fede più che possesso di verità.
Può essere interessante indagare attraverso quali forme espressive si può attualmente recuperare e riproporre una poesia religiosamente positiva, che faccia della certezza della fede il suo retroterra e il suo bagaglio ispiratore. Una poesia che trovi forme adatte alla sensibilità espressiva, esistenziale e psicologica di oggi per esprimere certezze antiche, quelle che derivano dall’accettazione della rivelazione cristiana consegnata agli altri attraverso il filtro delle personali difficoltà e inquietudini.

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  1. Annamaria Manna ha detto:

    Nell’ultimo gruppo di poesia Flannery O’Connor di Trento, vedi il blog, sono state portate ben quattro poesie, oltre alcuni brani di narrativa. Due poesie di Roberto Piumini, una di Erri De Luca e una di Gregory Corso. Le poesie erano veramente molto diverse tra loro e le persone hanno raccontato che cosa dell’una o dell’altra le colpisse. Per alcuni era prevalente l’ohh di meraviglia che strappavano “Uvapoesia” e “La poesia ti riguarda” di Piumini, a metà tra l’artficio barocco e la poesia per adulti-bambini. Altri rimanevano
    estasiati dalla leggera follia e spontanea creatività di “Botticelli’s ‘Spring'” di Gregory Corso. Altri ancora erano colpiti dal senso delle parole, più che dalla cantabilità di “Considero valore” di Erri DeLuca. Alla fine della serata, pur avendo letto altri quattro brani di narrativa e dato spazio anche a quanto emergeva via via dalla discussione, quello che rimaneva nella testa erano le poesia. Sulla strada del ritorno, nei giorni successivi chi di noi si è incontrato ha ancora parlato delle poesie lette nel gruppo e quanto fosse stato bello sentirle una dopo l’altra mentre aprivano una piccola finestra sulla varietà del mondo poetico e su come le persone intendono e fanno poesia. Per motivi di copyright non posso trascriverle, così come non posso trascrivere in un forum pubblico poesie e brani che di volta in volta rivivono nel gruppo di lettura. Certe pagine di letteratura danno più senso al nostro essere al mondo e la cosa bella dell’arte è che questo vale per l’auore come per i lettori / fruitori, in un intreccio di umana solidarietà che ci rimanda all’atto creativo primiegenio. Certe poesie non sono espressamente preghiera o non fanno riferiemento a Dio ma è possibile che nel lettore suscitino un senso di gratitudine (che è una forma di preghiera) verso l’istanza superiore che ha fatto sì che esistano i poeti e per essere in grado di godere della loro umana creatività.

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