Pace (e guerra)
Questa mattina a Gerusalemme non si può accedere alla spianata delle Moschee e il quartiere musulmano è gravato da un silenzio che punge, le botteghe chiuse per protesta, i soldati israeliani con gli M16 attenti al più piccolo movimento. La tensione congela il pensiero e il corpo è pronto a scattare al minimo segno. Forse è il giorno adatto per postare sul blog questo breve, bellissimo, raro racconto di Eraldo Affinati intitolato “Pace (e guerra)”, apparso quest’anno su una pubblicazione della Regione Toscana dedicata alle parole della Costituzione.
La scuola stava per finire. Cominciava a far caldo. I finestroni erano spalancati, ma noi sentivamo freddo. Avevo appena letto in classe, a voce alta, un brano del Sergente nella neve di Mario Rigoni Stern: la battaglia di Nikolaevka! I russi non vogliono far passare gli alpini in ritirata e questi si fanno largo, in mezzo alle isbe, correndo da un carro armato all’altro con le bombe a mano, i fucili, la mitragliatrice sulle spalle. Le pallottole s’infilano a terra miagolando. Gli uomini entrano nelle case, piazzano i mortai sui tavoli coperti da tovaglie ricamate. I feriti si lamentano. I bambini piangono.
I ragazzi, studenti del terzo anno dell’istituto professionale “Carlo Cattaneo” di Roma, erano stati attenti come raramente accadeva. A un certo punto, Edward, moldavo delle campagne di Chiscinau, alzò lo sguardo verso di
me. Decifrai la sua emozione.
“Mio nonno ha combattuto questa guerra.”
“Cosa ti disse?”
“I soldati dalla fame si mangiavano gli stivali.”
“È ancora vivo?”
“No. Morì quando ero piccolo. Mi ha lasciato il cappello.”
“Dove lo tieni adesso?”
“Ce l’ha mia madre nell’armadio grande della camera da letto. È grigio con la stella rossa.”
I compagni pendevano dalle sue labbra. Avrebbero voluto saperne di più, ma Edward sembrava aver finito il racconto. Stava rimettendosi zitto quando Alessio intervenne.
“Anche mio nonno stava in Russia. Si chiamava Silvestri. Era abruzzese.”
“Tornò sano e salvo?”
“Eccome! Però anche lui è morto. Mi parlava sempre della guerra.”
“Io conosco Mario Rigoni Stern. Volete scrivergli?”
“Sì.”
“Allora domani portatemi una vostra lettera e gliela farò avere.”
La bidella entrò nell’aula con la scopa e il secchio. Eravamo andati oltre l’ora di lezione. I ragazzi, quasi fossero usciti da un incantesimo, cominciarono a fare la cartella. Rapidamente si dileguarono. Edward e Alessio arrancavano per ultimi. Li vidi confabulare, poi si diedero il cinque con la mano destra aperta. Uno schiocco potente.
“Cosa state facendo?”
“A professò”, gridò Damiano, “amo fatto a pace!”
Ivan, a due passi da lui, annuì ridendo.
Qualche mese dopo, consegnai le lettere dei miei due studenti a Mario Rigoni Stern. Il vecchio sergente volle rispondere a entrambi. Queste furono le sue parole.
“Caro Alessio, tuo nonno era davvero molto in gamba e, se era quel Silvestri del battaglione sciatori Monte Cervino, lo incontrai. Comunque fosse, voglio dirti che gli alpini abruzzesi sono i migliori uomini che ho
conosciuto. Seri, di poche parole, precisi e sicuri nell’amicizia. E anche bravi alpinisti. Ti ringrazio per gli auguri, ora vado verso gli 86, lavoro ancora ma mi stanco. Ti saluto e ti auguro una bella promozione e buone vacanze.”
“Caro Edward, da San Pietroburgo (allora Leningrado) mi ha scritto un vecchio capitano dell’esercito sovietico. Leggendo un mio libro tradotto in Russia, ha capito che il 26 gennaio 1943 ci siamo trovati di fronte, che ci
siamo sparati l’uno contro l’altro, ma che per fortuna non ci siamo colpiti. Siamo due amici. Come tu e Alessio. Ti ringrazio della tua lettera e ti auguro buona salute gioiosa.”
Sì, Mario, credo sia questa la vera pace.
Chi è l’Orco?
Quando il mondo si fa minaccioso i bambini non riescono più a capire chi è l’Orco.
La guerra le stragi stanno col fiato sul collo ai bambini e agli educatori di Pace.
Quando i conflitti nel mondo si fanno gravi e gli echi di guerra entrano nelle nostre case, nella scuola, di guerra e di pace si parla sottovoce.
Si ascolta, si canta, si disegna la pace, si cercano parole di conforto e di speranza.
20 Marzo 2003 giorno del’attacco in Iraq
Quel giorno i bambini sono arrivati a scuola intimoriti, dai troppi discorsi sentiti in TV e letti sulle locandine per strada, lungo il tragitto per arrivare a scuola.
In Classe presenti 10 etnie, una bambina proveniente dal Marocco scoppia a piangere, pensando a quelle mamme che avrebbero visto fare da scudo umano i loro figli. Cosi aveva sentito alla televisione appana alzata.
I bambini si immedesimano, tremono,inorridiscono.
La voglia di piangere diventa collettiva.
Il bambino palestinese pensa ai suoi nonni lontane ed è triste.
Il bambino albanese si rifiuta di imparare l’inglese, “perchè gli inglesi ci sparano” dice.
Il bambino arabo tranquillizandosi ripete ” per fortuna il Papa ( Karol) è un Papa buono” in casa temono lo scontro fra religioni.
I bambini italiani li abbracciano, li confortano e piangono insieme a loro.
Parlano e riflettono su quanto accade.
La notizia per i bambini diventa un’ entità violenta, immagini sparate nelle case, inzuppate nel caffellatte.
La psiche dei bambini, attraverso la notizia, diventa un video game. Un gioco di ruolo, dove non si capisce mai chi è davvero l’ Orco, alimentando paura, odio e vendetta.
Anche nelle fiabe esiste il fatto del lupo cattivo che mangia i bambini, ma l’angoscia è sempre compensata da un lieto fine.
La notizia, nuda e cruda non si apre a nessuna risoluzione, resta nel cuore e nella mente dei bambini come il mondo degli orrori.
Non è facile per gli educatori di Pace aggiustare il tiro.Spesso nella nostra funzione educativa siamo annientati dalla troppa sconsiderata informazione.