When the Wind Blows…

Jacques Tati

Jacques Tati

Ci sono alcuni uomini che sono “uomini del vento”, che vengono trascinati dal vento oppure che portano con loro il vento, una ventata di novità e vitalità. Per una strana coincidenza (ma poi esistono, le coincidenze?) l’altro ieri ho letto un bell’articolo su Avvenire di Fulvio Panzeri sull’uscita del romanzo “Uomovivo” (Manalive in originale) di G.K.Chesterton e, nello stesso giorno, mi sono rivisto quel grande film che è “Le vacanze di Monsieur Hulot” di Jacques Tati. Ecco due esempi di “uomini del vento”: Innocenzo Smith e Hulot, oppure, ma è uguale, Chesterton e Tati.

Mi sono ricordato di una vecchia officina dove affrontai questo “tema”. Vi è mai capitato di incontrare persone “ventose”? Esistono. Sono persone trascinanti, e quindi molto irritanti. Niente è più irritante del vento, che sbatte le porte, che mette disordine, getta scompiglio, paura, panico… Ma ci sono e forse queste persone, a volte, incarnano anche la santità (e qui viene facile facile citare Giovanni: “il vento soffia dove vuole…”).  Innocenzo Smith, nell’incipit del romanzo, viene come “annunciato” dal vento impetuoso (proprio come quello della Pentecoste che si abbatte gagliardo con un rombo?) che cambierà le sorti di chi ci si imbatte. Tati-Hulot è sempre accompagnato da un vento che scompiglia la tranquilla stazione balneare francese, così ordinatina e “morta”.  Il punto è proprio questo, che il vento porta con sè la vita e ad esso bisogna “arrendersi”. Un altra splendida figura di “uomo ventoso” è Hrudi Bakshi (non so se è scritto bene, non importa), l’immortale protagonista, interpretato da Peter Sellers, di uno dei grandi capolavori del cinema americano:  Hollywood Party di Blake Edwards.  Ecco, i comici (scrittori o attori) sono per antonomasia “uomini ventosi”, il vento del riso è quella “calamità” che forse meglio di ogni altra ci sconvolge, piacevolmente, e ci cambia, mettendo in moto un processo di catarsi.  Peter Sellers è stato un grande attore e la grandezza si vede nella comicità, più difficile della tragicità. Nel personaggio di Bakshi ha dato il meglio di sè.  E con Bakshi si aggiunge un altro elemento, direi “un’aggravante”, l’elemento della “purezza”. Bakshi-Sellers è un puro in un mondo corrotto e degradato (la Hollywood degli anni ’60) e l’impatto del suo vento in quel mondo marcio e morto è devastante, catastrofico. Per dirla con Tolkien: Tati, Sellers e Chesterton raccontano, mostrano eu-catastrofi.  Sono solo tre esempi ma ce ne sarebbero altri, qui mi interessa mettere al mio lettore un tarlo, una curiosità che spero lo spinga a leggere l’arte sotto questa “costellazione” del vento e della catastrofe che spesso interviene nella storia, gettando lo scompiglio nei piani degli uomini e costringendoli a guardare altrove, diversamente, magari verso l’alto.

Lascia un commento a questo articolo
  1. EmMaGi ha detto:

    Curiosità Andrea? Direi provocazione, taglio obliquo e netto sul vento impetuoso delle passioni umane.
    Un vento fastidioso, non avendo le ali per risalire come un verme dall’abisso verso il cielo.
    Un vento irritante nell’ oppressione e nell’angoscia della miseria umana, un sibilo che penetra nella piccola cavità dell’ orecchio sperando che diventi mormorio che “ci sconvolge, piacevolmente, e ci cambia, mettendo in moto un processo di catarsi” così penetrante pieno di soavità e diletto, nell’intimo della sostanza dell’anima.
    Vento di passioni umane con membra irrigidite come morte.quando
    Lo Spirito quando passa davanti a noi si rizzano i peli del corpo, si ode una voce come di vento leggero; il mormorio delle brezze amorose che qui l’ anima dice è il suo amato.
    Il vento diventa musica, la solitudine sonora che l’anima conosce, cioè la testimonianza che tutte le creature danno di se stesse contemplando il perdono, attraverso suggestioni che la carne non riesce ad afferrare nella nostalgia della profondità di Dio.

    “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va…”.
    Il compimento pieno sta nell’immergersi sempre più nell’ascolto della “voce del vento”, senza vanificarla nella pretesa di conoscere da dove viene o dove va: lasciare a Dio la libertà di condurre l’incontro, lasciare me la libertà di farmi condurre.

  2. andrea monda ha detto:

    Il vento ha un terribile ambiguità, me ne so ricordato l’altro giorno al laboratorio di BombaBibbia. Da una parte è lo spirito, che porta vita (e il riso ne è il segno inequivocabile), dall’altra come dice il Qohelet si rischia di vivere andando dietro al vento, “raccogliendo” vento, cioè niente. E qui bisognerebbe parlare del “peso”, un altro tema a me molto caro, forse soprattutto da quando ho raggiunto il quintale.. ma ci penso un po’ e poi magari scrivo qualcosa. ciao e grazie EmMaGi!

  3. EmMaGi ha detto:

    Allora possiamo dedurre che nei casi umani il tipo di semina è affidato all’arbitrio dell’uomo, e naturalmente della donna, e se per caso ci troviamo in una tempesta (avendo perso la bussola diventando naufraghi) invece di lagnarci dobbiamo dire mal voluto non è mai troppo, o per renderla più comica , come diciamo noi toscani chi si contenta gode disse quello che si ciucciava il calzino.
    Sei grande Andrea.

  4. andrea monda ha detto:

    Più grosso che grande,comunque grazie cara Emma.
    Mi viene in mente il tema della tempesta, della paura e dell’inquietudine presente nella poesia “George Gray” di E.L.Masters tratta dall’Antologia di Spoon River, che solleva il problema che stiamo discutendo intorno all’editoriale di maggio su Ratatouille (argomento dell’Officina del 30 Maggio), le cose si intrecciano, bene!

  5. EmMaGi ha detto:

    Nom mi chiamo Emma, in realtà ho 4 nomi, questo aggiuntivo, comunque, mi piace mi ricorda un certo ambiente della Palestina.
    Mi mancava e come sempre grazie Andreone.

  6. anonimo ha detto:

    “Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
    il dolore bussò alla mia porte, e io ebbi paura;
    l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
    Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
    E adesso so che bisogna alzare le vele”
    George Gray’, Edgar Lee Masters

    Non sempre siamo capaci di vivere la nostra vita con entusiasmo, così come non sempre siamo disposti a rischiare, a metterci in gioco e a provare strade nuove. Molto spesso infatti rimaniamo in disparte, ci defiliamo e anche quando ci si prospetta la possibilità di essere felici, ci tiriamo indietro intimoriti dai rischi. La paura di vivere è il filo conduttore della vita di molte persone. Questa poesia, per me splendida, è un monito a non concludere la propria esistenza col rimpianto di non aver vissuto.

Prima di inserire un commento, assicurati di aver letto la nostra policy sui commenti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *