L’esperienza poetica in un bagno pubblico
La grotta azzurra è una prosa poetica di Roberto Mussapi che sulle pagine de Il Sole 24ore il critico Giovanni Pacchiano ha recentemente segnalato come uno dei gioielli della letteratura italiana degli ultimi dieci anni. Protagonista di questo racconto definito dall’autore “un poema teatrale in versi, dominato dal suono dell’acqua”, è una ragazza addetta alla pulizia e al presidio di un bagno pubblico sull’autostrada.
Maria è attraente, sensibile, intelligente, ma ha scelto di abbandonare la scuola e di fare questo lavoro umile per aiutare i genitori nello sforzo di ripianare i debiti di suo fratello. Molto diversa da come se l’era immaginata, la vita trascorre nel sotterraneo dell’autogrill dove, passata l’ora di punta, quando la toilette è poco frequentata, spesso la ragazza si addormenta e sogna. Allora l’acqua che scorre nelle tubature del cesso diventa un’acqua immobile, come lustrata da un azzurro eterno, l’azzurro delle mattonelle si trasfigura in quello del mare e Maria ne avverte il respiro profondo /non interrotto come il nostro, / ma lungo, continuo, eterno e incessante / come il ronzio dell’acqua nei tubi. E in mare c’è un uomo giovane e bello appoggiato al parapetto di un piroscafo che la vede nuotare tra le onde mentre lei lotta per rimanere a galla e rimanere in vista.
Nei sogni Maria è sempre immersa nell’acqua come in un liquido amniotico (come il verso d’altronde, visto che per Mussapi “il rumore dell’acqua è il motore, la cellula metrica del testo”) e c’è sempre un uomo pronto a portarla nell’azzurro prodigioso della vita. Lei si abbandona alla fragilità del sogno, il breve incanto / in cui la mente si perde, oscilla, galleggia ma non è una fuga dalla realtà. Le meravigliose e multicolori immagini dei sogni sono per Maria il carburante per la sua presenza di spirito nell’hic et nunc della sua esistenza, un additivo spirituale potente della sua percezione del mondo esterno, un collirio per l’occhio interiore che l’aiuta ad avere una visione più chiara e profonda di quanto le scorre davanti. Nel cesso dell’autogrill Maria infatti capta le tensioni di tanta gente che entra ed esce (quando tintinna nel piattino io sento…/ sento che a volte è più di una mancia, / per come la lanciano, per come se ne vanno, / come se la moneta scendesse qua in fondo / e ancora più giù, sotto le piastrelle, / dove sento quel suono di tubi e acqua), ne avverte la segreta pena (e io fingevo di fissare il piattino / e li guardavo alla schiena, mentre salivano / lì è il centro del dolore). Il passaggio per la toilette è come una discesa agli inferi per la quale tutti, prima o poi, devono passare (è che qui dentro sono tutti uguali […] qui in basso fanno tutti più pena) e anche un cesso ben pulito può essere un gesto d’amore, una consolazione (Tutto sommato anche una bella pisciata / per uno che viaggia e che teneva da un’ora / è un piccolo piacere, una sosta / e qui tutto profuma di lisoformio: / fa caldo, fuori, e qui sotto è fresco / come in un sottopassaggio al mare o in un acquario).
Maria non intende ammazzare la noia curiosando nelle vite degli altri. Si sintonizza naturalmente sulle frequenze nobili della realtà, riceve il segnale emesso dalle particelle di bellezza originaria presenti in ogni esperienza, anche nelle ore trascorse nel sotterraneo dell’autogrill. La ragazza è consapevole della sua esistenza sacrificata, ma ha fiducia nel futuro perché vive la quotidianità poeticamente. È capace di una “lettura poetica” della realtà che le consente di cogliere anche nelle cose più squallide una promessa di vita altrimenti inattingibile. Questo “stato poetico” non opera alcuna scissione tra ideale e realtà perché Maria è decisa a bere fino in fondo e senza recriminazioni l’amaro calice del sacrificio che compie per aiutare lo scapestrato fratello. E questa sua determinazione scaturisce proprio dalla sete irriducibile che alimenta i suoi sogni. L’eroina di questa favola moderna che Mussapi descrive come “una giovane che si sacrifica senza vittimismi, umile e capace di sognare che, nel suo caso, indica anche la capacità di accettare la vita” – è piantata saldamente nell’arido terreno della propria storia perché le sue radici affondano e traggono il nutrimento dalle falde acquifere più profonde dell’esistenza. La sua sete, come un incubatoio di pienezza, è talmente potente e pura da generare le immagini attraverso cui Maria contempla ciò che ha deciso di attendere e che, già nella visione, la sorprende di gioia. Come in una splendida poesia di Renzo Barsacchi [Anche la fede (che pensai bastasse) / è un pozzo a dismisura della sete. / Guardo il suo fondo tremulo, ne invoco / la salita alle labbra / del desiderio. Invano. / Non è la sete a far salire l’acqua / ma l’amore della sete a far discendere / sino al cuore del fondo] questa Cenerentola dei cessi ha creduto nella luce azzurra dei sogni, ma per raggiungerla ha scelto la via più difficile, quella che passa attraverso il fondo buio della propria esistenza. A condurla nel punto in cui l’antro oscuro si trasforma in una grotta azzurra è un uomo che si accorge della sua sete di vita e si innamora di lei proprio in virtù di questa sete: Marco, un ex compagno di classe che Mussapi non esita a definire “un principe” per la sua “naturale e intima nobilità”. Il ragazzo la riconosce entrando nel cesso dell’autogrill e lì, nel “cuore del fondo”, si compie il miracolo dai milioni di toni di azzurro che Maria, grazie alla postura spirituale con cui guarda alla propria realtà, ha pre-visto nei suoi sogni. Ecco che il cesso dell’autogrill, luogo squallido e marginale, acquista un forte valore simbolico. Questa grotta – che forse già rappresenta il fondo della modernità in cui viviamo – indica nelle intenzioni dell’autore “l’abitazione primaria, l’utero, il luogo originario dell’essere, il luogo povero ed elementare dove nasce Cristo”.
Quando, alla fine del racconto, Maria trova sul pavimento del bagno un anello di corallo rosso come il sangue che il tempo ha trasformato in corallo che sembra annunciarle la maturità del tempo, l’imminenza della novità, l’arrivo di Marco (per Mussapi “il corallo è la forza del sangue racchiusa nel fondo del mare, è simbolo della vita e della trasformazione”), la ragazza riconosce che la sua vita è quel capolavoro di bellezza nella quale ha sempre creduto e pronuncia il suo “Magnificat”: Mio Dio, grazie per questo incanto, / questo breve miracolo della mia vita nei cessi, / che mi sentivo avvolta da acque eterne e azzurre / che portavano a tutte le fonti e i mari del mondo. Non a caso, il critico Elio Gioanola ha elogiato questo testo come “uno splendido, definitivo congedo da tutte le dolenzie esistenziali, espressionistiche o no, dagli ironismi e piccoli realismi neocrepuscolari, dagli sperimentalismi delle avanguardie antiche e recenti”.
il luogo d’incontro , il luogo della ferita che si rimargina, una grotta azzurra, visione trasfigurata della reltà , dove un’anima incontra il suo profondo e vive con amore i gesti simbolici di appartenere ad altro!
però la parola “cesso” non mi mi piace!
disturba è come un’interferenza nella lettura,
se vuoi far vedere la poesia…no so..
comuque la poesia è arrivata!
La parola cesso è l’unica in italiano che descrive il sanitario e non è giusto censurarla per usare termini a detta di qualcuno “migliori”, come water, ritirata, gabinetto, ecc,. Mica siamo solo pizza e mandolino,no?
Capisco che ti disturbi, disturba anche me. Ma ho usato intenzionalmente la parola “cesso” (come pure Mussapi nel suo testo) – spero senza aver esagerato – perché la favola di Maria prende corpo in una “storia” reale che si svolge in luogo concreto non proprio piacevole; dove, anche noi, siamo costretti ad entrare nostro malgrado (e Maria a lavorarci!) quando viaggiamo in autostrada.
Come certi fiori che crescono tra le crepe dell’asfalto, la vita di Maria fiorisce in un luogo che non è proprio da favola e forse la parola “cesso” ci sfida a confrontarci con questa narrazione poetica senza correre il rischio di spiccare il volo lasciando a terra la realtà nuda e cruda.
parlare di cesso è sempre un modo per attirare l’attenzione
Piccoli realismi
Con “Cenerentola” si può intendere una persona remissiva, mite, o costretta a una vita modesta, nel caso del racconto una realtà lavorativa nuda e cruda in un bagno pubblico (Chissà quante ce ne sono oggi 1°maggio di donne a pulire i cessi per campare la famiglia).
Ma quanti uomini per la sua “naturale e intima nobilità” sapranno mettersi in evidenza nel capire che Cenerentola è il simbolo della più bella virtù: la bontà, proprio quella posseduta da Gesù, del Signore più bello e più amato.
grazie!
mi è venuta un po’ voglia di leggerlo il romanzo!
speriamo che non sia grosso il libro, se no non lo finisco….
luisa
“La grotta azzurra” di Mussapi non è un romanzo, ma un testo teatrale; breve, si legge in poche ore, di grande intensità. Non si trova facilmente, forse via IBS (internetbookshop.it).
Letto!!
L’esercizio poetico di Mussapi é felice!! ” non perchè sia felice la vita in generale […] Mussapi non sarebbe il poeta che è se la felicità del suo esercizio poetico fosse il risvolto di una qualche privata euforia del tono psichico..” (Elio Gioanola)
Qui sta il nodo, poesia come trasfiguazione del reale attraverso l’immaginario in cui l’anima soppravvive al reale stesso, opprimente e in altro modo sopportabile!
Maria non ha perso se stessa , non è una sognatrice chiusa in una camera in attesa che qualcosa cambi!
E’ al lavoro
Poesia e reale!
E’ più vero il reale o la poesia?!