L’affermazione di sé e la lotta al sistema
Remy vuol diventare cuoco, ma la sua famiglia non è assolutamente d’accordo. Come se non bastasse, un altro dettaglio ostacola il suo progetto: Remy è un ratto. Il protagonista di Ratatouille, film d’animazione della Pixar del 2007, ha un talento, un desiderio, un progetto; vive anche in un contesto nel quale si sente via via sempre più estraneo (e che – reciprocamente – lo vede “strano”); percepisce che la strada verso l’affermazione di sé lo porta lontano dal sistema nel quale è nato. Ma anche quando intraprende questo percorso di affermazione, un secondo sistema lo ostacola: quello degli uomini, dei cuochi, dei ristoranti.
Cosa spinge Remy? Cosa lo spinge «veramente»? Qual è il suo reale obiettivo? E soprattutto: quando l’obiettivo che ci poniamo trova ostacolo nel contesto che ci accoglie, come superare l’impasse?
Questo editoriale non contiene altro, tranne un invito a rispondere a queste domande nei commenti (il 30 maggio faremo qualche ipotesi nell’officina dal tema “A partire da Ratatouille – l’affermazione di sé e la lotta al sistema”).
C’è una bellissima frase di Bousquet che dice:”Indovinare quello che si è;e poi, scoprire che non si poteva essere null’altro”.La prima domanda mi ha fatto pensare subito a questa frase,cosa spinge Remy?Remy risponde ad una “forza”o “richiamo”interiore di cui neanche lui sa cosa sia veramente…la sua convinzione lo porta a perdersi e a distaccarsi dalla sua “natura”rispecchiandosi invece molto bene in quella umana(così lontana ma al tempo stesso così vicina).L’obiettivo è quello evidente dell’individuazione di sè;questo non può ottenerlo da solo, ma soltanto attraverso la Fiducia del riconoscimento di se stesso da parte degli altri…per l’ultima domanda(la più difficile,secondo me)mi concedo un pochino più di tempo.
come superare l’impasse?
Cadendo nell’anoressia?
Vivendo la schizzofrenia fra ciò che siamo e ciò che ci dicono di essere?
Chiudersi fra muri di cemento armato, costruiti con mattoni d’indifferenza?
Spararsi per non esistere?
Pregare raccomandando l’anima a Dio?
e poi e poi cos’altro?
Affermazione di sè: primo problema: conoscenza del sè. Io mi conosco? So cosa voglio fare? cosa mi piace fare? Il “sistema” mi pone dei momenti di scelta: a 13-14 anni, che indirizzo scolastico prendo? classico o scientifico o artistico o linguistico..? Poi, ancora più impegnativo: a 18-19 anni: quale indirizzo universitario/lavorativo?
Se guardo indietro nella mia vita devo dire che io non mi conoscevo, ho fatto un po’ di chiarezza negli ultimi anni ma ancora “navigo a vista”, nelle nebbie e nella penombra. Gli altri, che pur mi condizionano creando confusione, possono però aiutarmi a fare chiarezza. Spesso io so bene quello che non mi piace piuttosto che il contrario. Ma non è facile procedere per esclusione. Secondo problema: la lotta al sistema.
La lotta è chiara per chi ha le idee chiare: voglio fare il romanziere, è molto difficile entrare nel “sistema” dell’editoria. Nel caso mio, non avendo idee chiare, devo dire che non ho mai avvertito il sistema come “sistema” per giunta “ostile”. Nessuna lotta, se non interiore.
Devo rivedere il film ma mi pare di ricordare che il ratto ha le idee chiare: vuole cucinare. In questo ricorda un capolavoro dimenticato di Coppola, “Tucker, un uomo un sogno”, sulla vera storia di un geniale costruttore di automobili distrutto dalla concorrenza delle grandi industrie (Fors, Chrysler e General Motors), una storia che ricorda da vicino la storia di Coppola stesso. La cosa bella di Tucker è che, come ricorda Kipling, è un vero uomo, cioè un uomo
“capace di sognare ma di non essere schiavo dei propri sogni”. Ma intanto rivediamoci Ratatouille e poi riparliamone, scusate quindi il commento molto impressionistisco e forse troppo auto-centrato. ciao!
Ma no, ma no! Parliamone adesso (e proprio in questi termini, se riusciamo!)
Allora continuo, così in modo “fluido” senza riflettere troppo. La parola “sogno” mi mette paura. Mi rendo conto che un uomo che non sogna non è un uomo, ma il sogno può rendere la vita triste, infernale, rabbiosa. Penso che il sogno serva come “molla”, spinta che ci fa superare la pigrizia, la sindrome del “nido”, della “tana”, ma poi non so se si finisce per realizzare tutti i sogni quanto invece a trovare per strada deviazioni e imprevisti che si rivelano novità più gratificanti di quel sogno iniziale. Spero di essere stato chiaro e di aver spostato più in là la discussione.
La strada
… e mi rifugio in Te mio Signore
quando il senso della vita
mi porta a contare le Tue spine
e mi rifugio in Te per sanare il mio dolore
..e mi rifugio in te…e mi rifugio in Te… e mi rifugio in Te…senza speranza.
Leggo ogni tanto e oggi mi butto in penstola con un breve commento. Affermazione? non so se sia corretto pensare ad una affermazione forse dice bene andrea monda che parla di conoscenza di sè. Io purtroppo il film non l’ho visto, ma ho capito dalla presentazione che una delle difficoltà sta nel desiderio di lavorare come cuoco in un ristorante. Aspirazione quantomeno bizzarra per un ratto, condiderato da tutti il simbolo della sporcizia e delle mancanza di igiene. Forse però è qui il punto: il topolino sente dentro di sè che potrebbe davvero farlo e anche senza sporcare, ci sono delle possibilità di lavarsi anche per i ratti?. Questo è qualcosa che nessuno però dovrebbe negare agli altri: la propria consapevolezza va tutelata, anche quando ci sembra troppo azzardata. Non bisogna gettarsi nella pentola bollente, ma con calma preparare gli ingredienti al fine di poterli offrire nell’ attimo giusto a chi è si occupa della pentola in quel momento. E’ questo l’importante credo…se si ci conosce si è disposti a stare fermi un po’ spostati di lato, lontani da una affermazione, ma dentro di noi e agire in modo minuscolo dentro la grande cucina di un ristorante. Se riuscissimo a fare questo atto imparareremmo dai migliori cuochi le più buone ricette e un giorno chissà….
Intanto complimenti, Cristiano, belle domande davvero.
Che cosa spinge Remy, chiedi, ma io direi, ancora prima, come e perché sorge in Remy il desiderio di qualcosa di diverso da quello che vede intorno a sé?
Remy è un topo che vive tra topi e ad un certo punto sente che può vivere solo in un ambiente ed in un ruolo diversi da tutto quello che ha intorno: il dialogo iniziale con il padre che si accontenta di mangiare spazzatura pur di vivere tranquillo, chiarisce bene il problema.
Mi viene in mente la domanda di Ungaretti: “Chiuso tra cose mortali, anche il cielo stellato finirà, perché bramo Dio?”
Sì, perché, mentre tutti intorno si accontentano, si realizzano all’interno di modelli accettati, vincenti, direi, vado cercando per me qualcosa d’altro?
A questa domanda mi sono sempre risposta che evidentemente c’è in me qualcosa di diverso, di non riducibile alle -cose mortali- tra cui pure sono chiusa, altro che ricerco disposta a pagare qualunque prezzo perché è qualcosa che chiede di vivere, come la pianta è già nel seme e per il seme è un appello talmente forte da farlo germogliare comunque.
E l’ostacolo, paradossalmente, è un aiuto a fare chiarezza in quella diversità-unicità soprattutto quando si presenta, come dici tu, proprio nel contesto che ci accoglie: la famiglia è il primo ambiente dove si prende coscienza della propria diversità-unicità-solitudine, che sono solo richiesta, appello, tensione verso altro.
All’inizio si vive solo questa tensione che nasce da una insoddisfazione per quello che si ha intorno e da un richiamo interiore, dice Irma, verso qualcosa d’altro.
Alla domanda su come superare l’impasse, risponderei che non c’è un come prestabilito, c’è una possibilità di riuscita nella misura in cui ciò che ci si propone è veramente già dentro, ma lo si capisce e lo si conosce solo cominciando a camminare, a lottare per ciò che si desidera.
Mi è piaciuto molto quanto descritto bene da Tita. Grazie per il tuo e tutti gli altri messaggi sono molto contenta di essermi imbattuta, su consiglio di un’amica, nei vostri discorsi in cui spero di inserirmi in punta di piedi. C’è una realtà che va accettata: è a volte difficile essere se stessi, comporta una accettazione non solo della vita in sè, ma di quello che nella vita ciascuno di noi è chiamato ad essere, che penso corrisponda a ciò che solo può essere pienamente. Difficile, molto difficile, ma anche tanto avventuroso.
Nella nebbia
Nella nebbia, in autostrada, capita spesso di essere rasserenati mentre una macchina spedita ti sorpassa, perchè pensi:
“ se possedessi una macchina come quella anche ioguiderei sicuro nella nebbia”.
Una macchina come quella risolve la frattura che c’è fra la vista e la Strada. Poi al casello affianchi la macchina e ti accorgi che è un catorcio come la tua, e chiedi al guidatore“ ma tu chi segui?”
Risposta: “ una macchina più potente della mia” e poi ti accorgi che quella che sta più avanti è un catorcio di macchina come la sua, e come la mia.
Allora sei costretto, come dice Andrea Monda ”a navigare a vista a trovare per strada deviazioni e imprevisti”.
Vivendo nel nebbioso disagio per superare l’impasse viene spontaneo chiedersi “ ma io chi seguo? perché e per andare dove?”
“tutti intorno si accontentano, si realizzano all’interno di modelli accettati, vincenti, direi, vado cercando per me qualcosa d’altro?” Commenta Tita.
Nella fitta biancastra nebbia,da tagliare con il coltello, nel bianco lattore del tuttointorno, delle cose lontane e indefinite, dei suoni attutiti mi domando ancora se mi conosco, se so quel che voglio, se ho chiaro ciò che sto cercando oppurer vado ramingo “a rimirar Stormi d’uccelli neri com’ esuli pensieri”.
Scende la nebbia d’ asfalto lucido e scuro della Ragione, non vedo nulla, la nebbia dissolve la strada confonde il Cammino, ma sento il silenzio ovattato del mio cuore.
Così grido: dove sono la mia umanità e quella degli altri?
Pieno di amici era per me il mondo,
Quando la mia vita era ancora luminosa;
Adesso, che la nebbia cala,
Nessuno si vede più.
In verità, nessuno è saggio
Se non conosce il buio,
Che piano e inesorabilmente
Da tutti lo separa.
Strano, vagare nella nebbia! (Hermann_Hesse)
Sorge allora un grido, carico di domande “ Qual è e dov’è la corrispondenza del mio Essere nella mia esperienza nell’hic et nunc della mia esistenza , qual’ è la mia capacità di accettare la vita, cos’è “l’abitazione primaria, l’utero, il luogo originario dell’essere, il luogo povero ed elementare (L’esperienza poetica in un bagno pubblico.)
Spesso la nebbia avvolge la vita davanti a noi, quello è il momento, più di ogni altro, di accendere la nostra luce interiore e rifletterla intorno a noi, e allora mi trovo “nudo nelle sue tensioni fondamentali, teso tra nostalgia dei miti e scoperta del reale, attesa vigilante e viaggio avventuroso, dramma della vita e desiderio di scoperta, delusa desolazione e fresco stupore. ” (L’altro fuoco. L’esperienza della letteratura).
Cosa spinge Remy? Un sogno qualunquista: tutti possono cucinare. Non è vero. Non tutti possono farlo. Ma lui sì. Ha un dono e questo motto massificante lo aiuta a scoprirlo. Miracoloso come a volte si riesca a scrivere dritto su righe storte.
L’omogeneizzazione dei carismi, spacciata già zuccherata dal rubicondo Auguste Gusteau, è una piacevole eutanasia dello spirito. Un assassinio confortante, perpertrato all’unicità di ogni essere umano.
Tutti possono fare tutto. Il mondo è un giardino di opportunità. La vita, un vagabondare in questo orto per cogliere, oggi qui e domani là, quanti più frutti possibile. Una resa al proprio desiderio (fondamento del consumismo). Anzichè una ricerca della propria vocazione.
Vorrei aggiungere tre elementi che ritengo importanti per il discorso che si sta facendo.
1) E’ necessaria una giusta lettura dei segni: un segno nel film è lo straordinario olfatto di Remy, che il padre non ignora, cerca infatti di valorizzarlo affidando a lui la difesa dei fratelli dal cibo avvelenato.
Dico una giusta lettura dei segni, cioè una lettura disposta a vedere in essi un’occasione di servizio più che di auto esaltazione, e ad affrontare le prove di verifica della vita (anche Remy deve superare numerosi ostacoli prima di veder riconosciute le sue doti quindi la sua individualità).
2 La valorizzazione del desiderio è la molla nel cammino di individuazione: senza desideri non ci si muove, ma anche questi vanno sottoposti al vaglio delle prove della vita, per distinguerli dalla superficiale infatuazione.
3) Il delirio di onnipotenza è sempre possibile
Eppure non sbaglia Gusteau quando afferma che tutti possono cucinare: dice infatti che tutti possono eseguire puntualmente una ricetta, non assicura che tutti arriveranno ad essere grandi chef, capaci cioè di creare, di andare oltre la semplice osservanza di regole, di addentrarsi nell’imprevedibile.
Anche Gesù chiede spesso: Che cosa desideri? Che cosa vuoi che io ti faccia? Che cosa cerchi?, quasi che il desiderio sia una premessa necessaria perché egli possa agire a vantaggio della persona.
Una semplice osservazione: il consumismo non è una resa al desiderio, ma a quello che ci è stato fatto credere sia il nostro desiderio con le armi che la pubblicità possiede.
Anche la vocazione ha alla base il desiderio, direi che è l’incontro del mio desiderio con la persona che può colmarlo.
Nel film mi è parsa molto bella un’altra frase di Gusteau a Remy che chiede come potrà arrivare a realizzare il suo sogno: “Sarà il cibo a trovarti. Il cibo trova sempre coloro che amano cucinare”.
Carissima Tita, mi piacciono tanto le tue precisazioni da rilanciare con un paradosso.
Come sai, nel mio ambito lavorativo si è realizzata pienamente la frase di Auguste Gusteau. Tutti sanno cucinare. Lo fanno addirittura i duemila chip che ogni giorno integro nei forni che la mia fabbrica produce. Ho insegnato a una fetta di silicio a sfornare torte, a creare ottimi arrosti. La doratura delle patatine è per me un benchmark, un rigido parametro di confronto con i competitors.
Allora, se possiamo affermare che anche una pista di rame percorsa da corrente può cucinare, possiamo anche indivuarne una vocazione? Cosa desidera un’elettronica?
Ripeto: il topolino protagonista di “Ratatouille” riesce a trarre uno spunto ricchissimo da una massima fuorviante. Non è vero che tutti sanno cucinare. Perchè cucinare non è seguire una ricetta passo passo, come chiunque abbia provato a cucinare può testimoniare. Un chip potrà percorrere pedissequamentre un algoritmo in esso contenuto. Non sta cucinando. Cucinare è un processo alchemico: trasforma il cuoco mentre trasforma il cibo.
C’è una frase importante che Remy pronuncia, parlando con il padre ritrovato.
“Cambiare fa parte della natura
è la parte della natura che possiamo influenzare
e comincia solo quando decidiamo noi”
Ciò che muove Remy è la consapevolezza acquisita, non di esser diverso dagli altri topini, ma di aver compreso se stesso.
Solo quando Remy realizza la sua natura di cuoco, distingue ciò che è davvero importante, al punto da sfidare gli schemi della società.
Ancora dopo parlando con il fantasma di Gusteau, Remy dice
“Fingo di esser un topo per mio padre….
so quel che sono, perché dovrei continuare a fingere? ”
Non affermazione quindi, ma conoscenza di se, realizzazione del proprio io vero.
Buffo, che nessuno abbia fatto il nome di Linguini in questa discussione.
Eppure il particolare che più mi ha incuriosito è il capovolgimento del ruolo consueto.
L’uomo, Linguini, diventa strumento del topo per conquistare un sogno, diventar cuoco.
Se Remy sa cucinare, ha bisogno di braccia e qualcuno, che almeno all’inizio, indossi suo malgrado il cappello da Chef.
Il messaggio più bello è celato nell’intesa che matura tra i due personaggi; il topino impara a guidare le braccia dell’amico tirando i capelli, e Linguini si lascia manovrare. Si rovescia il prototipo tradizionale dell’uomo che deve conquistare la fiducia del cavallo selvaggio. “Sarà il cibo a trovare te, se ti piace cucinare” e il cibo crea questa strana coppia, a cui Gusteau, non avrebbe mai forse pensato.
@Gabriele. Tutti possono cucinare anche il silicio cuoce l’arrosto e le patate a puntino.
Ma ci si può fidare davvero di un cuoco che non assaggia le sue pietanze? Ammiro il risultato e sarei curioso di conoscere i parametri della bontà, questo magico algoritmo che immagino più o meno cosi… While(!Good){cook();}
Chissà forse questo non è cucinare, ma quante cose fa l’uomo, che assomigliano vagamente all’idea che lo ha ispirato?
Abbiamo costruito degli uccelli di latta per volare, e delle bombole di ossigeno per andare sott’acqua in profondità.
Ma cosa penserebbe un uccello o un pesce, di noi, della nostra presunzione?
Ci spingiamo oltre i nostri confini, desideriamo talvolta la luna.
E questa come la chiamiamo, affermazione o cos’altro?
Permettetemi di aggiungere ancora due cose in questo riflettere insieme che mi sembra molto interessante.
1) Le parole conclusive dell’articolo di Anton Ego, il critico di cucina più temuto di tutta Parigi:
“Ieri sera mi sono imbattuto in qualcosa di nuovo, un pasto straordinario di provenienza assolutamente imprevedibile. Affermare che sia la cena sia il suo artefice abbiano messo in crisi le mie convinzioni sull’alta cucina, è a dir poco riduttivo: hanno scosso le fondamenta stesse del mio essere.
In passato non ho fatto mistero del mio sdegno per il famoso motto dello chef Gusteau ‘chiunque può cucinare’ … ma ora, soltanto ora, comprendo a pieno ciò che egli intendesse dire: “non tutti possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque”.
È difficile immaginare origini più umili di quelle del genio (Linguini) che ora guida il ristorante Gusteau, e che, secondo l’opinione di chi scrive, è niente meno che il miglior chef di tutta la Francia”.
2) Il Gusteau con cui parla Remy non è un fantasma venuto dall’al di là, ma una proiezione dei desideri di Remy il quale isola proprio quelle parole tra le tante del famoso chef perché sogna che cucinare possa non essere impedito né a lui né ad ad alcun altro.
Posizione contraria a quella del perfido Schinner che considera la cucina come sua proprietà e vorrebbe proibire agli altri di lavorarci.
Finalmente a casa! Nonostante l’ora tarda mo’ mi metto a vedre ‘ratatouille’.
Per ora posso solo dire che quando alla sua uscita lo vidi provai sana invidia per Remy.
c’è l’intelletto in questa ricerca. come il gabbiano.
Consiglio a tutti di spulciare anche tra i contenuti speciali del dvd. Troverete una chicca.
“Il tuo amico topo”, un cortometraggio d’animazione da Walt Disney e Pixar, basato sui personaggi del film. Analizza il ruolo del topo nella storia e nella società umana, con l’ironia tipica dei cartoon. Dopo una panoramica sugli scontri fra uomini e ratti, i due roditori protagonisti Remy e Emile auspicano un periodo di amicizia, introducendo le più disparate argomentazioni a favore della causa.
Molto divertente!
Ho seguendo il suggerimento di Federico e ho guardato “Il tuo amico topo”. Molto interessante trovo l’idea che Remy desideri prendere una posizione, dare voce alla sua visione, con l’evidente speranza (confermata nel film) che possa esistere un mondo in cui, non solo la convivenza, ma la collaborazione e perfino l’amicizia tra topi e umani abbia luogo. Una cosa che mi ha colpito del cortometraggio è questa: Remy dice che i topi si sono sempre sentiti alla pari con gli uomini e da lì è partita la grande guerra. Questo mi sembra un concetto da approfondire perchè, premettendo che ciascuna persona è diversa ma gode o dovrebbe godere di uguale dignità e rispetto, capita spesso che qualche volta chi prova a mettersi alla pari, occhi negli occhi, con chi ritiene di detenere un privilegio di qualche genere non venga ben accetto. Auspicare dialoghi alla pari è già una bella sfida in certi contesti!!!!quindi bravo remy che metti in evidenza proprio questo aspetto.
Scusate l’anonimo precedente sono io Costanza. Scusate se non avevo messo il nome.
TESTIMONIANZA estiva
Una volta mi sono trovata a scegliere
fra il famoso ” io valgo”
e il mio Amare in Cristo.
Oggi non ascolto più
la parola dell’uomo
solo quella di Dio.
Non seguo più la mia Strada
seguo la Sua, così supero il fastidio
di “vivere in cattività sociale” ogni giorno.
Supero l’impasse di vivere
in Pace, cercando il Mistero nel Creato e le sue proiezioni divine, senza incontrare( nell’ affidarmi) nessun ostacolo al calore del sole e alla luminosità del firmamento.
L’ affermazione di Se’ è stressante ti logora e ti scippa la vita.
L’ ascolto dell’ Universo è una conquista e un “sogno” possibile.
come superare l’impasse?
Non cercavo più nella mia vita, nessuna illusione
non cercavo carezze nel vento, non cercavo la Luce avevo le tenebre la cecità, il supplizio dell’animo.
L ‘indifferenza la viltà dell’afflizione, la dipartita, peregrinando in menefreghisti pensieri. Vivevo d’ inerzia di mestizia.
Il tempo imputridiva in un commiato esistenziale.
La fatalità di un incontro si è sovrapposta facendo irruzione nel desolante sfacelo, nella solitudine amara
nella delusione, nella sconfitta.
La delizia, la meraviglia, l’indole ad amare ha preso il sopravvento l’ Amore ha affermato l’egemonia della mente e dei sensi tuttora violento, ingrato senza certezze.
E’ iniziato il cammino impervio e faticoso degli altipiani,con il pericolo di soccombere alla tentazione di fermarsi, di ritornare indietro di abbandonarsi alla sconfitta definitiva.
Un anno dopo, nel primo giorno di Primavera come una rondine volo piano piano verso le nuvole, fino alle stelle.
Un volo ardito e felice, avventura stupenda della menteche si affaccia sull’infinita meraviglia degli spazi offerti ai sogni di ogni conquista.
Un dono alla conclusione di tantepreoccupazioni,
di molte fatiche, un dono che il destino prepara per tutti, basta saperlo conquistare con tanta fede e con tanta difficile speranza.
Lentamente muore
Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
(P. Neruda)
Ho paura che la realtà a chiare lettere
risucchi i miei sogni
e come faccio se non urlo?
Ho paura che il sole mi accechi
e come faccio, allora,a vedere nel buio?
Ma forse dietro la paura c’è una grande forza
addirittura “coraggio”
che sfonda ogni catena e ci dà la vita
Se tremi non sogni vivi
il coraggio è il tuo momento
forse sei un poeta e non lo sai.
Scusate l’anonimo precedente sono io Costanza. Scusate se non avevo messo il nome.
Non mi risulta se ti riferisci a ” se tremi”…
perchè l’ ho scritto io.
In qualche commento prima si dice:
“se si ci conosce si è disposti a stare fermi un po’ spostati di lato, lontani da una affermazione, ma dentro di noi e agire in modo minuscolo”
chiedo: anche pescando nel torbido?
PB
L’ affermazione di sè e la consacrazione di sè.
Siamo consacrati nella verità non quando fuggiamo dal mondo ma quando vi entriamo pienamente con la forza della testimonianza cristiana:
” Io consacro me stesso
per coloro che mi hai dato.Padre,
perchè siano anch’ essi consacrati
nella Verità”
” io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati… “Gv17,19
Scusate. Sono l’anonimo delle h. 18.15 del 26 maggio, quella di “Ho paura…”:
vorrei dire che, se sono giunta fino a questo punto, è grazie a Stas’.
Da quando frequento questo sito, infatti, sono riuscita pian piano ad entrare in sintonia e, attraverso la scrittura, ad esprimere bene i miei sentimenti.
sei Luisa?
L
Brava Lalla hai trovato il coraggio di rivendicare ciò che è tuo e di commuoverci con il tuo animo poetico.
come superare l’impasse?
Quando si è sinceri e onesti è facile che i migliori si accompagnino a noi lungo la strada e ne dividano la solitudine,e come i bambù, bisogna flettersi per dotare il “giardino della nostra vita” di un “magico” rinnovamento.
“Cosa spinge Remy?”
In apparenza lo spingono la fama di gloria e la voglia di riscatto.
“Cosa lo spinge realmente?”
Remy in realtà rappresenta l’uomo.
Un animale che si differenzia da tutti gli altri per la spinta inesauribile a superare i propri limiti fisici, utilizzando uno strumento che di limiti ne conosce pochi: l’intelletto.
“Qual è il suo reale obiettivo?”
Cambiare il proprio sistema di coordinate ma, forse, far cambiare ai “clienti” del ristorante e ai colleghi del suo amico il proprio sistema di coordinate. Vuole spingere tali soggetti ad allargare i propri orizzonti, a vincere i propri pregiudizi.
In una parola, a comprendere che se lo sguardo rimane sempre alla stessa altezza, si perdono di vista interi universi, sia quello sotto di noi (fatto di topi, di buchi, cunicoli, storie) sia quello sopra di noi.
“E soprattutto: quando l’obiettivo che ci poniamo trova ostacolo nel contesto che ci accoglie, come superare l’impasse?”
La difficoltà maggiore consiste proprio nell’accorgersi che l’ostacolo è nel contesto. Siamo immersi nei contesti, e questi finiscono per diventare i nostri metri di paragone.
L’empasse lo si supera uscendo dal contesto, vivendone (o anche solo immaginandone) altri, e cambiando le proprie coordinate mentali.
“L’empasse lo si supera uscendo dal contesto, vivendone (o anche solo immaginandone) altri, e cambiando le proprie coordinate mentali.”
Condivido! Non sempre il contesto è possibile cambiarlo, ma può cambiare il modo di leggere il contesto, di analizzarlo.
Cos’è oggettivo davvero quello che vivo o ciò che interpreto, o ciò che il contesto vuole da me?
Se sono ubbediente e sottomesso il contesto mi ingloba, se sono ribelle il contesto mi rifiuta, se sono una via di mezzo il contesto mi ignora.
Si torna sempre al solito discorso, come il cane che si morde la coda, che cosa cerco e cosa è giusto per me?
Chiarito questo a se stessi il contesto è altro da me che posso accettare, cambiare o abbandonare.
Forse è utile chiedersi ma il contesto è statico o flessibile?
Un NO può diventare un Si o un Mai, è flessibile o inflessibile la nostra decisione è l’oggettività della situazione o la luce spenta della nostra mente a rimanere stritolata negli ingranaggi del sistema e prigionieri di se stessi?
Certo è che mettere la testa sotto la sabbia è un grogiolarsi in una paciosa fiacca.
Il cavaliere non guida il suo destriero solo per mezzo delle redini, ma anche facendo sentire l’ energia fisica per mezzo delle gambe.
Spesso anche le nostri situazioni personali richiedono una presenza intensa ed energica, ed a volte, invece, l’ umiltà e la modestia aprono le porte alla grandezza, al talento.
All’incrocio si deve saper scegliere e creare un evento nuovo per uscire dal ristagno.
« Uuuuhhh!!! Guardatemi sto morendo. La bufera mi ulula il de profundis nel portone e io ululo con lei. È fatta, sono fregata!”
“Ho un cuore di cane”… randagio
Complimenti Cristiano Maria Gaston a partire dal quesito che hai posto “quando l’obiettivo che ci poniamo trova ostacolo nel contesto che ci accoglie, come superare l’impasse?” alla conduzione dell’ Officina come strategia psicoanalitica sei stato un gran maestro o meglio un gran terapeuta, giovane e geniale.
La più prestigiosa affermazione di Sè nell’ Officina credo si debba riconoscere a tutti i ragazzi e ragazze del professor Andrea Monda che hanno saputo con grinta e con capacità dialettiche esprimersi al meglio.
Naturalmente ad Andrea che per l’ affermazione di sè come educatore ha mostrato i suoi gioielli uno diverso dell’alro che non hanno havuto bisogno di imitare il professore con un suo modo di dire o di scrivere ( come si nota in altri casi).
Insomma i ragazzi di Monda non sono fotocopie del prof. ma originali.
Complimenti a tutti e davvero grazie per avervi conosciuti ragazzi/e.
Oddio ho scritto “havuto” con l’h ora chi li sente Giuli e Sis.
Ne approfitto per dire altre poche cose sulla Officina ritengo la tua scelta Cristiano di lavorare sugli archetipi che i personaggi rappresentano per ognuno di noi, una scelta dinamica ed intelligente.
Gli Archetipi sfuggono al controllo razionale ed hanno un ruolo decisivo nell’impasse.
No ci hai tediado , come alcuni spicologhi fanno per esempio quando si parla di disincanto che ti propinano le favoline del ” vissero tutti felici e contenti”.
Ognuno ha l’archetipo suo da gestire, o lo elabora o lo subisce così vanno le cose nel contesto della nostra vita.
Abbattiamo i muri, anzi abbattiamo gli Archetipi
rompono propio gli schemi per una vita semplice autentica fatta anche di miseria umana, ma in questo caso bisogna rivolgersi ad Antonio ed ai padri spirituali.
Grazie per i complimenti :-)
Ma mi associo soprattutto a quelli per i Monda boys, che hanno partecipato con interventi intelligenti ed affilatissimi – è stato un vero piacere, spero di ritrovarli in qualche officina futura
Archetipi
…e l’ acqua del lago rimendò a Narciso il suo disprezzo per aver usato la traparenza della sua anima rendendola torbido fango
istintualità e simboli
LA TIGRE
La tigre simbolo d’ energia(come la persona di valore) è distinguibile per la chiarezza del suo mantello bicolore dal disegno preciso e definito, nella sua perfezione geometrica.
La persona, nel suo valore, i cui pensieri non hanno la tortuosità, è comprensibile da tutti.
Alle parole succedono immancabilmente i fatti come nel mutevole mantello tigrato si alternano i chiari e gli oscuri senza sfumature che ne compromettono il rilievo.
E’ il caso di dire:
dalla notte remota al giorno presente
nell’impasse a legge di chiarità
son giunta a destarmi,
libera d’ ogni causa e tempo suprema mi appare
la Luce che illumina il Cammino