Lab. O’Connor – report di marzo (e due domande)
Primo esperimento di report collettivo per il laboratorio O’Connor. Abbiamo infatti invitato i dieci partecipanti all’incontro di marzo ad inviarci proprie brevi impressioni.
Vincenzo ci dice di aver “passato una piacevole e per me diversa serata a sentir leggere delle pagine di libri abbastanza diversi fra loro; mi dispiace di essere andato ‘fuori tema’ con la mia lettura perché credo che il ‘vostro’ concetto di lettura sia quello giusto. Il relazionarsi con altre persone su sensazioni personali è molto bello e mi ha creato stimoli per nuove letture e nuovi …pensieri.”. Vincenzo ha infatti portato un brano del saggio Sfamiglia, di Paolo Crepet, e la sua scelta ha favorito dibattito attorno all’antica questione: sono accolti nel nostro laboratorio testi di carattere strettamente saggistico? Ai commenti l’ardua risposta.
Alberto, “l’uomo col codino che all’ultimo laboratorio di lettura ha portato un incipit di Luis Sepùlveda”, risponde allo stimolo lanciato al momento di congedarci, definendo il laboratorio O’Connor come “un’occasione ghiotta di approfondimento interiore, che va al di là dei contenuti narrativi che ognuno conduce nel cerchio di piedi attorno al quale sediamo”. Continua Alberto: “In quella sede ognuno riporta se stesso e attraverso il testo racconta pezzi della propria storia, frammenti della propria cronaca, schegge del proprio momento, visioni, prospettive. Questo è, per me, l’arricchimento. La finestra che si apre sulla celebrazione d’una comunione in un luogo dove non ci sono tavoli che consentano d’appoggiare i gomiti che troppe volte sono le fondamenta d’una barricata di mani. In quella sede ognuno di noi, dietro le parole, è mimo di se stesso e accoglie e dona allo stesso tempo. Per la volta prossima vorrei cambiare versante di quel cerchio, sedere dal lato opposto, affinché il movimento non mi consenta, anche inconsciamente, di radicarmi in un luogo conosciuto, sicuro, e quindi rischiare di chiudermi all’arricchimento dato dalla varietà. Ho compreso come nel metodo del laboratorio, il non diritto di replica, sia fondamentale, soprattutto per chi, come me, ha iniziato da pochissimo, rispetto all’età anagrafica, ad approcciarsi alla letteratura e ancora si trovi a lottare contro un intimo senso di inadeguatezza. Queste sono le conclusioni alle quali sono giunto dopo i quattro o cinque incontri ai quali ho partecipato. Ringrazio tutti voi di Bombacarta che rappresentate un solido approdo per chi, ondivago della vita, decida di calare in acqua il remo e cerchi una direzione.”
Rimane più sul pezzo Federico. Secondo lui l’ultimo laboratorio ci ha regalato “diverse immagini della natura: la descrizione viva e luminosa di un passo di montagna; l’incontro con il mare, che mantiene sempre il fascino della prima volta; un’ode alla moglie e la ricerca delle sue virtù, nelle femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio. Ed ancora la visione di un paesaggio filtrata dal gioco della memoria. Tutto ciò che segue è un prezioso intrecciarsi di riferimenti e scambi di idee. Ecco nel dettaglio alcuni testi:
Il vecchio che leggeva romanzi d’amore (Luis Sepulveda) – Il dottor Loachamin viene in paese due volte l’anno, ma odia il governo tutti i giorni pur avendo dimenticato la ragione, tanto vi è abituato. La saletta del dentista diventa un po’ come il salone del barbiere, animata da un vivace scambio di battute, se non fosse che il dialogo tra il dentista ed il paziente sotto i ferri non è certo ad armi pari.
Cani neri (Ian McEwan) – Il brano ci conduce in un sentiero di montagna. L’intensità (l’assurdità di tanta forza che obbligava la vita ad aggrapparsi agli angoli più impervi), il senso di vertigine (il muro verticale di roccia sprofondava per un centinaio di metri) quasi ricordano una visione delle Alpi in una tela di Turner, Passo Del San Gottardo.
Norvegian Wood (Murakami Haruki) – Tornare dopo venti anni nei luoghi dell’adolescenza e scoprire che alcuni dettagli fino ad ora marginali sono incredibilmente nitidi, mentre è scomparso il volto di Naoko, il centro del mondo di allora, tutto ciò che sembrava così prezioso. Eppure solo adesso è possibile raccontare di lei. Capisco che in fondo a poter riempire quel contenitore imperfetto che è la scrittura, sono solo ricordi e pensieri altrettanto imperfetti.”
A parer mio le perle dell’ultimo laboratorio sono state una sorprendente (per me) poesia di Umberto Saba (A mia moglie) e Fotografia dell’11 Settembre, poesia di Wisława Szymborska che ha letteralmente ammutolito tutti i presenti per un lungo minuto. Così sorge spontanea la seconda domanda di questo report: non sarà che l’O’Connor si esprime al meglio quando parla in versi?
A completare la batteria dei testi letti:
Il Giovane Holden, di J.D. Salinger
Il Mare, poesia di Jorge Luis Borges
Il Dio del fiume, Di Wilbur Smith
La vita agra, di Luciano Bianciardi.
Leggi i report di novembre , dicembre, gennaio e febbraio. Segui il laboratorio su aNobii .
Appuntamento al prossimo 8 aprile.
bellissimo questo report collettivo! da mantenere nelle zone “alte” del blog di BC! In particolare le riflessioni dei partecipanti al laboratorio sono beni preziosi da custodire e far conoscere.
Maurizio pone una questione: saggistica, narrativa, poesia.
Il laboratorio che è per la narrativa, sembra decollare con la poesia: è vero, anche se è vero che questo dipende dalle singole poesie che vengono portate. Senz’altro la prosa è più pesante, piatta, mentre la poesia è simultanea, istantanea, vivida…breve!
La saggistica: io leggo per lo più saggistica ma ricordo (forse ricordo male) che agli inizi ci fu un veto (e ne soffrii), ora ovviamente sono diventato il più zelante difensore di quel veto. Il rischio è che il “dibattito” prenda il sopravvento. Però mi affido alla clemenza della conduzione del laboratorio…
andrea
Bellissimo e DECISAMENTE DA EMULARE !!!!
Grazie per l’idea che FREGO SUBITO ;-)
La singolarità del laboratorio è che, a volte, del tutto casualmente, si scopre un senso comune alle letture che portiamo; un senso inteso come un passaggio di concetti da una lettura alla successiva.
Cito: “Maurizio pone una questione: saggistica, narrativa, poesia.”
Rispondo: devo ammettere che pur non avendo una affinità stretta con la poesia e comprendendo in pieno il veto sulla saggistica, per ora lascerei piacevolmente al caso il contenuto dei laboratori.
Cerchiamo di portare narrativa, ma se si “incappa” in qualche poesia particolare penso che ci sia solo da guadagnarci.
Sulla saggistica, aprirei nei rari casi in cui la scrittura è importante *almeno* quanto le idee (ci sono); il «cosa» viene detto *deve* passare attraverso il «come» viene detto. Magari possiamo fare un’eccezione per i saggi di scrittori (neghereste ospitalità a una pagina da «Nel territorio del diavolo»?).
Sulla poesia… beh, le poesie sono file zip. Condensati di esperienza tramite condensazione della lingua. Non ci sono parole a vuoto. E’ la stessa esperienza che facciamo a BombaBibbia… raramente i testi portati sono superiori a una manciata di versi, eppure si espandono… si espandono… si espandono…
beh…
condivido le risposte di pego, per ora mi sembrano quelle giuste. Almeno, io le condivido in toto…
Le canonizziamo?
Io voto contro ;-)
Non mi convincono nemmeno le eccezioni per i saggi di scrittori o per i saggisti che usano una buona scrittura come ulteriore mezzo di comunicazione. Sono proprio due cose diverse. Un saggio deve trasmettere sostanzialmente un concetto – e possibilmente in modo inequivocabile. Ovvio che quel concetto può generare poi le risonanze più varie, ma siamo proprio su un piano diverso.
Per intenderci, c’è più omogeneità fra la pagina di un romanzo e una statua di marmo che fra la stessa pagina di un romanzo e la pagina di un saggio (ai fini del laboratorio).
A quale esigenza risponde, del resto, la necessità di portare un saggio?
Mi sembra più facile pensare, semmai, ad un “laboratorio di saggistica” (che facilmente però diventerebbe uno spazio dibattimentale).
ok, allora non canonizzo…
L’unica cosa che non mi convince del genere letterario «saggio» è il suo nome presuntuoso. La narrativa, per lo meno, non ha certe pretese.