Non temere
“Non temere di prendere con te” è una pagina di diario, scritta tra Assisi e Catanzaro nel marzo 2010, dal padre francescano Guglielmo Spirito, amico di BombaCarta e critico letterario che dialoga in queste righe con scrittori come Jonathan Franzen, Raymond Carver, Flannery O’Connor e dialoga-prega con San Giuseppe, a cui è legato da grande devozione. Pubblichiamo quindi volentieri ampi stralci delle pagine del suo diario:
«Alzo lo sguardo. I raggi sparsi cadono senza ritegno né distinzioni, spade d’oro nel fango. Difficile resistere alla potenza del tramonto. ‘Cerimonia sproporzionata’ la chiama Eraldo Affinati. La luce del crepuscolo passa attraverso le fessure dei mattoni sbriciolati, s’intreccia tra i fili d’erba, ne fa un gomitolo rossastro; a poco a poco il sole diventa un corpo unico coi cespugli sparsi, con le rocce aguzze o tondeggianti, i nostri volti color senapa. O forse, meglio, color pietra di Assisi…
Passa qualche settimana. Il cielo che si oscura rapidamente avrebbe potuto essere un cielo tedesco pieno di Weltschmerz, ‘dolore del mondo ’. Rammento l’inizio di un saggio di Karl Strauss, La muraglia cinese, il quale inizia con una frase un po’ forte: ‘C’è stato un omicidio, e l’umanità vorrebbe chiedere aiuto ’. La leggo oggi, inscindibilmente assieme a un’altra frase, questa volta di Rilke (I quaderni di Malte Laurids Brigge): ‘Sto imparando a vedere. Non so perché, ma ogni cosa penetra in me più profondamente e non rimane la dove, finora, ha sempre avuto fine. Ho un’interiorità che non conoscevo. Ora va tutto là dentro. Non so cosa vi accada’. È Jonathan Franzen -lo scrittore americano, splendido autore di Zona disagio-, mio ospite per qualche giorno ad Assisi, a farmele conoscere. Discorriamo, parlando dallo scrivere – un buon bicchiere di vino nostrano condivide la nostra riflessione, mentre ceniamo nei pressi di San Damiano -, quanta ragione avesse l’assurda affermazione di Malte: arriva un momento in cui, invece di essere l’autore della scrittura (‘Io scrivo’), uno ne sarà il prodotto (‘Io sono scritto’). Ed evochiamo il Processo, di Kafka: un universo nel quale K. è un innocente accusato a torto, un altro universo in cui il suo grado di colpevolezza è indecidibile, un terzo ancora dove K. è colpevole…
Jonathan è appassionato dagli uccelli, ed è molto coinvolto in iniziative di preservazione delle specie migratorie. Ed è preoccupato per la cecità e insensibilità dell’uomo riguardo all’ambiente, e non solo. Parliamo del dolore, del lutto, delle ingiustizie. Del ‘dolore del mondo ’.
Penso ai fatti recenti, che avvelenano il mondo. Non solo l’orrore redivivo degli attentati suicidi alla Metropolitana di Mosca; non solo la indicibile impotenza davanti ai cristiani bruciati vivi in Pakistan per aver rifiutato l’apostasia; ma anche le continue silenziate violenze subite dai cristiani in India e Bangladesh, in Iraq, in Arabia Saudita, in Egitto…Cristianofobia, la chiama l’ultimo libro di Jean Guitton.
Stupri, sequestri, rapine, torture, omicidi, massacri. Osservare sgomento e inghiottire la nausea che, come uno tsunami, si innalza dalle viscere. Come un’onda possente contro la costa, ha frantumato tutti i miei ragionamenti. Il tempo è passato come un tagliatore di teste che non guarda in faccia le sue vittime: come il governo Turco che, impenitente, si incaponisce a negare il genocidio armeno del 1915, insistendo di essere accolto in Europa. Marginalità, vite dimenticate, come nelle Storie al margine, di Tommaso Giancarli.
Rinunciare a porre domande, a voler scoprire i nessi, gli snodi? La lenta risacca, la diminuita destrezza, la perdita di lucidità dell’Occidente ex cristiano, raggela. Gli egoismi umani –ed ideologici-, assieme a carestie, guerre, tradimenti, vigliaccherie, crudeltà, abusi, saccheggi, ustioni, abbandoni, tragedie… passano sopra i cristiani (e non) come mezzi corazzati sui campi arati, senza riuscir a schiacciarli. Le risposte sgocciolano sulla pelle come fossero la cera di una candela accesa. Bruciano. Come le parole dello scrittore Uwen Akpan, gesuita nigeriano, nel suo crudo romanzo Di’ che sei una di loro, dove racconta delle brutalità dell’Africa odierna, filtrate attraverso gli occhi dei bambini.
I bambini. Alla ribalta per i casi di preti pedofili (che avevano dimenticato, tra l’altro, che chi scandalizza un bambino merita di aver legata al collo una pietra da mulino ed essere gettato all’abisso del mare). Ma la riesumazione dei casi è stata cavalcata da una strategia mediatica ideologica volutamente fuorviante e vistosamente riduttiva, come ha fatto notare un articolo pubblicato su Avvenire la vigilia di san Giuseppe. Del traffico di bambini –per prostituzione e organi-, dei bambini soldato, dei bambini di strada, dei bambini abusati in famiglia, dei bambini non nati… nulla: perché???
‘Giuseppe, figlio di Davide, non temere…’. Giuseppe. Già. La sua festa, festa dei papà. Il pensiero si distoglie dal cupo che sta inghiottendo tutto dentro di me. Come dentro il Bianco in Sunset Limited, di Cormac McCarthy. Visualizzo un volto, il più caro tra quelli –numerosi- che sono nel mio mondo. Viso che mi comunica , per una via affettiva impercorribile da chiunque, una certezza: si riversa tenuamente su di me, in me, la furtiva, inquietante, arrischiata e inebriata capacità di considerarmi padre.
Happiness. It comes on
Unexpectedly. And goes beyond, really…
Felicità. Arriva
inaspettata. E va al di là, davvero…,
mi viene da dire, sorridendo –sorpreso-, con le parole prese di una poesia di Carver. (Jonathan è d’accordo: solo Flannery O’Connor e Raymond Carver riescono a dire, con poco, alcune cose..)
Ripenso alle parole che don Milani riservò ai suoi scolari nel testamento:
‘Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che Lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto nel suo conto’.
Densità emotiva –e teologica– insospettabile, mi dico. Beh, per Giuseppe era certo che il conto era unico, no? Sorrido. E per me? La frase mi osserva con intensità strepitosa. Ci sei? Ci stai? Lo vuoi? Lo voglio? […] È il mio cuore –scopro– il paese più straziato. Le mie peripezie nel passato che ritorna, identico e trasformato. Divento un altro uomo, cioè, me stesso. Il volto mi scavalca, nemmeno fossi una siepe. Divento me, adesso, perché penso a lui: dimentico di me, mi ritrovo. Vivo perché non vivo per me. Senza possedere né moglie né figlio. Senza più possedere me, del resto. Almeno, lo spero –lo voglio– con tutto il me stesso del quale posso oggi disporre. Giuseppe, lui stesso, ha deciso di non appartenersi: non è che un riflesso. Questa è stata la sua decisione, è diventata la sua felicità. E questo lo spiega interamente. ‘Ciò è dato a tutti i padri della terra se lo vogliono’, aggiunge Olivier Le Gendre ne Il falegname di Nazaret.
Gratitudine e preparazione. Hai avuto tutto per nulla. Non esitare, quando ti sarà chiesto di dare quello che di fatto è nulla per tutto. Anche per me, come per Giuseppe, le notti buie e piene di scricchiolii e voci minacciosi, si sono rivelate più chiare del giorno; le mie strade, che serpeggiano faticosamente inerpicandosi sulle colline sassose, si rivelano del tutto dritte. Anche io, che non ho una sposa, sto scoprendo di poter essere padre affianco ai genitori. Gratitudine e preparazione. Dare la vita perché un altro viva. Ci sto. Contento e grato, anzi, felice. E grato.
Siamo già nella Settimana di Passione, alle porte del solenne Triduo Pasquale di Morte e Risurrezione. Il 19 marzo 1939, davanti alla tormenta scatenata sull’Europa, la santa carmelitana ebrea Edith Stein scrive una potente poesia –che è una preghiera–, con un titolo espressivo ma intraducibile: St. Joseph, sorg!, qui tradotto con ‘san Giuseppe, provvedi tu!’, ma che può essere reso con ‘custodiscici!’ e con lo spagnolo ‘san José, cuidanos!’ Al di là delle apparenze, la santa co-patrona dell’Europa ha sperimentato la custodia invocata. Attraverso l’orrore della deportazione, della prigionia e dell’annientamento lei ha vissuto la Pasqua, diede la vita ed ebbe la Vita: dall’abisso della devastazione passò all’abisso della Luce senza tramonto. Erode non ebbe la meglio su di lei. Lei è a casa adesso. E anche io posso non temere. Sono –siamo– in buone mani.
Il cielo è pesante e oscuro sopra di noi.
E dunque sempre notte e la luce non vuole più risplendere?
Lassù il Padre si è allontanato di noi?
Il bisogno opprime il cuore come un incubo.
Non c’è nessun salvatore attorno, che sappia aiutare?
Guarda! Un raggio penetra vittoriosamente le nubi,
una luminosa stellina guarda amichevolmente in basso,
con sguardo paterno, buono e mite.
E così io accolgo tutto quanto ci angoscia, l’innalzo e lo pongo nelle tue mani fedeli:
Accettalo-
St. Joseph, sorg!
San Giuseppe, provvedi tu!
Forti tempeste attraversano i paesi.
Querce che affondavano le loro radici nel cuore della terra
e fieramente innalzavano verso il cielo le loro fronde,
giacciono adesso sradicate e spezzate-
l’orrore della devastazione attorno a loro.
La tempesta non scuote anche la fortezza della fede?
Si spezzeranno le sue sante colonne?
Il nostro braccio è debole, chi le sosterrà?
Sospiranti alziamo le mani a te
Te, come Abramo, padre nella fede,
forte nella semplicità del bambino, meravigliosamente potente,
per la forza dell’obbedienza e della retta intenzione,
preserva il sacro tempio della Nuova Alleanza,
Si suo protettore-
St. Joseph, sorg!
San Giuseppe, provvedi tu!
Quando dobbiamo pellegrinare in terre lontane,
e cercare albergo di casa in casa,
precedi tu come guida fidata,
tu, il compagno di cammino della Vergine Purissima,
tu, del Figlio di Dio fedele padre preoccupato.
Betlemme e Nazareth, anche Egitto
sarà nostro focolare, se te con noi rimani.
Deve sei tu, c’è la benedizione del cielo.
Come bambini seguiamo i tuoi passi,
con fiducia piena prendiamo le tue mani:
Sii te il nostro focolare:
St. Joseph, sorg!
San Giuseppe, provvedi tu!
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