Una sconfinata giovinezza (Pupi Avati, 2010)

Inverno.
Freddo. Bruma intorno. E dentro di te.
La nebbia si è insinuata nella tua testa un respiro dopo l’altro. Impalpabile. Inesorabile.
Sembrava nulla. Anche se un giornalista (del tuo calibro, poi!) che dimentica la parola “intromettere” qualche sospetto lo desta.
La foschia ti toglie le parole. Striscia subdola nella tua vita. Confonde gli affetti, appanna la coscienza.
Fatichi a ricordare. Ogni cosa diventa fumosa. Il passato si mischia al presente, in una sconfinata giovinezza.
Guarda che non sei un ragazzino. Hai i capelli bianchi, lo sai. Già, lo sai. E piangi. Cosa sta succedendo?
Ti chiami Settembre e ciò che ti aspetta è un autunno infinito. Fingerai il giallo della primavera, in un impietoso declino.
La nebbia non si accontenta di umiliare te. Vuole anche il martirio di chi ti sta accanto.
“Non voglio che vai via!”
A chi stai parlando? A tua moglie, alla tua lucidità, al tuo futuro.
Continui a rimettere la puntina nello stesso solco. Sei quel disco inceppato, quella musica chiusa su se stessa. Sei condannato a vivere in un ritornello. Solo nelle pause il presente torna a scorrere.
L’oggi si tinge di seppia. Il bambino che eri ritrova la mamma perduta.
“Giochiamo alla pista?”
La mente vaga, ormai dimentica della realtà.
Insegue le favole. E un cane immortale di nome “Perché?”

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