Veladiano, il senso e la promessa

il-tempo-un-dio-breve

«Quando comprenderai ciò che significa un dolore accettato, comprenderai tutto. È il segreto della vita». Lo scrisse il letterato inglese Maurice Baring, ma è la stessa forza che si ritrova in Il tempo è un dio breve, il nuovo romanzo di Mariapia Veladiano, la scrittrice vicentina che con il romanzo La Vita Accanto si è aggiudicata il Premio Calvino 2010 e ha ottenuto il secondo posto al Premio Strega 2011. Un’opera che ha vissuto una lunga gestazione, come ci racconta la sua autrice. «Ho cominciato a scrivere Il tempo è un dio breve nel 2000 e nel 2005 ho concluso la prima stesura, ma mi sono resa conto che occorreva lasciarlo decantare perché non ne ero del tutto convinta. Nel frattempo ho scritto La vita accanto e ho lavorato su doppio tavolo».

D: Anche in questa tua seconda prova narrativa una protagonista femminile vive l’ingiustizia sulla propria pelle: la separazione, l’ombra della malattia sul proprio figlio…
R: «Il tema, in fondo, è lo stesso. Se con La vita accanto ho affrontato il male immenso del pregiudizio che inchioda gli altri a come li immaginiamo invece di come sono, stavolta il problema è quello del male innocente. Affrontato secondo un’ottica credente, certo, ma questo non ci tutela né dal cogliere né dal dire lo scandalo del male».

Nelle tue pagine, tuttavia, la sofferenza non resta chiusa in se stessa. Prende il lettore e lo porta altrove. Questo libro placa.
«Il problema del male può paralizzare e chiudere nel pessimismo e perfino alla vita, alla possibilità di avere bambini. Ma è la seduzione di un nichilismo che non fa bene né a chi soffre né a chi gli sta intorno, perché non lascia emergere le energie per migliorarci e migliorare. Certo, dobbiamo riconoscere che la vita è un interrogativo, ma non c’è una “risposta” al male innocente. Chi ha cercato di “risolvere” questo problema attraverso un sistema filosofico è finito col dire cose terribili».

Davanti al dolore innocente restiamo quindi muti? Impotenti?
«Rimane la possibilità, umana e bellissima, di poter vivere combattendo il male che c’è. E amando, perché l’amore è l’ultima parola. Io non vedo una “spiegazione” al male. Bonhoeffer ci ricorda che nella Bibbia non compare mai il termine “senso”, mentre invece si parla di “promessa”, che è ben altra cosa. “Trovare il senso” è un suggello all’autosufficienza dell’uomo, mentre la promessa significa fidarsi di una persona, credere nella relazione che si instaura con colui che ci fa la sua promessa».

Ildegarda, la tua protagonista, non si compiace nel ruolo di vittima. Al contrario. Tenta di capire e scusa gli altri. Scusa persino Dio.
«Anche in La vita accanto c’è un passaggio simile, nel quale Lucilla dice a Rebecca di non odiare suo padre e Rebecca risponde che non odia perché capisce. La chiave è capire, capire i meccanismi che ci sono dietro alle storie e alle persone per non giudicare. Ildegarda capisce che se potesse Dio toglierebbe il male dal mondo. Ma non può, non sappiamo perché, misteriosamente non può farlo. Tuttavia lei Lo ha incontrato e si affida comunque a Lui, a Lui lascia l’ultima parola».

Intorno a Ildegarda si raccoglie una piccola comunità di persone assai diverse. Interessante la figura del Direttore del giornale dove lei lavora, che è quasi un padre e un direttore spirituale. Figura inconsueta. Riflette la tua esperienza o un tuo desiderio?
«Il Direttore è una figura che nel romanzo compare poche volte e da lontano, anche se in momenti nodali. Ci sono molti modi di amare. La sua è la presenza di un amore che non può esprimersi nel modo consueto, che sa esserci senza mai essere improprio. Per me è sicuramente una figura che è un desiderio, perché così dovrebbe essere: una professionalità che va molto oltre la sola professionalità, ma allo stesso tempo non invade mai la vita dell’altro».

Sei preside di una scuola. Questo equilibrio vale pure per insegnanti e professori?
«Anche nel campo dell’educazione io non credo alla professionalità pura, come neppure all’umanità pura. L’insegnante deve saper veicolare la sua umanità attraverso il suo ruolo, non può fungere da amico, psicologo o accompagnatore, come tante volte ci viene fatto credere…».

La citazione

«Anche per noi adulti era difficile camminare. Lo sforzo di conversare normalmente mi stremava ma la sensazione di essere avvelenata in ogni piega del mio corpo mi aveva abbandonata. Mi ricordo di aver visto solo in quel momento la neve che turbinava tutt’intorno e di aver pensato:
“Il mondo è più grande del mio dolore”.
Era tutto un incanto. Mi venne l’idea che il paradiso dovesse essere proprio così, bianco e silenzioso, leggero e volante come i pensieri dei bambini. Lo dissi a Tommaso. Lui ci pensò un po’ e mi rispose che se lo immaginava meno faticoso».

Lascia un commento a questo articolo

Prima di inserire un commento, assicurati di aver letto la nostra policy sui commenti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *