Per leggere, scrivere (senza far di conto)

downey

C’è un film demenziale di qualche anno fa, Tropic Thunder, di cui ho dimenticato il nome del regista, che è un film demenziale non molto di più, anche se a tratti fa molto ridere, ma ad un certo punto c’è Robert Downey jr. che interpreta il ruolo dell’attore serio, impegnato, “profondo”, al punto che quando qualcuno gli fa una domanda tecnica sulla sua professione, lui afferma, tutto preso e solenne: “Io non leggo il copione, è il copione che legge me”, lasciando basiti e irritati gli ascoltatori (e divertiti gli spettatori). Però la battuta apre a una domanda più grande: cosa vuol dire leggere un testo?

Noi apriamo un libro, o un dispositivo elettronico, e leggiamo le parole di un testo narrativo, una storia raccontata da un altro uomo, contemporaneo o vissuto da noi lontanissimo, nel tempo e nello spazio. Cosa accade quando un uomo compie questo gesto? Cosa avviene dentro e fuori di lui? Durante e dopo il gesto della lettura? Ma anche prima, e sì perchè la lettura di un testo potrebbe benissimo creare un effetto per cui si attiva la memoria, quella facoltà che Borges definiva: “uno dei modi di modificare il passato”. E infine quello che accade quando un uomo legge un libro è domanda speculare a quest’altro interrogativo: cosa accade quando un uomo scrive un libro?
Di questo e di tutto quello che “a cascata” ne deriva, vogliamo parlare quest’anno durante gli incontri di Officina di BombaCarta. Ovviamente ci sono tantissime cose da dire, ma per fortuna abbiamo nove mesi davanti per farlo, per ora mi vengono in mente due suggestioni (non riesco a definirle “idee”) che condivido.

La prima nasce dalla lettura di Istruzioni per l’uso del lupo, il breve e acuto saggio di Emanuele Trevi che fa parte dell’elenco dei “numi” di BC sin dalla prima ora, ottenendo il “privilegio” di far parte del Manifesto della nostra associazione. Un saggio di critica letteraria contro la critica letteraria se diventa autoreferenziale e sganciata dalla vita, da quella “cosa” che Trevi chiama “il lupo”.

lupo

Ad un certo punto il critico si dichiara preoccupato:

Ciò che mi preoccupa è la leggerezza con la quale si rinuncia a fare silenzio dentro se stessi, a farsi semplice luogo di transito delle cose belle, mentre non si riesce e rinunciare all’unica cosa che davvero non ci serve: la psicologia, con i suoi riti dell’identità e la sua volontà di potenza.

Esattamente come un qualsiasi altro scrittore, un critico può essere giudicato a seconda del fatto che sia lui a parlare attraverso la letteratura oppure che la letteratura riesca a parlare attraverso di lui. Questo è il discrimine.

Questo passaggio dice molto dell’esperienza di BombaCarta. La lettura e la scrittura come momenti di silenzio, di vuoto, per permettere l’avvento della parola, della bellezza. Nello stesso saggio Trevi parla della necessità di “Diventare lo spazio di un passaggio” e ricordo un’officina di qualche anno fa, con l’intervento del poeta Davide Rondoni, che ribadiva il fatto che un poeta non è tale se esprime se stesso, l’artista non deve meramente esprimersi, ma emettere quel grido (di dolore e di gioia) che inevitabilmente fuoriesce quando si viene in contatto con la realtà, con il lupo. Da quello smarrimento di ritrovarsi nudi, senza la protezione di una pelle dura, nasce l’arte, la poesia. Per dirla con le parole di Antonio Spadaro, l’artista è come il polpastrello delle nostre dita, una terminazione nervosa che toccando sente e sentendo ci permette di sentire.

lettura intensa

La seconda nasce da una mia riflessione che sta maturando in questi primi giorni di scuola (questi giorni senza alunni, ma solo a tu per tu con la..burocrazia, che allegria!). Una riflessione che nasce da questa semplice, mostruosa, domanda: ma che senso ha la scuola? Di fronte a una situazione di crisi che da anni la scuola italiana sembra attraversare la domanda sorge spontanea e la risposta, penso (temo) non va ricercata nelle possibili riforme che vengono proposte tenacemente da ogni nuovo governo ma appunto facendo salire il livello della domanda. Non: cosa c’è che non va nella scuola e nell’ultima riforma proposta? Ma: perchè i ragazzi e i professori devono recarsi ogni giorno per nove mesi a scuola? Qual è il senso di questa antica procedura? Perchè in effetti questo senso sembra essersi smarrito.

Mi sono posto la domanda e ho trovato una prima risposta, di certo non esauriente, ma per me importante: gli alunni e i professori hanno smarrito il senso del loro agire perchè il significato della scuola è slittato e si è ridotto. Da educazione si è passati all’istruzione, alla pubblica istruzione. E, secondo slittamento forse peggiore: si è cominciato a pensare che l’andare a scuola per gli alunni volesse dire andare a fare qualcosa che serve per trovare lavoro. Ma invece la scuola, e forse nemmeno l’università, non esistono in quanto funzionali al lavoro. Sottolineo la parola “funzionali”.

scuola1< Questa riflessione, meglio suggestione, che può sembrare estemporanea, e forse anche effetto della troppa esposizione al sole estivo, secondo me invece è importante ed è collegata con la prima suggestione che ho appena condiviso: quella sul fatto che scrivere, leggere e leggere criticamente ha a che fare con la vita, con una volontaria “esposizione” alla vita (al lupo) e non è invece funzionale a saper leggere e scrivere “bene” come se quest’arte fosse solo “tecnica” da analizzare scomponendone tutti gli elementi e valutandoli asetticamente, come sganciati tra loro e con la vita.

La scuola insomma come “palestra di vita”, come spesso di suol dire.

Allora prendiamoci queste settimane di settembre come periodo di palestra, di allenamento, perchè poi saremo esposti a domande grandi, importanti, soprattutto per noi di BombaCarta che abbiamo sempre cercato di tenere insieme letteratura, arte e vita, smarrendoci ma anche ritrovandoci di fronte a questo inquieto e inquietante lupo.

lupo nell'acqua

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