[Report] Officina di marzo 2018
Cristiano
Cristiano ha iniziato con un breve sondaggio sul senso della parola “passaggio”: è emersa una costellazione di significati molto ampia. Questi i termini proposti dal pubblico a ruota libera:
porta – p. di stato – Totti (il p. nel calcio) – p. di governo – scambio – cambiamento – luogo di p. – tempo di p. – passato – passare del tempo – epidemia – contagio – nomadi – tradizione – trasmissione
Durante la discussione si oscillava fra due poli fondamentali: il passaggio come momento transitorio (quindi fugace) e il passaggio come momento di transizione (quindi irrevocabile). Si è deciso per questo intervento (e per gran parte dell’officina) di concentrare l’attenzione sul primo polo, anche se durante tutta la giornata è emersa a più riprese una tensione fra i due estremi.
Il discorso è stato tripartito, secondo questo schema:
Luoghi di passaggio: come da editoriale, gli spazi della casa (la domus antica, il genkan orientale, l’ingresso contemporaneo) che non sono “fuori” pur non essendo propriamente “dentro”. Si è accennato al controverso tema dei non-luoghi, affrontato più apertamente in altre officine (utilizzando ad esempio il film The Terminal).
Tempi di passaggio: rinviando ad altre date un discorso sul kairòs, si è accennato solo al tema della notte usando come esempio il film Tutto in una notte di John Landis.
Persone: ci si è interrogati sul significato della parola “passante”: chi è il passante? Come ci comportiamo con lui? Ci è invisibile, indifferente? O esistono piuttosto delle norme non scritte che regolamentano le nostre interazioni anche con le potenziali centinaia di passanti che possiamo incontrare in una giornata? A questo proposito è stata proiettata una breve scena del film Mongol, in cui due gruppi nemici si incontrano e si scambiano del latte come da convenzione. Il Khan, messo in guardia sul rischio che il latte sia avvelenato, dice al figlio che se lui per primo non rispettasse questa tradizione “il mondo si rivolterebbe sottosopra”.
Si è messo inoltre in luce come ogni luogo, tempo, persona o situazione “attraversati” abitualmente “di passaggio” possano assumere connotazioni diverse, più potenti, qualora capiti di osservarle più attentamente o (per scelta o necessità) da un punto di vista diverso.
Infine, sono state mostrate alcune immagini dalla serie Funeral Train di Paul Fusco.
Tiziana
Tiziana ha esaminato, all’interno del tema più ampio “passaggi”, quella che si può in qualche modo definire l’unità di misura più piccola del passaggio, ovvero il passo.
Prendendo spunto dal “solito banale” giretto in rete si risale al significato di passo, che al tempo stesso è distanza e unità di misura: la distanza che separa i due piedi quando si cammina; per gli antichi romani il passus era inteso come la distanza tra il punto di distacco e quello di appoggio di uno stesso piede durante il cammino. Il passus corrisponde all’incirca alla distanza percorsa con un passo (“passo semplice”) o, più comunemente, due (“passo doppio”): “passo semplice” (in latino gradus) valeva 2,5 piedi, cioè 74 centimetri circa; “passo doppio” (in latino passus) valeva a 5 piedi, cioè poco meno di 150 centimetri. Il miglio romano corrispondeva a mille passi doppi, cioè circa 1482 metri.
Il passo ha vari altri significati nella lingua parlata ed è utilizzato all’interno di moltissimi modi di dire: in meccanica, uno dei principali parametri della filettatura; una delle andature naturali del cavallo; in tessitura, il varco che si apre nei fili dell’ordito; in automobilismo, la distanza fra l’asse delle ruote anteriori e quello delle posteriori; in toponomastica: passo di montagna, punto di passaggio tra due valli oppure nelle aree pianeggianti il ponte o la passerella che permetteva di attraversare un corso d’acqua; in letteratura, una citazione o un estratto tratti da un’opera letteraria; parola pronunciata nelle comunicazioni via radio per dare la parola a chi parla dall’altra parte.
E ancora: a passo di carica; a passo di formica; a passo di lumaca (camminare a passo di lumaca; andare a passo di lumaca); a passo d’uomo; cedere il passo (lasciare il passo); di pari passo; far passi da gigante; fare il gran passo; fare il passo più lungo della gamba; fare quattro passi; fare un passo avanti e due indietro; fare un passo indietro (essere un passo indietro);passi lunghi e ben distesi; fare un passo falso; primi passi (muovere i primi passi; essere ai primi passi); sbarrare il passo; segnare il passo; stare al passo; tornare sui propri passi.
Dunque possiamo considerare il passo un strumento con cui avviare il processo del passaggio, l’incipit del movimento che consente di andare da un punto ad un altro.
In apparenza sembra un meccanismo facile. Anche una passeggiata in sè è qualcosa di semplice: un andare in cui “lo spazio di ogni singolo passo è il luogo in cui si gioca il senso e la meta”.
Da queste considerazioni meccaniche abbiamo tentato di esaminare il passo nella sua valenza più simbolica, leggendo una poesia di Alda Merini:
Ascolta il passo breve delle cose
– assai più breve delle tue finestre –
quel respiro che esce dal tuo sguardo
chiama un nome immediato: la tua donna.
È fatta di ombre e ciclamini,
ti chiede il tuo mistero
e tu non lo sai dare.
Con le mani
sfiori profili di una lunga serie di segni
che si chiamano rime.
Sotto, credi,
c’è presenza vera di foglie;
un incredibile cammino
che diventa una meta di coraggio.
Ancora una volta un poeta ci parla del mistero del suo mestiere, del tributo dovuto alla scrittura, all’arte poetica paragonata ad una donna, ad una storia d’amore che procede come “un incredibile cammino che diventa meta di coraggio”.
Il punto d’arrivo è la meta sfidante di qualsiasi cammino, che spesso diventa un nuovo punto di partenza, per una nuova meta. Siamo passati così ad esaminare il passo di nuovo in un’ottica tangibile, concreta, che va oltre e può modificare il senso e l’assetto del mondo.
C’è un passo che è entrato nella storia, che ha cambiato il modo dell’uomo di guardare all’infinito che sta sopra di lui: parliamo dell’Allunaggio del luglio 1969. O meglio della passeggiata di Neil Armstrong su suolo lunare, che ci ricorda immediatamente la passeggiata di Astolfo sulla luna (canto 34 dell’Orlando Furioso).
Armstrong, poggiando per primo il proprio piede sulla luna disse: “That’s one small step for [a] man, one giant leap for mankind.” “Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità”.
Sofia
Riprendendo il tema dei “passi” introdotto da Tiziana, Sofia ha proposto due estratti dal film Pina di Wim Wenders, pensando alla sottilissima linea che separa l’equilibrio dalla caduta.
Le sollecitazioni di Sofia hanno prodotto una lunga discussione su due temi importanti: quanto del nostro “equilibrio” sia realmente nel nostro controllo (e quanto dipenda invece – nel bene e nel male – da ciò che ci circonda) e quale sia in arte il rapporto tra controllo (precisione del gesto, adesione a una norma ideale, ma anche disciplina e tecnica) e espressione personale (interpretazione, ispirazione etc.).
In chiusura dell’intervento di Sofia, Tiziana ha mostrato da “Billy Elliot” la sequenza “Dancing for Dad“: la danza che va oltre il concetto di equilibrio, di performance e parla un suo linguaggio. Qui il passo di danza serve a stabilire una comunicazione che non può avvenire con i canali tradizionali della parola.
Agnese
Agnese ha esaminato il passaggio come uno stato che ha sempre come conseguenza uno o più cambiamenti. In particolare, uno dei passaggi più significativi nella vita di un uomo è l’innamoramento che provoca dei cambiamenti notevoli nella persona che lo vive: si modifica il modo di pensare, il modo di comportarsi e anche il corpo mostra segni tangibili.
Agnese ha presentato un’ode di Saffo (“A me pare uguale agli dei”, nella traduzione di Salvatore Quasimodo) in cui è viva ed esplicita la descrizione dei sintomi fisici causati dalla visione della persona amata, che corrispondono a quelli di un attacco di panico.
A me pare uguale agli dèi
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde nella lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue nelle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.
Vincenzo
Vincenzo ha riportato l’attenzione sul secondo polo del discorso, quello del passaggio come cambiamento, facendo riferimento in particolare all’adolescenza e al passaggio all’età adulta. Ne è nata una discussione che ha confrontato le due esperienze – una intrinsecamente fluida, l’altra a volte prigioniera della propria immagine di immutabilità.
Giorgio
Giorgio ha proposto una breve sequenza dal film Pearl Harbor in cui viene chiesto un particolare “passo avanti”.
Esercizio
A metà giornata è stato proposto un esercizio di cui si parla in un questo post.
Valerio
Nel polo del passaggio inteso come momento transitorio (e fugace) si colloca la figura del passante, ossia colui che rimane sullo sfondo delle nostre esistenze, sempre presente e sempre invisibile (come il tassista-cocchiere della prima puntata di Sherlock, adattamento in chiave contemporanea del romanzo Uno studio in rosso), simile a una comparsa di un film, che deve contribuire alla creazione dell’ambiente senza però emergere da esso.
C’è poi una figura molto peculiare di passante, che è quella dell’ebreo errante: colui che, condannato per un atto di violenza e ingratitudine, solca i secoli e i luoghi senza mai appartenere a nessuno di loro. Da questo personaggio archetipico se ne diramano poi molti altri che, pur non condividendone l’origine, hanno in comune alcune caratteristiche, tra tutte un generale senso di spaesamento e non-appartenenza. Figure come L’immortale di Borges o, in una chiave più pop, Highlander. Ma anche personaggi ai quali, pur difettando il requisito dell’immortalità, pure il loro girovagare ha negato la possibilità di una patria e di una casa. Si tratta ad esempio di due personaggi apolidi e molto simili, come il Franz Tunda di Fuga senza fine (Roth) e Howard W. Campbell Jr. di Madre notte (Vonnegut).
Questi personaggi, che scorrono nelle vite altrui, sfiorandole senza fermarsi, lasciano però un segno indelebile nelle esistenze dei superstiti. Il loro passaggio lascia il segno. Molti (anti-)eroi rispondono a questo schema: Corto Maltese, Hulk, Lancillotto, i numerosi cowboy (spesso senza nome) che arrivano dal nulla in un paesino e, dopo aver sconfitto l’antagonista di turno che vessava gli abitanti, se ne vanno incontro all’orizzonte.
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