Il principio del dolore
La qualità di un racconto si misura dalla sua capacità di entrare nelle vene della vita e di toccarne i nervi scoperti della “condizione umana”.
I personaggi, diceva Cechov, sono “creature di caldo sangue e nervi”. Se non lo fossero, essi rischierebbero di rimanere pupi, marionette, controfigure, esseri lontani dalla vita e dai suoi significati. Ma se una narrazione o una poesia tocca i nervi scoperti, allora ha necessariamente a che fare col dolore.
Se un essere è “umano”, allora ha sperimentato il dolore. Al di là di ogni approfondimento di carattere psicologico o filosofico, questo è un dato di esperienza, un fatto. Ciò che è tenero e debole, come è l’uomo quando nasce (e ancor prima), non può che essere aperto all’esperienza del dolore e dunque anche dell’amore, del desiderio, della felicità… Ciò che è duro e freddo non può sperimentare nulla del genere.
Se il dolore è esperienza radicalmente umana, e se la letteratura, l’arte, la poesia lo sono anch’esse, allora non può che esserci qualche legame più o meno oscuro tra queste esperienze.
Non bisogna però confondere il dolore con il dolorismo (quante “poesie” nascono dal dolorismo!). Il dolore è un’esperienza, è un fatto. Il dolorismo è un vago sentire compiaciuto. Il dolore è una ferita che ci fa sentire colpiti, feriti, raggiunti da qualcosa che sentiamo provenire dall’esterno (fosse anche una malattia del nostro corpo). Il dolore ci fa capire che siamo vulnerabili e dunque aperti. Il dolorismo chiude chi lo prova dentro se stesso, dentro i propri meandri angusti. Dunque, in fondo, il dolore vero è una vera esperienza di conoscenza della realtà. In letteratura è così, è proprio questo. Il dolore è una forma di conoscenza del reale.
Questa conoscenza può evolversi in una forma di comunicazione. Il dolore, ad esempio, è capace di richiamare una solidarietà che unisce i personaggi e li fa sentire «a casa», come scrive Adam Haslett in un racconto della sua raccolta You are not a stranger here: «Gli dava un conforto familiare trovarsi in presenza del dolore inconoscibile di un’altra persona. Quel posto, più di qualsiasi paesaggio, lo faceva sentire a casa». Nel dolore nessuno e niente può essere conosciuto come estraneo.
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