Waiting for an angel di Helon Habila
Lagos, Nigeria. È qui, nel cuore degli anni ’90, che si svolge la vicenda narrata da Helon Habila nel romanzo Waiting for an angel (tradotto in italiano con Angeli dannati) edito da Sartorio Editore. Il regime militare sotto cui vive dolorante il Paese crea malcontenti e forti tensioni, tensioni che l’autore sceglie di raccontare attraverso una serie di personaggi dall’identità spiccata. Tra questi, l’asse portante è Lomba, un giovane giornalista alle prese con la stesura del suo primo romanzo. L’interesse di Lomba per la situazione politica in Nigeria cresce pian piano, fino a sfociare nella coraggiosissima scelta di partecipare, in qualità di cronista, ad una manifestazione di rivolta contro il regime militare.
La maggior parte dei personaggi della storia si aggira tra i vicoli di uno dei quartieri più poveri della città, Morgan Street. È così che Habila lo descrive:
“Le case erano vecchie, scrostate, i muri ricoperti di muffa, il posto in generale aveva lo stesso aspetto di abbandono e desolazione di un paesaggio sottomarino. Un gruppo di baracche di lamiera e zinco, ammassate tra loro o incastrate tra un palazzo e l’altro, ospitavano un numero incredibile di famiglie. I capifamiglia erano per lo più autisti disoccupati, operai, detenuti evasi che si nascondevano aspettando lo scadere della condanna”.
Ad accompagnare Lomba nel momento cruciale della maturazione della propria coscienza civile è James, il suo caporedattore, il quale lo aiuta a riflettere, non solo sulle ripercussioni che il regime in voga ha sulle sue ambizioni letterarie, ma anche sulla impellente necessità di ribellarsi all’oppressione militare e all’atmosfera soffocante, da carcere, in cui il Paese è costretto a vivere. In uno stralcio particolarmente interessante, James, attraverso forti argomentazioni legate anche al mondo dell’editoria, cerca di dissuadere Lomba dal rifiutare la richiesta avanzata da un giovane attivista di partecipare, sempre come giornalista, alla manifestazione di protesta contro il regime.
“Non troverai un editore in questo paese perché per qualunque editore sarebbe una mossa economicamente dissennata sprecare la carta che già scarseggia, per pubblicare un romanzo che nessuno comprerebbe, perché la gente è troppo povera, troppo ignorante, troppo occupata a stare lontana dalla polizia e dall’esercito per mettersi a leggere. E naturalmente sai perché la carta è poca ed è cara: per via delle sanzioni economiche che sono state applicate al nostro paese. […] Non puoi scrivere con le mani incatenate[…] Sai già che nel nostro paese non può aver luogo una dimostrazione pacifica, sai che arriveranno le truppe, che si sparerà, che forse ci saranno dei morti. […] È arrivato il momento in cui le ferite, persino la morte, non hanno più importanza. Ecco perché penso che ci dovresti andare. Per incoraggiarlo e dimostrargli che non è solo”.
Ed è proprio nel momento di massima tensione che il governo si scaglia violentemente contro chi fa informazione: i mass media vengono ancora più imbavagliati, le redazioni di alcuni giornali perquisite e date alle fiamme, molti intellettuali messi a tacere, arrestati, esiliati. Per scuotere ancora di più la coscienza di Lomba, James decide di accompagnarlo al museo della schiavitù, dove lucchetti, catene e museruole sono conservati in teche di vetro:
“Era sulle navi che usavano le museruole, perché non potessero consolarsi l’un l’altro e risollevarsi l’umore e quindi ribellarsi. Per scoraggiare ulteriormente la comunicazione, non tenevano mai vicine due persone che parlassero la stessa lingua. […] Vedi, tutti gli oppressori sanno che quando si accosta una parola all’altra a formare una frase può scoppiare una rivolta. Questo è il nostro lavoro, il lavoro dei media: rifiutare di essere messi a tacere, incoraggiare il senso critico ogni volta che possiamo”.
In una delle pagine più appassionate, infine, l’autore descrive la manifestazione di protesta contro l’oppressione di un regime che prova, in tutti i modi, a mutilare le idee, i corpi e i pensieri del popolo nigeriano.
Intanto, per le strade la violenza esplode, rimbombando negli occhi e nel cuore di chi abita la scena. Anche Lomba scende in campo, trovando anche la forza di raccontare ciò che accade:
“L’aria sotto di noi era attraversata da grida di terrore; le donne chiamavano per nome i loro figli. Ma a coprire tutti gli altri rumori c’erano i colpi dei manganelli, lo scalpiccio degli stivali sulla carne umana e lo scoppio del gas lacrimogeno.[…] la folla spaventata era circondata da tutti i lati e non sapeva cosa fare, come uno stormo di quaglie costrette a uscire dal nascondiglio; tutti tossivano e cadevano. I ragazzi più agili cercavano di scalare l’alto muro del segretariato, ma la polizia li tirava giù a colpi di manganello, come zanzare, per farli cadere nel canale a cielo aperto, mentre tremavano e di contorcevano dal dolore e dalla paura. Quelli che riuscivano a raggiungere la cima si tagliavano le mani aggrappandosi al filo spinato.[…] Chiusi gli occhi. Mi accorsi che stavo piagnucolando come un bambino che si è perso. Non riuscivo a fermarmi. Persino ora, molti anni dopo, quando ci ripenso, il rumore distinto di quelle violenze mi riecheggia dentro. Risento il rumore sordo dei colpi, i lamenti soffocati e le urla stridule, terrorizzate delle donne”.
L’epilogo della vicenda, nonché dello spaccato di storia nigeriana, non è sicuramente dei migliori. Il romanzo, infatti, carico di riferimenti a fatti realmente accaduti e a personaggi esistiti in quel periodo, lascia l’amaro in bocca forse soprattutto a chi, un po’ per pigrizia, un po’ per comodità, si sforza poco per sollevare il velo dietro cui si nasconde il volto reale di Paesi spesso messi a tacere e in cui – come con amarezza osserva uno dei protagonisti – i sogni non si realizzano mai perché accade sempre qualcosa che li trasforma in un incubo.
Waiting for an angel ha vinto il premio Caine Prize for African Writing
povera Nigeria povera Africa, eppure quanta ricchezza in quella antica terra che ci è madre, brava Rossana a parlarci del romanzo di Helo Habila, proprio oggi ho finito d’intrecciare un amaro vissuto di una ragazza nigeriana vittima della tratta
è un piacere leggerti miss sorriso