Il lessico della politica: Roberto Esposito
C’è un “buco nero” che sembra risucchiare il nostro tempo: l’ossessione identitaria. L’11 settembre ne è stata la rappresentazione più sconvolgente e allo stesso tempo l’esito di una traiettoria che appare tutt’altro che esaurita. Ovunque viene riaffermata la necessità dell’identità, ovunque si assiste ad un ripiegamento sul locale, sul particolare, sulla dimensione etnica. In questa deriva – dove tutto diventa patria – come viene pensata l’identità? Quale soggettività emerge da questo schiacciamento sull’identità? La cifra di questa identità “avvolgente” è la piena coincidenza del soggetto con se stesso: l’identità è un “pieno” che non ammette contaminazioni. Che basta a se stessa. A sua volta la comunità – intesa come somma di identità piene, riparate da confini netti – viene concepita come un organismo che non ammette transiti o fuoriuscite. Alla de-costruzione di questa visione della comunità lavora da anni il filosofo Roberto Esposito.
Esposito “incide” l’etimo della communitas, individuando – in quel munus che stringe i suoi membri – la chiave di volta di un nuovo pensiero della comunità. Il munus, è la tesi di Esposito, non è un pieno, un qualcosa in più, di acquisitivo. E’ esattamente il contrario: qualcosa in meno, un vuoto, un debito. Un dono. La comunità non è una sostanza, ma una relazione. Ciò che impegna i membri di una comunità è allora il reciproco donarsi. Ne esce una comunità che non coincide con se stessa, ma che è strappata a se stessa dal conato donativo che la costituisce. Una comunità che non è appropriazione, ma espropriazione. La stessa identità di chi è stretto dal vincolo comunitario viene radicalmente “smossa”: la comunità è l'”altro” che la porta fuori da se stessa. L’identità si declina allora come taglio, contagio, contaminazione, alterazione. Un’identità che non può essere pensata come espulsione del diverso, perchè l’altro è ciò che la costituisce.
L’altro paradigma messo a fuoco da Esposito è quello di immunizzazione. Se la comunità è del dono, dell’obbligo che lega chi vi appartiene, immune è colui che è dispensato da questo obbligo, da questa reciprocità. E’ immune chi si ripara dal vincolo immunitario – della relazione che ci espropria di noi stessi -, chi si protegge dal contagio, chi pratica la chiusura.
Già il pensiero moderno, è la tesi del filosofo, è attraversato dalla logica immunitaria. Cosa altro è il Leviatano di Hobbes se non l’incorporazione della logica immunitaria nello Stato? Gli uomini per proteggersi dalla legge di natura che li governa – l’essere ognuno il potenziale assassino dell’altro – delegano il loro potere ad un’istanza che li immunizzi dal rischio mortale. Proteggere la vita sacrificandone la stessa naturalità.
La tesi che Esposito sviluppa è che la logica immunitaria si è talmente dilatata da essersi ormai saldamente insediata al centro della comunità. Di averla inghiottita. Di avere cannibalizzato la contemporaneità nella quale siamo immersi. E che questa logica – proteggere la vita attraverso la sua negazione – si sia pervertita a tal punto da distribuire morte in maniera sempre più parossistica.
Cosa altro è stato il nazismo se non l’adozione mortifera e impazzita della logica immunitaria? Non pretendevano i nazisti di preservare la salute del corpo tedesco, di proteggere la purezza della vita tedesca, sopprimendo ciò che nel loro delirio razziale ne insediava la purezza?
Ma se i totalitarismi hanno esaurito la loro carica storica, lo stesso non è accaduto per la logica immunitaria. “Da qualsiasi lato – scrive Esposito – si guardi a quanto sta succedendo oggi nel mondo, dal corpo individuale al corpo sociale, dal corpo tecnologico al corpo politico, la questione dell’immunità si insedia al crocevia di tutti i percorsi. Ciò che conta è impedire, preservare, combattere con ogni mezzo la diffusione del contagio dovunque esso possa determinarsi”.
Dinanzi a questa pervasività, è possibile immaginare un altro presente? Il filosofo napoletano rivendica per il pensiero filosofico l’esercizio di una “ontologia dell’attualità”. E’ la sfida e l’impegno che attende il pensiero. “Cosa, del presente, il pensiero deve assumere come dato e cosa altro – quali possibilità latenti – può risvegliare e liberare? Qual è la parte del presente con cui schierarsi, per cui rischiare, su cui scommettere? Perchè il pensiero non deve limitarsi a descrivere ciò che è, le linee di forza che attraversano il nostro tempo, ma riconoscere nell’attualità l’epicentro di un confronto e di uno scontro tra prospettive diverse e anche contrapposte all’interno delle quali esso stesso si situa. Il pensiero si situa, è sempre situato, sul confine mobile tra dentro e fuori, tra processo ed evento, tra reale e possibile”.
Roberto Esposito, Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica, Mimesis
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