Vado a prendere d’anticipo il mattino
Molti inizi sono figli di uno strappo, di una sconfitta, di una disattenzione ed hanno in sé la cifra della necessità. Inizi obbligati, dovuti e indispensabili. Spesso si è costretti ad iniziare – per non dire ricominciare – solo perché non si è stati bravi a conservare, tutelare e dare respiro a ciò che si aveva. Il sonno, la disattenzione, la mancanza di cura e la superficialità, portano, di frequente, le cose verso la loro fine. E allora, in questi casi, si è tenuti, purtroppo, a dover ricominciare, da capo, ex novo; perché sì, non c’è scampo: quando ci si assopisce placidamente sulle cose, sulle verità di dentro e sulle bugie comode come i migliori cuscini sul mercato, si paga. Sempre. Perché, quando tutto è messo a tacere e tutti sono a dormire, le cose, nel frattempo, vanno, da sole, lungo strade che, quasi sempre, corrono troppo veloci per poi poter essere riacciuffate.
Tre anni fa Vinicio Capossela raccontava veramente tanto nel suo album Ovunque proteggi. Tra mostri, lanterne, processioni, fragilità, attese, scoppi di gioia e lacrime, si fa strada anche la figura di Nutless (Dove siamo rimasti a terra Nutless), l’amico fratello, suo fedele compagno di cuore.
Di notte, nell’ora delle confessioni più feroci, il telefono diventa l’abbraccio tra i due amici, colpevoli, probabilmente, di essersi lasciati troppo soli nel momento in cui il grosso pensavano di averlo fatto, quando invece…Il dialogo con l’amico Nutless diventa per Vinicio preziosa occasione per riprendere le fila dei propri errori. La sua storia d’amore è finita, senza che né i suoi occhi, né quelli dell’amico fratello, si fossero sgranati in tempo per evitare che il vuoto si aprisse sotto i suoi piedi “Potevamo aiutarci un poco di più, tu eri mio fratello. Dovevamo starci un poco più vicini, lasciarci meno soli – recita all’amico Nutless in una lettera che accompagna il testo – senza perdere il tempo a ricordare mentre intanto, avanti, si stava preparando un altro rimpianto.”
Sono i piccoli strappi quotidiani che bisogna imparare ad ascoltare, a vedere, a riconoscere. È pensando a quelli che bisogna perdere il sonno; sono quelli che vanno guardati dritti dritti negli occhi; sono proprio quelli che vanno subito ricuciti. L’ora della fine non ama fare improvvisate e si fa precedere sempre da mille cucù.
Con la consueta amarezza, quindi, Vinicio descrive la beffa che si nasconde dietro la sconfitta, dietro il fallimento. Beffati dal quotidiano, perché indolenti e pigri. “Dov’è che abbiam ceduto il capo al sonno…al vapore, alla cucina, al caldo, al televisore. Tu in un letto, lei in un altro…(…)Cara, cosa hai fatto oggi/E cosa hai fatto tu?/ Cara, cosa hai fatto/Finché non si è fatto Bum BUM bum BUM!”.
Ma nell’ora degli occhi bassi, dei rimpianti e degli addii, Vinicio si congeda regalandoci comunque un antidoto, l’antidoto perchè non sia più tardi e perché si impari, finalmente, a riconoscere le cose per tempo “Veglierò per sempre/dormirò vestito/e starò addosso alla vita come un segugio, come un mastino/non guarderò mai più l’orologio/prenderò d’anticipo il mattino.”
Preciso, accorato, materno, succoso(come ti ho già detto a voce). Ogni parola, ciascuna, è qui come una mano tesa, discreta e vitale, leggera e decisa, a ricordare l’indispensabilità della veglia, dell’attenzione, dell’impegno, contro la frantumazione e la perdita di tutto quello che abbiamo scelto di accogliere e di amare. Generoso.