Dante, il divin poeta popolare
Sono andato a vedere Benigni e confesso di essermi commosso. Forse è la bellezza dei versi danteschi, forse è la passione che ci mette il comico toscano, ma sta di fatto che ho versato qualche lacrima di gioia. Pare che questo sia un tabù per chi fa, di mestiere, il critico, anche se non ho mai capito perché. Quando tanti anni fa facevo il critico cinematografico andavo a vedere le anteprime dei film e ricordo che ero l’unico, tra i critici presenti, a piangere, ridere, urlare di paura o di emozione davanti alle scene dei film che vedevo. Ero anche il più giovane in sala e forse questo era problema, il “peccato” imperdonabile come se la critica fosse una professione ineluttabilmente riservata a persone adulte, per non dire, più brutalmente, “vecchie”. Invece Benigni ha fatto uno spettacolo che è riservato soprattutto ai giovani e ai bambini. Lo ha notato con acutezza Franco Cordelli, nella sua recensione apparsa sul Corriere della sera, che però ha usato quest’intuizione per stroncare lo spettacolo: la “colpa” di Benigni sarebbe infatti proprio quella di aver “tradotto Dante per i bambini”, il che però a me appare come un merito. Punti di vista. Anch’io ho una critica da muovere a questo “TuttoDante” e si riferisce al titolo che è un inganno o se vogliamo una burla: nelle due ore di spettacolo Roberto Benigni si concentra solo per metà su Dante e soltanto ad uno dei cento canti del suo capolavoro, il quinto dell’Inferno (che, forse, è anche la scelta più facile e scontata).
Detto questo l’avvento di Dante alla portata del grande pubblico è un fatto da salutare con gioia, anche perché è qualcosa davvero dal sapore “dantesco” nel senso che la Divina Commedia, come ogni vera grande opera d’arte, non è stata scritta per i critici o gli accademici ma per il popolo. Proprio per questo sorprende l’attacco di Cordelli, un affondo duro e caustico al punto che il lettore è spinto a interrogarsi (“ma perché Benigni dà fastidio?”) e a ricordarsi delle parole che il Papa Benedetto XVI ha inserito nell’introduzione al suo recente libro su Gesù quando ha richiesto al lettore “quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione”; un’efficacissima lezione di critica letteraria quella del Santo Padre che però deve essere sfuggita a Cordelli che sembra essere spinto piuttosto dall’antipatia al punto da far ricordare l’episodio capitato al mistico Angelo Silesius che così confortò un giovane musicista in lacrime a causa di una stroncatura da parte di un critico: “Tirati su, anche perché i monumenti verranno realizzati per gli artisti come te, e non per i critici”. A leggere la recensione di Cordelli risulta in effetti evidente che al critico dia molto fastidio l’enorme successo di pubblico di Benigni e poi il fatto che, come Gigi Proietti, i due comici “non solo appartengono allo star system, ma sono due beniamini del pubblico: qualunque cosa facciano, dicano o rappresentino, si pongono al di là delle critiche, delle obiezioni, delle discussioni”. Però qui il discorso non quadra, come dimostra la stessa critica, severa per non dire spietata, di Cordelli (che arriva a definire lo spettacolo “poco meno che un crimine culturale”). Anzi, direi che da quando Benigni ha cominciato, in tv e in teatro, a “divulgare” Dante, ha raggiunto il risultato opposto, di spaccare cioè l’opinione che ormai si divide pro e contro il comico e la sua presunta (e temuta) “svolta cristiana”. Forse allora si capisce perché e a chi dà fastidio Benigni. In effetti, pur essendo cauto a dosare le parole (non sia mai che si dica troppo bene di Cristo, della chiesa e del cattolicesimo), alcune cose davvero scandalose, il vulcanico Benigni le dice nello spettacolo, in cui peraltro riesce a parlare “a raffica”, ininterrottamente per due ore senza pause o stanchezze; per esempio dice che la teologia tomista e scolastica è stata la più alta vetta della teologia di tutti i tempi, che può competere tranquillamente con la filosofia greca (ovviamente è come scoprire l’acqua calda, ma, come diceva Chesterton, “spade verranno sguainate per dimostrare che l’erba è verde” e Benigni, che tanto ama lo scrittore inglese, sguaina tutta la potenza della sua vis comica); oppure dice che Dante, da buon cattolico, è un poeta del corpo più che dello spirito e che Dio si è davvero innamorato di Maria e da lei ha preteso un sì, libero e responsabile, ed è per questo che la Chiesa ha fatto la guerra contro i matrimoni “combinati” per garantire (contro il volere dei regni e dei governi dell’epoca) specie alle donne, la libertà del loro “sì”; e dice infine (ma altre cose si potrebbero aggiungere) che all’amore bisogna essere educati, altrimenti si rischia di perderlo o pervertirlo. Forse questa è la cosa più scandalosa di tutte: in un’epoca in cui il “libero amore”, il sentimentalismo e lo spontaneismo sono diventati gli “idola tribus”, parlare di un’educazione all’amore è veramente imperdonabile. Non a caso l’accusa più dura di Cordelli verte proprio sul tema dell’educazione: per cui Benigni sarebbe “pedante, retorico, didattico […] la parola più spesso pronunciata da Benigni è «memorabile». Tutto ciò di cui parla è, secondo lui, memorabile. Che cos’ è il libero arbitrio, cioè il pensiero, se non un dono memorabile? (Di chi non è detto, ma questo è superfluo)”. L’incisa finale, messa tra parentesi, rivela forse il vero motivo che sta alla base della critica: il problema alla fine è sempre quello, Dio. Ma qui Cordelli non coglie una cosa evidente, che il protagonista nascosto dello show di Benigni non è Dio (che infatti è il protagonista palese), ma un altro, cioè un’altra: Nicoletta, la moglie del comico toscano. Proprio qui è racchiuso il segreto dello spettacolo di Benigni, il cui merito più alto sta soprattutto nella sua capacità di trasmettere al pubblico l’amore da cui è scosso. Per questo Benigni ripete spesso alcune parole come “memorabile”: quando si prova a parlare dell’amore, se davvero si è innamorati, le parole non bastano più, non si trovano, non contano perché “conta la musica” (come dice lo stesso Benigni nella sua bella canzone “Quanto t’ho amato”). Ma la musica è qualcosa che bisogna avere orecchio per gustarsela. Ora quando Benigni declama gli straordinari versi di Dante è evidente, tangibile, che egli si lascia andare all’emozione, alla commozione e tutti avvertono, nelle corde della sua voce, che c’è qualcos’altro che vibra, ed è il suo amore, concretissimo e quindi sublime, per la moglie Nicoletta. Mai citata sul palco, è lei la protagonista della serata ed è questa storia d’amore, più di quella di Paolo e Francesca, che emoziona e commuove gli spettatori. Certo che affinché il cuore si commuova è necessario che ci siano due resquisiti essenziali: che l’ascoltatore abbia un cuore, e che questo sia un “cuore bambino”. Ma siamo in tempi in cui, oltre a non sopportare tutto ciò che suona come “educativo” (e basta dire che è “didattico” per condannarlo senza appello), non si sopporta nemmeno tutto ciò che sia “bambino” (e basta dichiararsi “adulti” per ottenere – o immaginare di ottenere – un po’ di consenso in più): dopo il “cattolico adulto”, adesso abbiamo il “critico adulto”, ma, in entrambi i casi le due espressioni più che brillanti intuizioni, appaiono piuttosto come due insopportabili ossimori.
(il presente articolo è uscito su Avvenire il 31 maggio 2007)
Ricordo di avere seguito in tv Benigni che ha raccontato Dante e di esserne rimasta affascinata. Io lettrice media, di medio gusto e livello culturale, sono stata avviluppata dalla sua passione per l’icona assoluta della letteratura italiana. Anzi ricordo persino di essermi meravigliata, non credevo che Benigni il giullare potesse nutrire una così sana passione per il nostro “autore in assoluto”, da tutti conosciuto e studiato ma da pochissimi compreso nella enormità del suo genio ed amato. In un epoca di letteratura da fast food, alla mordi e fuggi, una lettura impegnativa come quella della Divina Commedia ha pochi cultori. Perché per leggerla ti devi impelagare in nozioni di Teologia( la Divina commedia è una summa), di filosofia, di astronomia che compongono l’architettura della opera su cui si innesta la genialità creativa del poeta. Benigni insospettabilmente ci ha presentato questo classico dei classici e lo ha fatto con intensa passionalità ma anche con la serietà di studi puntualmente condotti. Il tutto poi rifinito dalla tecnica del bravo comunicatore. Risultato: io come milioni di telespettatori incantata davanti alla tv ad ascoltare l’amore di Benigni per un personaggio che è lontanissimo dal target degli osannatissimi protagonisti dei Talk show di successo. Passione sincera unita ad un accurato studio a tutto campo del testo. Credo sinceramente che questa sia la cosa migliore realizzata da Benigni per la tv. Sento di condividere appieno l’intelligente critica di Andrea.
Solo un punto presenta un limite: quando Benigni declama la Divina commedia. Grande amore, grande passione e anche grande bravura ci mette ma, a mio parere, non avendo il dono della classica “bella” voce non produce il massimo dell’effetto sonoro che possa valorizzare i versi. Dante è sommo poeta che cumula una cultura gigantesca alla genialità dell’ispirazione artistica ed ha un culto quasi erotico per i suoni della lingua italiana: si pensi all’allitterazione per antonomasia “ Amor che a nullo amato amar perdona”. Beh per gustare appieno la bellezza seduttiva di questi suoni occorre proprio una voce all’altezza, secondo me.