Report Officina di dicembre
Il report su questa ultima Officina (12 dicembre 2009) sul tema “tagliare” arriva con un po’ di ritardo. Però arriva.
Forte e ricco di tutti i contenuti che l’hanno preceduta, pienissimo di tutti gli aspetti (i “tagli”?) che hanno contribuito a realizzarla e renderla viva, in una sorta di attesa per tutti gli stimoli che ha creato e che continua a creare.
Nel corso dell’intera officina sono emersi i tre aspetti del tagliare: l’atto del tagliare in sé; lo strumento del taglio; la conseguenza del tagliare, ovvero il taglio.
Intanto come non iniziare con l’Istituto Sturzo che ci ha accolti. Una sede storica, prestigiosa, elegante, con una sala ben attrezzata per ascoltare, vedere e fare al meglio un’officina di BombaCarta. E dunque in uno dei palazzi del centro, immersi in una città alle prese con lo sfrenato shopping natalizio, abbiamo dato il via ad un pomeriggio tutto basato sul tagliare.
Come anticipato, la preparazione dell’officina si è avvalsa di una serie di post hanno dato vita ad una serie di interventi più articolati.
Andrea Monda, presidente di BC, ha aperto il pomeriggio integrando il saluto iniziale con 3 scene da film, seguendo un breve filo logico legato al concetto di tagliare e introducendo al tempo stesso il tema di gennaio: navigare.
Ecco i film: Il secondo tragico Fantozzi con la scena sempre divertentissima della partenza/varo; 2001 Odissea nello spazio con l’immagine del tragico taglio definito dallo stesso Andrea ombelicale mortale anzichè vitale; I love radio rock con il taglio salvifico nel momento del naufragio e la resistenza inevitabile e tipica di chi deve tagliare qualcosa, privarsi di qualcosa, anche se è per salvarsi.
Come ha commentato qualcuno fra il pubblico, “il taglio non rende certo ragione della complessità del reale”. E proprio per questo il tagliare è un atto, un’azione che ci aiuta a conoscere la realtà nel suo divenire.
In questo bisogno di “entrare” nella realtà, di conoscerla, di crearla, più che di distruggerla si è inserito l’intervento di Giuseppe Di Vetta. Un intervento tutto artistico su Lucio Fontana con le sue opere concetti spaziali “Attese” e su Alberto Burri le cui tele presentano un’operazione letteralmente inversa di cucitura e ricucitura su tagli.Un intervento denso di immagini e di significati che ci hanno guidato verso una visione dell’arte povera, quell’arte concettuale in aperta polemica con l’arte tradizionale, che ricorre a materiali come legno, ferro, stracci, plastica, scarti industriali per scardinare il linguaggio classico e facendo dell’installazione il luogo della relazione tra opera e ambiente.
Sul tagliare come incisione della realtà, azione diretta e concreta sulla realtà e anche un po’ come legame con il concetto artistico lasciato dall’arte povera, abbiamo visto il video di Dario Gambarin, un artista contemporaneo che, tra l’altro, crea opere d’arte incidendo il terreno con l’aratro. Qui la sua creazione per la venuta in Italia di Obama, dal significativo titolo “Hope is in the land”.
È stata poi la volta di Stas’ Gawronski che ha parlato dell’esperienza del taglio, della separazione tra due universi (dimensione orizzontale) che è allo stesso tempo esperienza della profondità del taglio (dimensione verticale). Ha presentato due quadri di Chaim Soutine, pittore francese di origini lituane, vissuto fra il 1893 e il 1943.
In particolare l’opera che rappresenta il bue squartato e stata accompagnata dal commento di Giovanni Testori: “Soutine arrischia (e forse sceglie) il macellaiesco, ma la macelleria, tra squarci, rigurgiti e vomiti di sangue, gli si corona d’una superba capacità di stendere ovunque pietre e velluti; Soutine arrischia (e forse sceglie) la vischiosa infetta terribilità dei fori più notturni e segreti ma, strisciando come una talpa entro quelle gole, quegli uteri e quei canali, produce ad ogni pennellata o ad ogni manciata di colore che, arrancando, getta di continuo sulla tela, il luccichio d’un pugno di lucciole che, ecco, splendono come lontanissime stelle”.
Stas’ ha proposto la visione del tagliare come atto positivo, anzi fondamentale, rifacendosi al taglio del cordone ombelicale che consente all’uomo di compiere il primo passo verso la conquista della sua autonomia, seppure allo stesso tempo questo taglio abbia in sé qualcosa di terribile perché inizia anche la fine di quell’uomo.
Il taglio che già conosciamo, pur non avendolo ancora vissuto, è quello della morte, un taglio netto della linea retta del nostro procedere nel tempo, una recisione senza possibilità di ricomposizione della sequenzialità della nostra vita. La morte che viene rappresentata come un essere mostruoso che brandisce una falce, uno degli strumenti da taglio più micidiali perché può tagliare più fili d’erba, uno strumento fatto di ferro dolce e di una lama molto sottile.
Eppure, la nostra quotidianità è piena di piccole e grandi morti e col tempo il nostro volto potrebbe assomigliare a questo ritratto di Chaim Soutine realizzato da Modigliani.
Infine, la proposta di una poesia di Pieluigi Cappello, dove forte torna il concetto della vita e dei tempi dell’esistenza, divisi e regolati da ricordi che passano di padre in figlio, con il dolore della memoria che si perde.
I vostri nomi
Ieri sono passato a trovarti, papà,
la luce in questi giorni non è tagliata dall’ombra
negli alberi senza vento c’è l’odore secco dell’aria
per come posso, ti ho portato il racconto dei temporali,
l’odore di inverno sulle tempie
a Chiusaforte è nevicato, nevica sempre
e le fontane sono ghiacciate
penso, per qualche momento, che tu sia ancora lassù
ad accatastare legna con cura
e non in luoghi come questi
la casa di riposo con la pista per le bocce
dove state raccolti come le foglie nel parco
uniti nell’attesa, lontani dalle città assediate.
Dicevate domani, dicevate questo è il figlio
e con il silenzio del fischio nella bufera
i vostri nomi sono andati via
voi che siete stati popolo e ombra
remissione e forza
il tuo nome, papà, e quello di Bruno, che non era un’antilope
e tirava sassate al pettirosso sul ramo più alto
o quello di Giordano, o quello di Cesare, o quello di Alfredo, l’artigliere
o quello di quelli che, come te, sono stati bambini
che hanno detto domani.
E adesso non è troppo dire
quanto poche sono le foglie cadute
sui giorni di novembre
per dire cos’è l’inverno negli occhi mentre viene
tutto il poco possibile è qui,
nei vostri corpi piegati come l’ulivo
sulle vostre facce di monete graffiate
in questo spazio, in questo tempo confusi
come il cielo e la terra quando nevica,
e se c’è un’uscita, papà, anche se non posso dire domani,
la sua luce sulla soglia
è questo stare dei tuoi occhi dentro i miei
questo pensarvi vivi, liberi e scalzi
le tasche piene di sassi, la memoria di voi
che trema in noi
come una stella incoronata di buio.
Damiano Garofalo ha anticipato il suo successivo e più ampio intervento sul montaggio cinematografico offrendo la lettura di un brano tratto da L’animale morente di Philip Roth. Si tratta della parte del libro in cui il protagonista, il professore David Kepesh, riflette sul significato dell’innamoramento e si chiede se quando incontriamo una persona e ce ne innamoriamo, invece dell’unione di due entità separate (la positività di un “taglio” che trova una congiunzione) forse non ci troviamo di fronte alla perdita della nostra libertà, del nostro essere unici e soli.
La classica domanda da un milione di dollari che ha un po’ spiazzato l’uditorio e di sicuro lasciato un segno…
Quasi in chiusura, l’intervento di Franco Esposito, con una meravigliosa riflessione sul concetto di emigrazione come strettamente connessa al tagliare. In fondo una persona che lascia il suo paese d’origine per andare altrove non opera forse un taglio netto con la sua terra? Non è forse costretto a ricostruire un suo ambiente in una nuova nazione? Ma il taglio per quanto profondo possa essere non sarà mai definitivo. Le origini rimangono, anche nell’uso della lingua. E quali possono essere le conseguenze di questi tagli (anche linguistici)? Le contaminazioni culturali, ben spiegate nell’esempio di musica bhangra, una forma di musica e danza che ha origine nella regione del Punjab del Pakistan e dell’India, originariamente ballata dagli agricoltori per festeggiare l’arrivo della primavera. Abbiamo visto come esempio un video a tema natalizio di tipica musica bhangra.
L’ultimo intervento ha visto Damiano Garofalo alle prese con una serie di clip cinematografiche che hanno meravigliosamente spiegato il cut ovvero il montaggio nel cinema e i suoi risvolti più interessanti. A partire dall’esperimento del 1920 del regista russo Lev Koulechov con l’alternanza di un primo piano di un attore prima con un piatto di minestra, poi con il cadavere di una bambina in una bara e poi con una donna sdraiata su un divano. Sebbene l’espressione del viso dell’attore non cambiasse, il pubblico percepiva i suoi differenti stati d’animo (fame, paura, desiderio)
È stata poi la volta di Alfred Hitchcock e della sua intervista su questo esperimento, seguita dal montaggio di Ottobre di Ejzenstein. Si tratta dell’invenzione del cosiddetto “montaggio intellettuale”, ripreso poi dal cinema espressionista tedesco o dagli stessi surrealisti. Tale pratica poteva essere utilizzata efficacemente per manipolare le emozioni e le convinzioni ideologiche degli spettatori. (per questi video vi rimando alle pagine di BC su Tagliare)
Sempre sul concetto di taglio abbiamo visto clip tratte da Psycho di A. Hitchcock (scena della doccia); Io ti salverò di A. Hitchcock (scena dell’incontro notturno e della porta che siapre sul fondo); Il mucchio selvaggio di S. Peckinpah (scena dell’attacco selvaggio e delle sparatoria) e il cortometraggio, prima opera di Martin Scorsese The Big Shave dove il vero protagonista è il rasoio…
Forse anche questo report avrebbe bisogno di un taglio!
Prima di inserire un commento, assicurati di aver letto la nostra policy sui commenti.