Cosa fa il letterato oggi?
La condizione sociale del letterato è stata varia e mutevole nel tempo, come hanno evidenziato ormai da vari decenni gli studi di Escarpit e di altri, pubblicati anche nella Letteratura Italiana Einaudi (vol. II). Basta prendere in considerazione la storia della nostra letteratura nazionale per vedere che da un’iniziale condizione di uomini di legge, sostenuti economicamente dal potere imperiale (poeti della Scuola Siciliana) o dai nascenti comuni (da Guittone d’Arezzo a Dante prima dell’esilio), si passa alla dipendenza dal mecenatismo dei Signori per un lungo periodo di tempo, che possiamo far iniziare con l’esilio di Dante e concludere con il Marino. A questo si affianca il mecenatismo della Chiesa, con imposizione di regole di vita che determinano lacerazioni di coscienza e doppia morale, ben testimoniate dal Bembo e dall’Ariosto. L’Illuminismo, che lega più strettamente il letterato all’organizzazione dello Stato, lo libera dalla sudditanza alla Chiesa, come nel caso del Parini, ma con i rapidi cambiamenti politici crea quelle situazioni di difficoltà ed insicurezza che hanno caratterizzato la vita del Monti e del Foscolo, di contro ai quali si pone la posizione di libertà dell’Alfieri, dovuta alla sua condizione di rentier. In questa stessa situazione sociale, che diventerà sempre più precaria per le trasformazioni economiche dell’Ottocento, vivranno il Manzoni, grazie alla disinvolta condotta di sua madre che riuscirà a mettere insieme i patrimoni di tre cospicue famiglie lombarde (Beccaria, Manzoni e Imbonati), ed altri letterati minori del nostro Risorgimento, mentre altri dovranno ancora dipendere dal mecenatismo (Pellico) o cercare nuove forme di sopravvivenza (pensiamo alla stagione dei medici-scrittori). Intanto la condizione del benestante diventa sempre più difficile e precaria, come ci testimonia la vita del Leopardi, che deve ricorrere a pochi e mal retribuiti lavori editoriali e soprattutto all’aiuto generoso degli amici. Con l’unità d’Italia e la conseguente migliore organizzazione del sistema educativo nel nostro paese, la scuola, nei suoi vari ordini e gradi, diventa il mezzo di sostentamento dei letterati, come testimoniano il Carducci, il Pascoli e molti altri, offrendo anche alle donne possibilità di emancipazione economica e culturale (Ada Negri). Accanto all’insegnamento, una nuova opportunità è fornita dal giornalismo, ad iniziare da D’Annunzio, le cui condizioni di vita restano comunque a lungo precarie e difficili fino a che non può godere del sostegno del Fascismo, a patto di uscire dalla scena politica per non mettere in ombra Mussolini. Per tutto il Novecento queste due condizioni professionali (l’insegnamento e il giornalismo) sono state determinanti per i letterati, con un progressivo prevalere della seconda sulla prima come leadership, anche per l’ affermarsi della radio e della televisione. Accanto a queste strade, importante diventa quella del lavoro editoriale. Pensiamo a Montale, prima aiutato dalla famiglia e da signore generose, poi giornalista, a Quasimodo, geometra cui viene assegnata una cattedra di letteratura italiana al Conservatorio di Milano, a Pavese e Calvino, supportati dall’editore Einaudi, a Caproni, maestro elementare e collaboratore di giornali e case editrici, a Luzi, Sanguineti ed Eco, professori-letterati. Resta, però, da tener presente sullo sfondo il PCI, che, per quanto riguarda la cultura, ha avuto a lungo mano libera nel secondo Novecento, operando scelte e fornendo posizioni di privilegio su base ideologica.
Caso atipico, che prelude a sviluppi futuri, quello del signor Ettore Schmitt, come tale industriale di vernici sottomarine, ma Italo Svevo come letterato, quasi uno sdoppiamento della personalità.
L’insegnamento, il giornalismo, il lavoro editoriale, tutte condizioni che lasciavano ai singoli autonomia nel gestire l’ impegno professionale e tempo libero per dedicarsi all’ attività letteraria.
Con il Terzo Millennio tutto cambia. Pensiamo ad un giovane che oggi voglia dedicarsi alla letteratura e nello stesso tempo debba procurarsi … il pane quotidiano. Nella difficile situazione in cui si trovano oggi i giovani per quanto riguarda il lavoro, chi ha interessi letterari è indubbiamente in una condizione ancora più svantaggiata. Infatti in Italia (secondo i dati ISTAT del 2006) il 30% dei giovani tra i 24 e i 35 anni è senza lavoro e i lavoratori precari sono 3 milioni e mezzo, per lo più giovani, il che vuol dire che guadagnano mediamente 12.000 euro all’anno su cui devono pagare le tasse, senza avere diritto ad alcuna indennità per malattia, né ferie, né tredicesima, né cassa integrazione, sempre con il rischio che il contratto non sia rinnovato. Ma se quanti operano in campo tecnico-scientifico o economico-giuridico, pur nell’attuale difficile situazione, possono avere qualche possibilità, per chi è orientato in campo culturale, soprattutto letterario, le opportunità sono ridottissime, perché i tagli praticati dal governo si sono abbattuti soprattutto sulla scuola e sulla cultura, con ripercussioni pesanti nelle assunzioni a scuola e all’università, nell’editoria e nelle attività culturali in genere, a cui si aggiunge il fatto che anche chi riuscisse a trovare lavoro in uno di questi campi sarebbe gravato da compiti e orari che renderebbero molto difficile disporre non dico solo del tempo, ma delle energie necessarie per dedicarsi anche ad un lavoro di produzione letteraria autonoma. Questo, in particolare, nella scuola e all’università, dove una gran mole di lavoro burocratico-amministrativo è stata sempre più addossata agli insegnanti per risparmiare personale tecnico. E il ritrovarsi in ristrettezze economiche nella vita fa perdere “metà dello spirito”, come diceva Bossuet. Ad aumentare saranno allora le “scissioni” alla Italo Svevo, con la perdita della figura del letterato in quanto tale, ben consapevoli che se lo scrittore non deve essere necessariamente letterato, deve pur avere condizioni di vita tali che gli permettano di farlo.
La forza della letteratura è grande, dato che la produzione letteraria in Italia continua ad essere intensa, ma forse un discorso più attento dovrebbe essere fatto sulla qualità, ma anche sulla produzione in relazione alle fasce generazionali e sulla percezione di sé e della propria produzione che può avere lo scrittore “scisso” (bancario o lavapiatti), sovente profondamente insoddisfatto, oltre che meno disponibile (soprattutto per ragioni di disponibilità di risorse e di gestione del tempo) all’incontro, allo scambio, al confronto con altri letterati e più limitato nella lettura e nell’approfondimento.
In questo quadro, però, problematica diventa soprattutto la possibilità di scelta, di determinazione personale, in definitiva di libertà di vita.
A questo punto potremmo anche pensare che sia da considerare storicamente finita la lunga stagione dell’indipendenza ed autonomia sociale del letterato e che sia opportuno ripensare al mecenatismo, un mecenatismo illuminato, tale da non vincolare e condizionare dal punto di vista ideologico e politico, un mecenatismo pluralistico, che può essere gestito da privati illuminati e generosi (ci sarà un altro Adriano Olivetti o gli sponsor preferiscono lo sport?) o da uno stato democratico. È una questione di scelte dell’impiego del nostro denaro. Noi tutti in Italia siamo sottoposti ad una pesante tassazione e molti di noi preferirebbero certo che il denaro pubblico fosse più generosamente impiegato per la cultura, per offrire possibilità di studio, di ricerca, di lavoro intellettuale ai giovani, diciamo anche di libertà di scelte di vita, piuttosto che per mandare missioni “di pace” in Afghanistan o … a bombardare Tripoli.
Mi piace questa idea del mecenatismo, anche se lo vedo più “personale” che “statale”, da sturziano sono anti-statalista. Grazie per questo articolo Rosa, uno dei più “politici” apparsi sul blog, nel senso migliore del termine, bene!
Grazie, Andrea! L’ho scritto perché ho intorno troppi giovani in grandissime difficoltà: si deve fare qualcosa.
anch’io (ho tantissimi giovani, molti di loro in difficoltà), sì facciamo qualcosa!
Grazie a Rosa Elisa per averci proposto questo intervento “militante” che mostra interesse e sensibilità verso la precarietà della condizione giovanile, schiacciata dalle troppe incognite di un futuro che fa dei laureati ( e soprattutto di quelli in materie letterarie) dei fantasmi del mondo del lavoro. Forse la via più adatta per un riqualificazione del lavoro culturale sarebbe quella di mostrare che anche la cultura può essere fonte di crescita economica, come dimostra la crescente affluenza di persone interessate ai vari festival culturali in Italia e pronte a spostarsi pur di parteciparvi.
Insomma le vie percorribili sono molteplici, l’importante è che ci sia ancora chi voglia seguirle.
Personalmente, mi pare che la seconda parte dell’articolo finisca per assumere un connotato politico – ideologico che non consente di analizzare nella maniera migliore il problema della funzione del letterato oggi. Se è pur vero che anche i tagli alla cultura e la disoccupazione contribuiscono a rendere difficile il mestiere di scrittore, la risposta a tutto è da cercarsi sempre nell’articolo: “La forza della letteratura è grande, dato che la produzione letteraria in Italia continua ad essere intensa”. In effetti ho l’impressione che la funzione del letterato cambi in misura assai residuale a causa di problemi “economici”, ma molto più per ragioni sociologiche. Un libro esiste solo se c’è un lettore che lo legge, e quindi una simile analisi non credo possa prescindere dall’indagare i rapporti tra scrittore e lettore. Certo non ho la competenza per fornire una soluzione, ma mi sembra che oggi sia il lettore a scandire i tempi dell’attività letteraria, a chiedere romanzi, storie e racconti nei quali filtrare la propria vita e la propria quotidianità, ed allora lo scrittore finisce per arrivare sempre un po’ dopo, per seguire le mode, le esigenze del pubblico del XXI secolo, e così facendo perde quella funzione “oracolare” e “spirituale” che, almeno per come la penso io, è imprescindibile nella maggior parte dei generi letterari.