Preposizioni – “IN”
Tema della prossima Officina di BombaCarta del 18 febbraio sarà “IN”. Per chi ci legga per la prima volta o si trovi serendipitamente a sfogliare le pagine del nostro sito, forse saprà che le Officine di BombaCarta svolgono un ampio tema annuale che viene declinato attraverso l’approfondimento di un particolare argomento in occasione di ciascun incontro, che avviene a cadenza mensile. Se negli ultimi due anni abbiamo affrontato quella parte variabile del discorso indicante un’azione che è il verbo, quest’anno il nostro ciclo di workshop è dedicato alle preposizioni. “DI”, “A”, “DA”, “IN”, “CON”, “SU”, “PER”, “TRA/FRA” sono i temi che verranno approfonditi attraverso l’esperienza e la discussione stimolata da testi, film e musiche (spesso dal vivo e unplugged) proposti dagli animatori di ogni incontro. Dopo “DI”, “A” e “DA”, è quindi la volta di “IN”, una preposizione con forte valore inclusivo che si manifesta nello spazio e nel tempo. Infatti la preposizione “IN” ha:
- valore locativo (in America, in mente);
- valore temporale (in gennaio, nel 1965);
- valore strumentale o modale (in contanti, in treno);
- valore limitativo (laureato in letteratura, vestirsi in giacca e cravatta o anche pesce in umido);
- valore di materia (statua in bronzo)
- valore di trasformazione (andare in crisi);
- valore finale-modale (in memoria di…)
- valore quantitativo (in quanti sono rimasti?)
Si potrebbe, evidentemente, dire molto sul tema “IN”. Ma non vi è alcun dubbio che la preposizione “IN” si connota, al di là delle sfumature grammaticali, per la propria dimensione di opposizione e di interiorità. Pensiamo, per esempio, alle persone “IN’ che, sottolineando l’accezione ambientale, fa saltare la perniciosa opposizione dentro/fuori. Siamo infatti tutti “IN” un ambiente, immersi nell’acqua o immersi nell’atmosfera (che è una bolla di aria respirabile “NEL” gelo cosmico…). Va da sé che secondo questa logica nessuno è extra(terrestre/comunitario), quindi “IN” non indica, paradossalmente, chiusura.
Ma “IN”, ovviamente, può essere anche “dentro” contrapposto a “fuori”. “Dentro” come protezione (viene in mente la Lista di Schindler – si salva solo chi è “IN” quel elenco) o come la casa che è luogo sicuro opposto al mondo di fuori, ostile, buio, pericoloso. Oppure “IN” o “OUT”, ossia lo stare dentro gli ambienti che contano, stare dentro gli standard sociali, essere ammesso perchè in linea con la maggioranza che conta.
Ma forse ciò che colpisce di più della preposizione “IN” è la propria connotazione di interiorità.
“IN”, dunque, come interiorità: Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas (“Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell’uomo che risiede la verità”), come diceva Sant’Agostino. Un invito che nella letteratura post-freudiana sembra essere stata recepita sempre più alla lettera. Il rischio, infatti, è una letteratura “troppo interiore” persa nei meandri dell’IO e non aperta alla novità drammatica della realtà. Una letteratura che diventa sempre più una titillazione dell’ego autoriale e che smette di narrare Storie.
Torniamo quindi, per concludere questa breve prolusione, al valore locativo della nostra preposizione: andare “NELLA” foresta pluviale, risalendo il fiume alla scoperta non solo di Avventura ma anche del cuore di tenebra che è “IN” noi.
Hic sunt leones.
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