L’arte è anonima
L’ultima Officina su Autorità e Libertà è stata molto ricca di stimoli. Ad un certo punto è rimbalzata dentro la discussione, sempre vivace lungo le 4 ore dell’incontro, una affermazione di T.S.Eliot sul fatto che “l’arte non è affatto libera“, vi prego di ritrovarne la fonte (il bello che sono stato io a farla rimbalzare!). L’arte come obbedienza, un tema bellissimo da approfondire.
E su questo tema della libertà/arbitrio dell’artista è stata molto bella la discussione sulle cosidette archi-star, gli architetti che come “divi” ormai delirano e possono fare quello che vogliono in forza solo del loro nome. Qui a fianco “brilla” una chiesa di Fuksas (ma ci è stato dovuto dire da Sara Maneri che era una chiesa perchè non lo si capiva).
Poi qualcuno ha citato l’esempio delle cattedrali del Medio Evo. Un esempio agli antipodi da quello delle archi-star: in questo caso si sa solo il nome dell’artista che sovrasta sull’opera (e sul senso dell’opera), mentre nel caso della cattedrali è l’opposto, non conosciamo i nomi di questi artisti ma godiamo ancora oggi della loro opera costruita in modo e con un fine “comunitario”. Ancora una volta è il caso di sottolineare che una cosa è “esprimere” (esprimersi) e una cosa è “comunicare”.
Anche nella narrativa: forse i più grandi libri scritti non sono “libri”, con tanto di autore, ma sono quelle opere comunitarie, popolari, che si perdono nella notte dei tempi e si sono tramandate in forma anonima fino a noi, dai miti ai poemi omerici, da Le Mille e una notte alla saga di Gilgamesh fino a tutte le leggende e le favole che tutti noi conosciamo. Ancora una volta mi viene in mente una vecchia battuta di Chesterton: «La leggenda è fatta generalmente maggioranza, sana, degli abitanti di un villaggio; il libro è scritto, generalmente da quello, fra gli abitanti del villaggio, che è matto».
Non potevo non commentare…e non potevo notare l’immagine del “cubo” di Fuksas! Per chi studia architettura, purtroppo, le archi-star sono un pane quotidiano. L’unica “architettura” che fa notizia è quella legata ai grandi nomi, alle marche e alle firme: siamo praticamente circondati dal consumismo e dal favoritismo economico. Questa necessità di rappresentare qualcosa o qualcuno è sicuramente insita nell’architettura e lo si può riscontrare anche nella quotidianità, ma si può “andare oltre”. Ecco perché sono perfettamente d’accordo nella differenza che intercorre tra “esprimere” e “comunicare”.
A tal proposito voglio raccontare un aneddoto che mi è stato riferito da un parroco di una chiesa distrutta nell’ultimo terremoto dell’Emilia Romagna e che in qualche modo è all’antitesi del “cubo” di Fuksas. In questi mesi la Santa Messa è svolta all’interno di un grande capannone e ora si dovrebbe iniziare a ricostruire la nuova chiesa. Il parroco in questione, per alcune domeniche, ha coinvolto la comunità e ha voluto sapere le sensazioni dei fedeli al continuo spostamento dell’altare da un lato all’altro del capannone. Apparentemente questa variazione ci potrebbe sembrare inutile o addirittura potrebbe farci ridere, ma è stata proprio questo cambiamento a permette al parroco di far progettare una chiesa adatta alle esigenze della sua comunità. Dopotutto, come dice la parola stessa, l’Ecclesia è l’assemblea dei fedeli raccolta, che con i suoi diversi commenti, ha comunicato e partecipato attivamente. E direi che questa citazione è adatta alla situazione: “La coscienza è la custode, nell’individuo, delle norme che la comunità ha messo a punto per la propria conservazione.” Somerset Maugham, La luna e sei soldi, 1919.
e durante l’Officina si è discusso molto su “cosa sia una Chiesa”… alla prossima del 24 novembre non potrai essere assente cara Alice, perchè si parlerà proprio di Presenza/Assenza!
Se l’icona, venerata da tutti, era prodotta senza nome dell’autore, ora è l’autore stesso a essersi autoelevato a icona, anzi, non esiste altra icona al di fuori del suo nome: ciò che produce *vale* in quanto da lui emanata. Figlia di un individualismo tardo romantico: l’artista tormentato che vive a parte, il genio solitario, colui che si impone con il proprio sforzo. Non certo un Shakespeare che commercia cavalli in paese. Cosa cambia? Non solo che la comunità nutriva l’arte, ma che dell’arte la comunità si nutriva. L’opera era soprattutto *possibilità di riconoscersi insieme* nell’opera, uscirne rafforzati nella propria comune unità. Ma se l’arte si fa portavoce esclusiva delle individualità non può che frammentare, dividere, separare ulteriormente, ambire a essere pezzo da collezione privata, non certo di venerazione comune.
l’arte da sim-bolica a dia-bolica?
L’io, è relazione e comunione d’Amore: con Dio, il prossimo e il creato! Non è mai solo. Chi esprime se stesso, è come un deserto in cerca di un’oasi! Ma l’Oasi è nel suo cuore!. La Verità è presente sensibilmente nella coscienza profonda, in superficie non si percepisce. L’Identità precisa, lo sviluppo integrale della propria personalità,l’armonia interiore, è dono del Signore a coloro che hanno molto sofferto e perseverano nella fede,nella speranza e nella Carità nella Verità. “Arte è vedere in ogni cosa Dio”… E se fosse, invece, vedere con gli occhi di Dio ogni cosa? Buona sera. Grazie Andrea Monda. E Grazie Padre Antonio.