Passato e futuro

Caduta del muro di Berlino, picconate“Il passato è una terra straniera, le cose si fanno in un altro modo laggiù”. Così comincia il romanzo L’età incerta di Leslie P. Hartley. Il passato si delinea subito come un luogo a noi sconosciuto, difficile da comprendere. Ma perché il passato ci sembra così diverso dal futuro? Perché ricordiamo il passato ma non il futuro? Forse perché il passato è qualcosa di inarrivabile e inaccessibile, mentre il futuro un tempo e un luogo a prossima portata di mano. Il futuro lo vediamo in lontananza, davanti a noi. Basta rivolgere lo sguardo oltre il confine, come il Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich che osserva un futuro raggiungibile ma sconosciuto, quindi soltanto immaginabile.

L’immaginazione del futuro è centrale nella riflessione artistica che immagina delle società possibili. “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato” è il celebre slogan del Partito di 1984. Nella società distopica non c’è spazio né per l’immaginazione né per l’esperienza e qualsiasi prospettiva di futuro è congelata nel passato. Ma anche il passato può essere re-immaginato in una prospettiva ucronica: è questo il caso di Tito Livio che nell’opera Ab urbe condita libri immagina cosa sarebbe successo all’Occidente se Alessandro Magno avesse deciso di espandersi verso ovest anziché verso est. Nella storia con i se, futuro e passato non ci sembrano più così lontani, da noi e tra loro.

Esattamente come la figura alata in Melencolia I di Albrecht Dürer, non avere alcuna speranza nel futuro può portare a un ripiegamento su se stessi, alla riflessione eterna, alla nostalgia di un tempo passato e al desiderio, impossibile e doloroso, di tornare a “casa”. Ma il passato non è soltanto un luogo inafferrabile ormai perduto: è l’insieme delle esperienze che ci costituiscono nel presente, in base alle quali ci aspettiamo qualcosa dai nostri futuri. Reinhart Koselleck, teorico della storia e filosofo tedesco, ci ha parlato di “futuri passati” come futuri immaginati che, divenuti ormai passati nel corso del tempo, diventano anch’essi storia nel presente. Possiamo perciò definire la storia come la lettura del passato in base alle aspettative del futuro? La possibilità stessa di immaginare un futuro possibile, nel presente, deriva proprio dalle esperienze vissute nel passato. Si delineano così delle possibili “memorie del futuro” che imbarazzano la semantica classica dei tempi storici e la dicotomia stessa passato/futuro.

“Di fronte a te il futuro luccica | Come fosse oro | Ma vi giuro che più si avvicina | Più sembra un pezzo di carbone”, faceva una canzone dei Clash, mentre i Sex Pistols parlavano senza mezze misure di “No future”. E se il futuro non ci fosse, cosa staremmo aspettando? Per ovviare a questo rischio, si potrebbe immaginare il futuro come possibilità e non attenderlo come destino inafferrabile – Joe Strummer stesso invitava ad afferrare il futuro, che “non è scritto”. Di qui, passato e futuro diventano due modi di vivere il presente, che rischia di rimanere schiacciato tra esperienza e aspettativa.

Leggi i 3 commenti a questo articolo
  1. Andrea Monda ha detto:

    mi piace quando Damiano scrive che c’è “una lettura del passato in base alle aspettative del futuro”, è un tema questo che è rimbalzato spesso negli incontri di BombaCarta, il passato che viene dal futuro.. vale la pena rifletterci su..

  2. nicomig ha detto:

    Una bella riflessione, piena di stimoli. I gesti compiuti, anche storici, cambiano il loro senso in base alle aspettative sul futuro. Sembra ancor più vero, oggi, se pensiamo ai grandi avvenimenti che si stanno declinando nella Chiesa.

  3. Lorenzo ha detto:

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