1000 storie… o giù di lì

Christian Schloe, Time to fly

In questo mese di febbraio ci ha lasciato Erriquez (al secolo Enrico Greppi), il fondatore della Bandabardò, uno dei principali gruppi musicali folk italiani. La sua eredità musicale e culturale è riassunta in una frase del suo addio social ai fan: “Ogni storia ha una vita e ogni vita ha mille storie”.

Le parole dell’artista riprendono il concetto in BC molto amato di “abbiamo bisogno di storie” e inseriscono una nuova prospettiva.

Possiamo ripartire dalle storie, ovvero guardarle con occhi nuovi. È questa la “vera” libertà che abbiamo con le storie. Ma possiamo anche entrare nelle storie dalle finestre invece che dalle porte. Prendere l’avvio dalle parole che scatenano le storie e, magari, fermarci sui sogni che impastano le storie.

In poche righe abbiamo già tutto un mondo a nostra disposizione: abbiamo lo sguardo, abbiamo la libertà, abbiamo le parole e abbiamo i sogni.

Che siano questi gli ingredienti delle storie, le materie prime? Potrebbe sembrare così: c’è vita in questi pochi elementi e dunque, quasi come in un sillogismo, saremmo tentati di rispondere sì.

Ma le storie non vanno d’accordo con il ragionamento sillogistico, ovvero quel modo di pervenire a conclusioni vere se le premesse sono vere… una storia potrebbe non “piacerci” più se diventasse necessario controllare e verificare sempre le premesse da cui ha inizio.

Semplicemente, una storia ci piace quando inizia. O meglio, quando inizia davvero. Quando quella parola, quell’immagine che il nostro occhio si è formata internamente, quando quel frammento di sogno cominciano a tirarci la manica, a trascinarci, a non lasciarci più. A voler stare con noi.

Le parole delle storie diventano figure, si animano, prendono vita, nascono. E, a seguire o forse insieme, nello stesso momento, nasce la storia, la sua vita e le mille storie a corollario.

Storia, racconto, romanzo, favola, fiaba, leggenda, mito: mille diverse accezioni, mille sfumature. Ma la base è sempre quella. Un personaggio, un oggetto o soggetto, e un’azione. Da cui si irradiano i paesaggi, i colori, i protagonisti e gli antagonisti.

Gianni Rodari, per citare qualcuno che di storie se ne intendeva veramente, aggiunse un ingrediente segreto e anche un po’ scontato che rende ogni storia un’opportunità: l’errore. Si possono sbagliare le storie. Anzi, le storie possono essere sbagliate eppure rimangono sempre storie. Per intenderci, storie “nuove”:

Ho conosciuto un tale

di San Donà di Piave

che voleva raccontare

la storia di… BIANCANAVE.

 

Cacciato con vergogna

scappò fino a Terontola

e cominciò a narrare

la storia di… CENERONTOLA.

 

Di là fuggì in Sardegna

si fermò a Bordigali

e cominciò la storia

del… MATTO CON GLI STIVALI.

 

Girò tutta l’Italia,

la Francia e l’Ungheria

sempre a sbagliare storie

e a farsi cacciar via.

 

E ancora gira e spera

ancora di trovare

qualcuno che abbia voglia

di starlo ad ascoltare,

 

qualcuno che capisca

che sbagliando, per prova,

con una storia vecchia

si può fare una storia nuova.

Nel numero di prossima uscita (marzo 2021) di Harper’s Magazine c’è un saggio a firma di Martin Scorsese su Federico Fellini, con il titolo più efficace che si potesse trovare, “Il Maestro”.

Parlare di storie senza parlare di cinema ha quasi dell’impossibile: quel connubio di arti che crea l’arte.

Il lungo articolo, personale e passionale come Scorsese sa essere, ripercorre l’uomo Fellini e la sua filmografia.

In particolare, quando il regista cita La Strada scrive:

[…] I saw La Strada, the story of a poor young woman sold to a traveling strongman, when I was about thirteen, and it hit me in a particular way. Here was a film that was set in postwar Italy but unfolded like a medieval ballad, or something even further back, an emanation from the ancient world. This could also be said of La Dolce Vita, I think, but that was a panorama, a pageant of modern life and spiritual disconnection. La Strada, released in 1954 (and in the United States two years later), was a smaller canvas, a fable grounded in the elemental: earth, sky, innocence, cruelty, affection, destruction. […]

In questa considerazione risiede l’alto profilo delle storie, di tutte quelle storie che fondano (anche) il cinema: gli elementi base, fisici e non, che ci permettono di vedere le storie.

Abbiamo bisogno di storie, è vero. Ma abbiamo soprattutto bisogno di vederle.

Come quando ci ritroviamo a guardare dentro la poesia.

La Gelsomina di Fellini è l’esatta esemplificazione di quella maniera innocente e limpida di guardare al mondo.

 

E a me ricorda una poesia di Bartolo Cattafi, Per strada

Vai

ad occhi aperti cammina

ne vedrai di belle

per strada

un paralume

una scarpa

un orecchio

la copertina d’un libro forse

fatti con la tua pelle

e la tua faccia triste

a uno specchio

sotto un altro nome.

Un paralume e una scarpa, come il carretto pieno di attrezzi di Zampanò che sono un aspetto concreto del quotidiano, l’orizzonte primo e ultimo di uno sguardo che procede ad occhi aperti e vive la scoperta come un dono.

Cattafi, oltre allo sguardo aggiunge un altro componente che per le storie è fondamentale: l’ascolto, l’orecchio.

Frank Ramspott

La poesia è una piccola grande storia. Lo è sempre, lo è in particolare nel caso del poeta messinese. E non è un caso che si parli di strada: ogni storia è un percorso, un sentiero che conduce in un luogo che ogni lettore rappresenta davanti a sé in modo unico. Un punto di arrivo, un approdo dove prendere fiato e ripartire. Alla volta di nuove avventure.

 

Ha proprio ragione Erriquez: c’è vita nelle storie e questo alito che anima la nostra immaginazione è uno strumento potente. Un gioco, nel senso più pieno e profondo che questo termine ha.

Ha proprio ragione Rodari: c’è sempre qualcosa di nuovo in un’esperienza che abbiamo vissuto e rivissuto perché è altro dalla prima volta.

Ha proprio ragione Scorsese: il cinema con le sue storie ha valore solo se condiviso e amato.

Those of us who know the cinema and its history have to share our love and our knowledge with as many people as possible.

Ha proprio ragione Cattafi: bisogna camminare per il mondo con gli occhi spalancati. Per non perdersi nemmeno una delle storie che il mondo, insieme con noi, costruisce attimo dopo attimo.

Insomma, occhio e orecchio alle storie!

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