insomma si scrive con tutto il corpo.
o si scrive del corpo?
d.
Antonio Spadaroha detto:
Sono istantanee scattate al volo col cellualre nella hall dell’Hotel Art+Tech presso il Lingotto nei giorni della Fiera del Libro.
Il senso del titolo del post lo tengo per me per adesso, anche perchè voglio lasciare testo e immagine alla libera lettura di chi passerà dal nostro sito.
lisaha detto:
beh…lui è legato, ma cerca di scrivere comunque : la parola trova sempre un modo per essere espressa?
anche se i versi di Leopardi mi fanno pensare anche che sia la voce dello scrittore contemporaneo che tenta di esprimersi in libertà…o è addirittura un monito allo scrittore a liberare la voce o dare nuova voce alla scrittura contemporanea? o… vabbè mi fermo qui
andrea bha detto:
macchina da scrivere. un po’ più rumorosa della tastiera del computer. tutto è catene, in queste foto. la sedia, la struttura del tavolino, è in catene. l’uomo è incatenato. nonostante questo, tenta di scrivere. il suono della macchina come un martello che picchia sulle catene. scrivere come liberazione. chissà. per ora questo. ciao.
Angela C.ha detto:
Suggestiva la sequenza. Pare affermarsi la volontà di scrivere per sviscerare un sé irrimediabilmente “annodato”. Oppure potrebbe simboleggiare un intimo dibattimento: se scrivere è comunque addentrarsi profondamente in sé, lo scontro sarà titanico tra la paura e la curiosità di conoscersi. Il tutto ha un sapore di freudiana memoria (…forse)
raffaele ibbaha detto:
Chissà perchè a me ricorda l’Iraq e le situazioni di gestione del corpo come oppressione.
La rivolta c’è sempre, ma è sempre impedita.
La libertà non è un diritto, ma un fatto, una esperienza di ogni giorno.
ciao
raffaele
liaha detto:
le catene che mi urlano che io sono questa o quella cosa un punto fermo che non da emozioni quel pesante rumore della realtà che si materializza
eppure è nell’essere prigioniera che mi scivola l’infrenabile affanno di comunicare
io sono lo strazio della metamorfosi e sono anche il dito puntato, datemi un foglio e sono pronta a macchiarlo di vita, che non è la mia, il canto mi nasce dall’oscurità del dolore ma è al tuo sorriso che lo dono perchè tu possa asciugare il pianto della schiavitù
il tuo piede puntato sulla tastiera non è vanità
Titaha detto:
Le foto mi sembrano immagini significative del limite e della creatività che dalla consapevolezza del limite accettato può sprigionarsi.
Il nostro Robinson Crusoe prende coscienza della sua condizione, –quella presente/ e viva– e perfino del –suon di lei-, cioè nella massima concretezza:
sono legato come un salame, in un luogo imprecisato e certo non ospitale, ma ho i piedi liberi, ho una macchina da scrivere e perfino una sedia, anche se non comoda, mi pare.
Posso comunicare a tutti la mia disperazione, posso urlare la rabbia della mia impotenza,
ma, anche se non –sedendo e mirando-,
posso cantare il mio canto d’amore per la vita
che mi lascia ancora delle possibilità e per l’altro stesso che mi ha incatenato ma non può impedirmi di –scrivere lettere d’amore-.
Katia M.ha detto:
Semplicemente… niente e nessuno potrà mai impedirci di “PENSARE”. Possono legarci, imbavagliarci, torturarci; l’uomo della foto magari non sarà riuscito a scrivere nulla di concreto, con i piedi, con la bocca, col naso… ma nessuna catena potrà mai impedirgli di formulare quanto avrebbe voluto/vorrà comunicare attraverso la parola scritta. Comunque mi rattrista guardarlo, avvolto in quella tuta unica, mi soffoca.
saverio simonelliha detto:
mi sembra così retorico…così pensato, così allegorico e snob…mamma mia
insomma si scrive con tutto il corpo.
o si scrive del corpo?
d.
Sono istantanee scattate al volo col cellualre nella hall dell’Hotel Art+Tech presso il Lingotto nei giorni della Fiera del Libro.
Il senso del titolo del post lo tengo per me per adesso, anche perchè voglio lasciare testo e immagine alla libera lettura di chi passerà dal nostro sito.
beh…lui è legato, ma cerca di scrivere comunque : la parola trova sempre un modo per essere espressa?
anche se i versi di Leopardi mi fanno pensare anche che sia la voce dello scrittore contemporaneo che tenta di esprimersi in libertà…o è addirittura un monito allo scrittore a liberare la voce o dare nuova voce alla scrittura contemporanea? o… vabbè mi fermo qui
macchina da scrivere. un po’ più rumorosa della tastiera del computer. tutto è catene, in queste foto. la sedia, la struttura del tavolino, è in catene. l’uomo è incatenato. nonostante questo, tenta di scrivere. il suono della macchina come un martello che picchia sulle catene. scrivere come liberazione. chissà. per ora questo. ciao.
Suggestiva la sequenza. Pare affermarsi la volontà di scrivere per sviscerare un sé irrimediabilmente “annodato”. Oppure potrebbe simboleggiare un intimo dibattimento: se scrivere è comunque addentrarsi profondamente in sé, lo scontro sarà titanico tra la paura e la curiosità di conoscersi. Il tutto ha un sapore di freudiana memoria (…forse)
Chissà perchè a me ricorda l’Iraq e le situazioni di gestione del corpo come oppressione.
La rivolta c’è sempre, ma è sempre impedita.
La libertà non è un diritto, ma un fatto, una esperienza di ogni giorno.
ciao
raffaele
le catene che mi urlano che io sono questa o quella cosa un punto fermo che non da emozioni quel pesante rumore della realtà che si materializza
eppure è nell’essere prigioniera che mi scivola l’infrenabile affanno di comunicare
io sono lo strazio della metamorfosi e sono anche il dito puntato, datemi un foglio e sono pronta a macchiarlo di vita, che non è la mia, il canto mi nasce dall’oscurità del dolore ma è al tuo sorriso che lo dono perchè tu possa asciugare il pianto della schiavitù
il tuo piede puntato sulla tastiera non è vanità
Le foto mi sembrano immagini significative del limite e della creatività che dalla consapevolezza del limite accettato può sprigionarsi.
Il nostro Robinson Crusoe prende coscienza della sua condizione, –quella presente/ e viva– e perfino del –suon di lei-, cioè nella massima concretezza:
sono legato come un salame, in un luogo imprecisato e certo non ospitale, ma ho i piedi liberi, ho una macchina da scrivere e perfino una sedia, anche se non comoda, mi pare.
Posso comunicare a tutti la mia disperazione, posso urlare la rabbia della mia impotenza,
ma, anche se non –sedendo e mirando-,
posso cantare il mio canto d’amore per la vita
che mi lascia ancora delle possibilità e per l’altro stesso che mi ha incatenato ma non può impedirmi di –scrivere lettere d’amore-.
Semplicemente… niente e nessuno potrà mai impedirci di “PENSARE”. Possono legarci, imbavagliarci, torturarci; l’uomo della foto magari non sarà riuscito a scrivere nulla di concreto, con i piedi, con la bocca, col naso… ma nessuna catena potrà mai impedirgli di formulare quanto avrebbe voluto/vorrà comunicare attraverso la parola scritta. Comunque mi rattrista guardarlo, avvolto in quella tuta unica, mi soffoca.
mi sembra così retorico…così pensato, così allegorico e snob…mamma mia