Certi giorni
Ci sono giorni in cui tutto sembra piatto, immobile, liscio come l’olio. Giri per casa a piedi nudi e i capelli raccolti per il caldo con la matita dimenticata sul divano la sera prima. Se suona qualcuno intuisci prontamente che avresti dovuto quanto meno cambiarti e che non puoi proprio andare ad aprire conciata in quel modo, mentre tutto intorno, incurante, sembra non accorgersi di nulla.
In giorni come questi ci si annoia facilmente, ma nel contempo non si ha voglia di fare niente: se lo fai è perché ti ripeti “Quando mi ricapita un altro pomeriggio così?!” e che dovresti cercare di sfruttare il poco tempo libero a disposizione.
Non è mai facile capire quando si è sommersi dalle cose arretrate da quale cominciare. Io non amo molto questi giorni. Non credo di essere l’unica, ma non so più dove posare le mie cose. Ho bisogno di più spazio!
Cassetti stracolmi, armadi obesi, mensole palesemente in sovraccarico e se c’è una cosa che non sopporto è quando non posso conservare con cura ciò a cui tengo di più. “Tra poco in questa casa troveremo libri persino in bagno”, sento spesso ripetermi dai miei, oppure “La prossima volta che torni con un libro te lo faccio in mille pezzi”. Mai come in questi momenti desidero avere una casa tutta per me!
“Come fate a non capire”, penso, allora, tra me e me.
E tutto questo fino a quando arriva il momento in cui l’unica cosa logica da fare sembrerebbe quasi negare l’evidenza.
Alla libreria realizzata tempo fa da papà con le mensole del fai da te domenica scorsa si è spezzato un piede e così libri, cd, foto, pupazzi e quanto altro vi avevo riposto tutto ad un tratto o pendevano inevitabilmente da una parte, il lato destro, oppure erano finiti in terra.
“Come ti dai da fare quando ci sono i libri di mezzo”, mi sento dire, mentre cercando di sfruttare il primo pomeriggio con le temperature leggermente più basse mi convinco che per poter rimediare la libreria va interamente svuotata. È così che, recuperata la scala che mamma utilizza per pulire i vetri o i lampadari, un panno per la polvere sulla spalla sinistra e un po’ di pazienza su quella opposta, mi convinco del bisogno di iniziare dalla mensola più alta.
Sono quasi trascorse due ore e non ho ancora finito. Mi faccio aiutare solo alcune volte per evitare di scendere e risalire di continuo dalla scala. Sembro come in missione, quasi stessi compiendo una sorta di miracolo per l’umanità intera. “Non poggiarlo per terra”, dico a volte, oppure “No, quello mettilo meglio qua”; di tanto in tanto sorrido e poggiandomi sul fianco destro alla scala per evitare di perdere l’equilibrio inizio a sfogliare qualche pagina. Non tutti i vecchi libri usati all’università mi attirano ancora e le date (scrivo sempre la data del giorno in cui inizio a leggere un libro nuovo), le sottolineature, le considerazioni a margine insieme a qualche segnalibro talvolta dimenticato o lasciato di proposito all’interno, capita passino inosservati.
Ad un tratto, però, sento di dovermi fermare e scendere dalla scala. Lascio sull’ultimo gradino il panno per la polvere insieme a qualche foglio scivolato da una pagina o rimasto intrappolato tra due copertine, dopo averlo salvato con un gesto istintivo e rapido della mano e di tutto il braccio per evitare che atterrasse rapidamente, andando a finire magari sotto il letto, dietro il divano o, peggio ancora, risucchiato dall’aspirapolvere assatanata che mia madre non disdegna di usare anche quando fuori ci sono cinquanta gradi e sudi persino a muovere gli occhi.
Mi sciolgo i capelli, mentre rischio quasi di tagliarmi poggiando il piede destro su un taglierino finito sul pavimento. Tengo tra le mani il libro ritrovato quasi fosse un pezzo d’antiquariato di inestimabile valore, facendo attenzione a non sciuparlo per nessun motivo. Vado a sedermi in sala da pranzo e sono come rapita, quasi vedessi per la prima volta quella copertina colorata d’azzurro ed il bordo rosso e ho come l’impressione che in quell’istante il tempo si sia quasi fermato e che il mondo improvvisamente sia tutto lì, a guardare me. Ricordo (e ne ho subito conferma) che il libro non ha una dedica (una delle prime cose che guardo quando ne compro uno, chissà perché!). Leggo invece 15 maggio 2000.
Lessi quel libro dopo averlo scelto fra tanti di una lista infinita tra i libri di lettura consigliati per il primo corso di Letteratura italiana.
Vedendomi imbambolata sento mio fratello che dice “Guarda che è solo un libro!”. A quel punto ritorno sulla terra e suggerisco a me stessa che prima o poi dovrò scrivere di quel libro (vi ritornerò!), senza dubbio fra quelli a cui il mio animo errante e gitano deve davvero molto. Mi accorgo così di aver ritrovato in un gesto la passione e l’impegno di tempi passati, riassaporando in quell’istante l’emozione che solo qualcosa che per te conta è veramente in grado di dare. Eppure era uno di quei giorni piatti, immobili, in cui tutto è liscio come l’olio.
Penso, allora, che tutto sommato non sono poi così male certi giorni.
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