Dal profondo Nord, viaggio "poetico" in Canada.

(ricevo questo articolo che volentieri pubblico dall’amico di BC, padre Guglielmo Spirito) muskoka3

MUSKOKA

 Che sarebbe il mondo, una volta privo

Dell’acquatico e del selvatico? Che restino,

che restino, selvatico e acquatico;

lunga vita alle erbe e anche al selvatico.

                                 Gerard Manley Hopkins

                                                         

Muskoka, Canada, settembre 2009

 Bastone in mano, calzari ai piedi: si direbbe che hanno fatto già un lungo cammino, i Tre viaggiatori in tenuta di marcia.  Alte e frondose querce –possenti, rassicuranti- offrono loro riparo contro la calura. Il bosco si stende, silente e roccioso, rigoglioso di conifere, rivoli e laghi. Pendii scoscesi, solcati da cicatrici lasciate dal remoto strofinarsi dei ghiacciai, bendati tiepidamente da licheni, muschi e felci.  Gli aceri, bruciati dal proprio fuoco interno, fanno sfarzo di foglie in porpora, bronzo, viola, scarlatto, oro vecchio e ruggine.

 Un giorno, entrò Dio, pallido dalla steppa grigia.

Occhi socchiusi contro il vento, e si fermò,

disse, Colorami, soffiami il tuo sangue in bocca.

Dissi: Ecco il sangue del nostro popolo,

questi sono i loro lividi, blu e viola,

dorati, marroni, e un colore di morte verde pallido.

 Questi (dio) sono i dolori cromatici della carne,

dissi, credo di farti arrossire,

oh, ti macchierò con le cicatrici della nascita.

 Per sempre. Ti radicherò nel legno,

sotto il sole impasterò il tuo pane

di faggio, senza mai lasciarti in balìa

 del deserto bianco, della sabbia affamata.

Ma siederemo e parleremo attorno

allo stesso tavolo, condivideremo lo stesso cibo, la stessa terra.

 Così parla Rublev, pittore dei Tre, nell’omonima poesia di Rowan Williams…E’ il verde cupo -profondo, accogliente e dolce-, dei vari tipi di querce che calamita di più il mio sguardo: ogni cosa mortale fa una cosa e sempre quella:  dirama l’essere che entro ognuno ha dimora, diceva Hopkins. E le querce hanno ospitato sotto le loro fronde robuste, i Tre…

 Alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: ‘mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo…’ (Gen 18)

La loro presenza ammorbidisce il paesaggio: come se la terra fosse angustiata, increspata; come se la pietra fosse contratta quale un muscolo incrampato, e una mano ferma e calda potesse distenderla; come se lo sguardo e il respiro dei Tre viaggiatori potesse fermare il soffocamento, rompere un sigillo su un polmone non visto e gelato.  Come se una promessa di vita nuova si celasse nel loro passaggio, svelando che vive in fondo alle cose la frescura più cara…perché lo Spirito Santo sopra il curvo mondo cova con caldo petto e con ah! luminose ali.  Anche noi siamo tre, Enzo, Emanuele ed io, sotto le querce e sopra le rocce ferite, a Muskoka (Ontario). Assieme a  fra Mark, guardiano della nostra fraternità di Toronto, siamo al cottage che i frati hanno presso il lago,  delizioso eremo nel folto deserto del bosco canadese.  Camminiamo a lungo, ci arrampichiamo, attraversiamo ponticelli e paludi, camminiamo  come i Tre viandanti (forse con i Tre). Non incontriamo (quasi) essere umani, ma soltanto roditori, rettili ed uccelli migratori, e l’avvolgente, eloquente mormorio dei rami e delle foglie, il sibilo del vento, il richiamo di un uccello, il ciarlare di un paio di scoiattoli, il mormorio elastico del muschio nell’essere calpestato, e l’acqua saltellante dei ruscelli. Se non, solo il muto parlare –rasserenante-,  delle rocce, dei licheni e delle cortecce. Alci e orsi bruni sono nascosti alla nostra vista. Anche eventuali Elfi, più invisibili degli stessi lupi. Più tardi, altrove, vedremo delle linci, dei porcospini e dei castori… Qualche betulla,  molti abeti nel fruscio del vento; gli aceri e le querce chinate attorno al lago di Muskoka. Immerso nella calma luce del sole, la superficie rimane distesa, serena, per nulla increspata. Le forme delle nuvole e la coppa degli alberi si specchiano, translucide nell’acqua pungente e limpida. Enzo ed Emanuele si decidono ad avventurarsi, attratti dalla canoa: vogliono provare, imparare; e dopo un giro a turno, sorpassano me nell’uso della pagaia e solcano in ogni direzione e verso ogni isolotto la tersa distesa d’acqua. Mentre i falchi volano in ampi cerchi su in alto, loro solcano, fendendo come castori o lontre il lago amico, ebbri dalla brezza e dall’avventura, bagnati da un sole colmo di tepore. Il tramonto si attarda, lambendo le fronde scure con un’iridescenza incandescente che si attenua sempre più, e discende come vestendosi di rosse foglie di acero liquide, sangue del lago… La temperatura scende in picchiata; accendiamo il fuoco, e il cottage diventa radioso e ospitale, home che esprime anche la nostra appartenenza reciproca. Ci attardiamo a parlare con Mark delle sue esperienze pastorali tra i nativi, e le sfide per un francescanesimo vivo e vivificante nel XXI secolo (con fra Rick riprenderemo discorsi affini, nelle lunghe ore cammino a Montréal).  Dopo una cena hobbit a base di pannocchie di mais col burro e hamburger alla griglia cucinate all’aperto da Emanuele, nel buio assoluto di una notte senza luna, le stelle si svelano incastonate nel fondo del lago, e il tracciato di qualche stella cadente apre un fugace solco tenue e argentato nel seno acquatico del cielo. All’alba, la terra rattrappita e il lago si aprono sulla nebbia, per trovarsi bloccati nella rete di una bellezza sconosciuta, affilata. Con Enzo, prestissimo, scendiamo sull’imbarcadero-dove riposa, capovolta, la ‘nostra’ canoa-, lasciandoci avvolgere dalla solenne calma dell’incontro tra la luce che cresce e la foschia che si erge al suo incontro dalle acque sonnolente… Partiamo a malincuore, rincuorati dal sapere che il cottage, il lago (e la canoa) rimangono là, ad aspettarci.  Enzo incomincia a sognare/pianificare una seconda visita in Canada per migliorare ancora il suo progredente inglese, alibi che Emanuele ed io, ahimè, non abbiamo!

Non mi credete? Guardate e poi forse cambierete parere:

http://www.jpgmag.com/search/photos/muskoka

Passiamo per Sainte Marie des Hurons, la vecchia missione gesuitica dell’600, dove i Martiri Canadesi furono uccisi.  Niente di romantico né di bucolico nella vita dei nativi né in quella dei missionari –sia francescani Recoletti sia Gesuiti-, come il romanzo (ed il film) Black Robe rende palese, ed il libro The Conquest of Canada, di Wendel Messer (che l’autore mi autografò  nel farm market a Muskoka). E la santità davvero eroica della giovane mohak, la beata Kateri, alla cui tomba ci siamo recati nella Riduzione nei pressi di Montréal. Sangue, sudore e lacrime, seme faticosamente e tormentosamente gettato a fondo perduto nei solchi della terra sventrata: ed i frutti –del 30, del 60 del 100 per uno?- noti a Dio più che agli uomini. Fatica raddoppiata, oggi, nello splendido Canada post-moderno, raffinato e politically correct nella sua vellutata –caparbia-  resistenza alla vita offerta dal Nuovo Adamo. Comunque, la testimonianza pastorale dei nostri frati a Saint Bonaventure, nel quartiere di Don Mills, a Toronto, è rincuorante. Come stile, e come tono e come creatività. Un seme minuscolo, come quello di senape…

Toronto, luminosa e ordinata, accogliente e gentile; con la sua Tower che come una guglia di una laica cattedrale punta verso la vastità dei cieli dell’Altissimo (L’Empire State di New York sembra nano a confronto); Toronto, con le sue mostre, le sue librerie, i suoi sushi bar (ed i suoi pub. Sebbene Londra rimase inbattuta al nostro palato sia per il sushi sia per i pub! ). Infine, la francesissima Quebec, e Sainte Anne de Boupré, e –specialmente- L’Oratoire Saint Joseph de Montréal. Uno dei punti dove –come dice Michael O’Brien- il cielo ha toccato questa terra. Là, accanto a frère André e a San Giuseppe, con Rick, Enzo ed Emanuele, sperimentiamo che Qualcuno scaccia i dubbi e asciuga le lacrime, e ci conduce come un bimbo per mano, ancora nel buio ma non in terrore (direbbe Hopkins). Finalmente ho potuto presentarmi al cospetto di San Giuseppe con Emanuele, affidando noi stessi a colui che custodì come padre l’Emmanuele. Ho pregato Giuseppe che lui faccia con noi quello che ha fatto con il Figlio primogenito, e porti a compimento in noi il progetto del Padre, ognuno nel proprio ruolo e vocazione. E ho scelto di lasciarlo fare, a qualsiasi costo: he knows best. Al santuario di Kalisz  -in Polonia – ricevetti la sua risposta alla mia preghiera… Nelle parole di Williams:

 Siete ancora bambini, l’innocenza non ancora passata, / quale vostro ricordo è degno di questo nome? / Siete ancora bambini; tutto quello che avete mai conosciuto / è paura, non colpa, avete sentito la lama, / ma non il manico del coltello del plasmatore / che intaglia una mente. / Le vostre storie appartengono a me qui; qui c’è / non innocenza ma assoluzione, perché / le vostre cicatrici sono vere, ma io (sempre) / sanguinerò in loro. / I vostri ricordi appartengono a me; giaccio / sveglio di notte e vedo sempre, mentre / le stelle cadranno come foglie / a coprirvi.

Come qui in Canada, come a Muskoka. Ovunque, sempre… Anche come un nauta con i remi spezzati, contro l’onda contraria del sangue. Comunque sempre. 

                                  Guglielmo Spirito

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