Quello che non so
C’è quella bella canzone di Francesco De Gregori, Battere e levare, con quel verso che mi ritorna nella mente: “quello che non so lo so cantare“. Ascolto e riascolto questa canzone, perchè mi piace il motivo musicale, a me delle parole, nella musica, mi interessa poco, però questa battuta mi ha colpito. Non so quello che voleva dire l’autore, forse ha incastrato bene le parole con la metrica della strofa, non saprei dire e forse questo non conta molto, però queste 7 parole mi fanno riflettere. Sembra che De Gregori qui dica che lui canta qualcosa, ma questo qualcosa lui lo ignora. Chissà, forse capita sempre così, forse ogni canzone, ogni poesia, ogni romanzo, nasce sotto questa spinta conoscitiva, dal fatto che ci sono ancora tante cose nel mondo (esteriore e interiore) che non si sanno e che l’artista incomincia a conoscere proprio cantando, scrivendo, narrando.
L’arte è una dimensione conoscitiva della stessa dignità e rango della scienza o della filosofia. Come la fede. Il mistero è l’ambiente in cui l’uomo si muove e l’arte è la dimensione ultima, cioè la prima parte del corpo che entra in contatto con quel mistero, come un uomo al buio cammina e toccando con i polpastrelli la realtà che lo circonda si rende conto pian piano di dove si trova e può così procedere. Quei “polpastrelli” non sono il cervello del filosofo, ma l’abilità e la sensibilità dell’artista. Lo scultore pensa in marmo, diceva Oscar Wilde. L’arte come mezzo ed esperienza conoscitiva. Una cosa un po’ socratica, se vogliamo, che ha a che fare con l’umiltà e che le parole della canzone di De Gregori illuminano con sintetica efficacia.
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