“Odo suon d’armi E di carri e di voci e di timballi”

Nel titolo, un verso di Leopardi. Nell’immagine di apertura, Alesia. Principale centro dei Galli Mandubii, posta sulla sommità di un colle molto elevato. Nel 52 a.C. Cesare la stringe d’assedio e la espugna dando l’avvio all’annessione del territorio nella Gallia Narbonese.

Cesare si affretta per partecipare alla battaglia. Conosciuto il suo arrivo dal colore del vestito, che era solito portare come segno distintivo nelle battaglie, visti gli squadroni dei cavalieri e le coorti a cui aveva ordinato di seguirlo, giacché dalle posizioni più elevate si vedevano questi declivi e avvallamenti, i nemici attaccano battaglia. Levato un grido da entrambe le parti, dalla palizzata e da tutte le fortificazioni risponde un altro grido. I nostri, lasciate le aste, combattono con le spade. All’improvviso alle spalle si scorge la cavalleria; si avvicinano le altre coorti. I nemici volgono le spalle, ma, mentre fuggono, i cavalieri corrono loro incontro. Avviene una grande strage.” (Cesare, De bello gallico, VII, 88)

L’azione è un prodigio di tattica, un capolavoro di strategia militare. Il reportage di Cesare è un vera fotografia: ci sembra di vedere la pugna che impazza, ci sembra di sentire il clangore delle armi, l’odore della polvere sollevata e del sangue versato.Quanti conflitti si contano nella Storia? A volte abbiamo l’impressione che la Storia sia (solo?) un inanellarsi di combattimenti, di guerre, di battaglie…

Il monumentale Sarcofago Grande Ludovisi (che risale alla metà del III d.C.) è un altro esempio di riproduzione fedele di un conflitto: il fronte, scolpito ad altorilievo, ospita un’animatissima battaglia dove soldati romani sottomettono dei barbari. L’organizzazione della narrazione è distribuita su tre registri sovrapposti: in basso i feriti e i caduti, distesi, seduti o inginocchiati; al centro la scena principale del furibondo corpo a corpo; in alto le teste dei comandanti romani vittoriosi, dei suonatori di tromba e – proprio nel mezzo – del defunto stesso al quale il sarcofago era destinato (Erennio Etrusco, figlio dell’imperatore Decio, morto in combattimento contro i Goti nel 251, sul campo di Abritto, odierna Bulgaria).

La superficie marmorea è letteralmente gremita di figure sovrapposte, accalcate e accavallate contro ogni resa naturalistica dello spazio. Un’agitazione ed una confusione investono uomini e animali trasformando il sarcofago in un vero e proprio strumento narrativo.

Molti secoli più tardi Hermann Melville ebbe a dire: “La battaglia di tutte le battaglie è scrivere”. E Flannery O’Connor gli fa eco: “La narrativa riguarda tutto ciò che è umano e noi siamo fatti di polvere, dunque se disdegnate di impolverarvi non dovreste tentare di scrivere narrativa”.

Ecco: un editoriale che affronta un tema “caro” al mondo della creazione artistica: il conflitto.

Cos’è un conflitto? L’urto di una cosa con un’altra (cum + fligere, percuotere insieme, appunto confliggere).

Proprio uno dei più conosciuti libri della O’Connor – che raccoglie alcuni articoli e testi composti per conferenze – ha, in italiano, il titolo “Nel territorio del diavolo. Sul mistero di scrivere”. L’accoppiata diavolo-scrittura è estremamente esemplificativa del concetto di conflitto. Della lotta strenua, a terra, confusi fra la polvere. Della fatica di scrivere. Dell’insidia del male. Del riconoscimento e del rispetto del nemico.

Scrive ancora la O’Connor: “[…] La letteratura, al pari delle virtù, non prospera in un’atmosfera dove non si riconosca il diavolo come esistente, sia in se stesso sia come necessità drammatica dello scrittore. […]”.

Insomma c’è alla base di tutto un movimento, un movimento violento e profondo che lascia un segno.
Una guerra è fatta di conflitti e combattimenti; ogni azione imprime una svolta precisa (a volte decisiva) all’andamento della guerra. Così è per la scrittura, per l’opera d’arte. Quando l’artista si confronta con la materia informe da cui emergerà la sua opera, inizia una sorta di appostamento tattico.
E il conflitto in sé, spesso, è più importante del suo esito.

Basti pensare al pugilato, alla nobile arte della boxe.

Fin dalla sua nascita (VIII secolo a.C.) la boxe è caratterizzata da regole ben precise, associata alla disciplina, al duro allenamento e alla fatica fisica: non è permesso colpire l’avversario in alcuni punti del corpo, si combatte con le mani fasciate, in un ring improvvisato e soprattutto si rispetta l’avversario. E anche se le regole sono mutate, i guantoni non sono più in cuoio e non si vince solo per KO, ciò che rimane ancora alla base di questa pratica sportiva sono il sacrificio e il rispetto.

Facciamo parlare Omero, XXIII canto dell’Iliade, giochi funebri in onore di Patroclo:

[…] Entrò il Pelíde nella calca, e il duro
Pugilato propose. […]
Disse, e un uom si levò forte, membruto,
Pugilatore assai perito, Epéo,
Di Panope figliuol. […]
Eravi un figlio
Del Taleónio Mecistéo, di quello
Che un dì nell’alta Tebe ai sepolcrali
Ludi venuto del defunto Edippo,
Tutti vinse i Cadmei. Costui di nome
Eurïalo, e guerrier di divo aspetto,
Fu il solo che s’alzò. Molto dintorno
Gli si adoprava il grande Dïomede,
E co’ detti il pungea, lui desïando
Vincitore. Egli stesso al fianco il cinto
Gli avvinse, e il guanto gli fornì di duro
Cuoio, già spoglia di selvaggio bue.
Come in punto si furo, ambi nel mezzo
Presentârsi gli atleti, e sollevate
L’un contra l’altro le robuste pugna,
Si mischiâr fieramente. Odesi orrendo
Sotto i colpi il crosciar delle mascelle,
E da tutte le membra il sudor piove.
Il terribile Epéo con improvvisa
Furia si scaglia all’avversario, e mentre
Questi bada a mirar dove ferire,
Epéo la guancia gli tempesta in guisa,
Che il meschin più non regge, e balenando
Con tutto il corpo si rovescia in terra.
Qual di Borea al soffiar l’onda sul lido
Gitta il pesce talvolta, e lo risorbe;
Tale l’invitto Epéo stese al terreno
Il suo rivale, e tosto generosa
La man gli porse, e il rïalzò. Pietosi
Accorsero del vinto i fidi amici
Che fuor del circo lo menâr gittante
Atro sangue, e i ginocchi egri traente
Col capo spenzolato, ed in disparte
Condottolo, il posâr de’ sensi uscito […]

Ed è immediato il rimando al celeberrimo incontro Muhammad Alì vs Foreman del 30 ottobre 1974.

Arte, sacrificio e rispetto: ingredienti che ritroviamo nella scrittura.
Dice Carver nel suo “Niente trucchi da quattro soldi. Consigli per scrivere onestamente”: “L’arte va fatta sembrare spontanea, ma richiede un certo sforzo”. “Quando lavoro su un racconto, ci lavoro giorno e notte. A volte non so nemmeno che giorno è della settimana. […]”. E ancora: “[…] Nella narrativa che conta il significato dell’azione dentro il racconto si trasferisce anche sulla vita della gente al di fuori del racconto. C’è bisogno di ricordarlo? Nei migliori romanzi e racconti, la bontà è riconosciuta come tale. La fedeltà, l’amore, la forza d’animo, il coraggio, l’integrità morale magari non sono sempre premiati, ma sono riconosciuti come azioni e qualità positive e nobili; mentre comportamenti ignobili, malvagi o anche semplicemente stupidi sono visti e presentati per quello che sono, cioè comportamenti ignobili, malvagi e stupidi. […]”.
Così come ci si prepara al combattimento, anche l’approccio all’arte richiede un equipaggiamento; fare arte ci impone una preparazione e una certa capacità di osservazione.

Ancora ci viene in aiuto la scrittura ricchissima di immagini di Omero: il II canto dell’Iliade, la preparazione degli eserciti appostati nelle vicinanze di Troia.

[…] Molte pugne io vidi,
Ma tali e tante non vid’io giammai
Ordinate falangi. Numerose
Al pari delle foglie e dell’arene
Procedono nel campo a dar battaglia
Sotto Troia. Tu dunque primamente,
Ettore, ascolta un mio consiglio, e il poni
Ad effetto. Nel sen di questa grande
Città diversi di diverse lingue
Abbiam guerrieri di soccorso. Ognuno
De’ lor duci si ponga alla lor testa,
E tutti in punto di pugnar li metta.
Conobbe Ettorre della Dea la voce,
E di subito sciolse il parlamento.
Corresi all’armi, si spalancan tutte
Le porte, e folti sboccano in tumulto
Fanti e cavalli. Alla città rimpetto
Solitario nel piano ergesi un colle
A cui s’ascende d’ogni parte. È detto
Da’ mortai Batïéa, dagl’immortali
Tomba dell’agilissima Mirinna;
Ivi i Teucri schierârsi e i collegati.
Capitan de’ Troiani è il grande Ettorre,
D’eccelso elmetto agitator. Lo segue
De’ più forti guerrier schiera infinita
Coll’aste in pugno di ferir bramose.
Ai Dardani comanda il valoroso
Figliuol d’Anchise Enea cui la divina
Venere in Ida partorì, commista
Diva immortale ad un mortal; ned egli
Solo comanda, ma ben anco i due
Antenóridi Archiloco e Acamante
In tutte guise di battaglia esperti […].

Dopo queste immagini di fieri combattenti “coll’aste in pugno” “rubo” ancora alla O’Connor un suo ricordo: «Ho fatto i primi sei anni di scuola dalle suore. Grazie a loro ho sviluppato qualcosa che è sfuggito alle definizioni dei freudiani: un’aggressività anti-angelo, diciamo. Fra gli 8 e i 12 anni avevo l’abitudine di chiudermi ogni tanto a chiave in una stanza e, facendo la faccia feroce e cattiva, vorticavo tutto attorno coi pugni serrati cercando di picchiare l’angelo. Si trattava dell’angelo custode del quale, stando alle suore, tutti eravamo provvisti. Non ti mollava un attimo».

La lotta, il conflitto attraversa le nostre esistenze e ci aiuta a vivere un’esperienza importante, quella del riconoscimento del “limite”.
Riprendendo in parte il tema dell’Officina di ottobre (Oltre la cornice), si può aggiungere il confronto fra un incontro di pugilato che si svolge in un ring e un testo letterario che si dipana su una pagina.
C’è un “luogo” per il conflitto. Nella boxe il termine ring (anello) deriva dal fatto che agli albori di questo sport l’area di lotta veniva tracciata sul terreno in forma circolare.

Nella creazione letteraria tutto si svolge in una “zona” di rispetto che accoglie la scrittura, la fantasia e mette in contatto scrittore e lettore. Una sorta di “conflitto”, di contatto prolungato, di corpo a corpo “conoscitivo”, di agone senza vincitori.

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