Oro. L'Eden a due dimensioni.
Parlando di giallo anch’io ho pensato immediatamente alle «trombe d’oro della solarità», a limoni e girasoli impazziti di luce, fiori e frutta di terre solari. Per tutto l’Oriente giallo è il colore della potenza e della gloria. Giallo è il sole che disegnano i bambini all’asilo, perché giallo è il colore che utilizziamo per simbolizzare la luce, che, di per sé è il caldo e invisibile bianco che si riversa su ogni cosa. Ma giallo puro, senza ombrosità alcuna, è l’oro. Trovo questo nesso intuitivo, ad esempio, in Nelly Sachs:
I sopravvissuti hanno afferrato il tempo
fino a ritrovarsi in mano polvere d’oro
Cantano il sole – il sole –
L’oro è segno di potere in quasi tutte le civiltà. È prezioso anche oggi, sebbene non ne sappiamo la ragione: sempre di metallo si tratta, in fondo, metallo che resiste agli acidi, d’accordo, ma non particolarmente bello. Meglio il rame, o l’argento. L’oro, dunque, è prezioso perché è la luce stessa che vi si riflette. Gli antichi egizi rivestivano d’oro le maschere dei defunti non certo per impreziosire dei corpi putrescenti, ma per sprofondare il defunto nella luce dell’eternità. Secondo una notevolissima intuizione di Pavel Florenskij gli artisti egizi disegnavano bidimensionalmente non certo perché ignorassero la prospettiva – stiamo parlando della civiltà che ha edificato le piramidi, mica di sprovveduti – ma per una scelta ben precisa: perché là dove si rappresenta la prospettiva bisogna rappresentare l’ombra, dunque il tempo che passa, dunque la morte. Non è un caso che proprio il trionfo del trompe l’oeil abbia coinciso, in Occidente, con l’età più poeticamente angosciata dalla morte. La stilizzazione bidimensionale è atemporale, le sue superfici non c’inghiottono: dice dunque molto a proposito Antonio, nell’editoriale, che il giallo è un colore di superficie. Bidimensionali sono pure le icone ortodosse, che non sono dipinti un po’ strani, ma presenze spirituali. Sempre Florenskij, nel suo folgorante saggio Le porte regali (1922), si dilunga sul significato dell’oro che, secondo lui, appartiene a una distinta sfera dell’essere, perché ha tono ma non colore, essendo pura riflessione:
«[Lo sfondo dell’icona] è luce, per parlare iconicamente. Attiro la tua attenzione su questo termine importante: l’icona si dipinge sulla luce e di qui, come mi sto sforzando di chiarire, emerge tutta l’ontologia della pittura d’icone. La luce, come vuole la migliore tradizione dell’icona, si dipinge con l’oro, cioè si manifesta appunto come luce, pura luce, non come colore. Più precisamente, ogni rappresentazione emerge in un mare di dorata beatitudine, lavata dai flutti della luce divina. Nel suo grembo “viviamo e ci muoviamo ed esistiamo”, questo è lo spazio della realtà autentica. E perciò si capisce che sia normativa per l’icona la luce dorata: qualunque colore tirerebbe verso terra l’cona e attenuerebbe la visione che essa manifesta»
Interessante che, in un altro passo, Florenskij sostenga che l’oro è la verità ortodossa, l’incisione la verità protestante, mentre i colori sono la verità cattolica, la verità dell’immanenza; e tutte sono unite nell’icona, mistero dell’immagine, mistero dell’eterno che prende un volto.
Una carrellata d’informazioni sul giallo le trovate QUI.
Complimenti per il pezzo: molto interessante quest’interpretazione della bidimensionalita`.
Due cose: concordo nel definire il giallo il colore della REGALITA` (tra l’altro vedi il leone e l’ape), ma il giallo e` anche il colore dell’AVVERTIMENTO, quello che al semaforo non impone un divieto come il rosso o non lascia via libera come il verde… Se un pavimento e` bagnato all’aereoporto il cartello e` giallo. Insomma, la vita cittadina, usa il giallo come colore-amico per dirci di prenderci cura di noi, di stare attenti, di considerare i nostri limiti, perche`, nonostante solarita` e regalita`, uomini fragili siamo.
Grazie Elena, passo i complimenti a Florenskij (rivoluzionario! leggetelo!)