Riconoscimento
Eravamo rimasti a Luci della Città di Charlie Chaplin. La prima e l’ultima scena di questo capolavoro del cinema mostrano l’arcata sui cui è tesa tutta la vicenda del vagabondo e della ragazza cieca, il raggiungimento finale di quello che forse è il traguardo di ogni esistenza umana: il riconoscersi riconosciuti, e questo riconoscimento genera la riconoscenza. Come ha sottolineato Paolo Pegoraro durante la scorsa Officina: “ora che gli occhi della protagonista non solo guardano, ma vedono e ri-conoscono, l’attesa è finalmente conclusa”.
Il riconoscimento è un fenomeno che s’intreccia con la creazione artistica in ogni fase del suo procedimento: mentre l’artista crea egli ritrova se stesso, così come i personaggi e le storie create dall’artista procedono verso il loro riconoscimento e così come, infine, il fruitore dell’opera d’arte anche lui, per mezzo di quella fruizione, avvierà un processo di riconoscimento.
Nella poesia Elogio dell’ombra, il poeta argentino, ormai cieco, J.L.Borges canta la dolcezza della sua condizione e dice:
La vecchiaia (è questo il nome che gli altri gli danno)
può essere per noi il tempo più felice. […]
Nella mia vita son sempre state troppe le cose;
Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un mite pendio / e somiglia all’eterno.
Gli amici miei non hanno volto,
le donne son quello che furono in anni lontani,
i cantoni sono gli stessi ed altri,
non hanno lettere i fogli dei libri.
Dovrebbe impaurirmi tutto questo
e invece è una dolcezza, un ritornare.
Delle generazioni di testi che ha la terra
non ne avrò letti che alcuni,
quelli che leggo ancora nel ricordo,
che rileggo e trasformo.
Dal Sud, dall’Est, dal Nord e dall’Ovest
convergono le vie che mi han condotto
al mio centro segreto. […]
Posso infine scordare. Giungo al centro,
alla mia chiave, all’algebra,
al mio specchio.
Presto saprò chi sono.
Scrivere poeticamente permette all’artista di “giungere al centro”, di concentrarsi, di fare attenzione, e di fare scoperte. Dopo l’attesa e con essa, ecco emergere il momento dell’attenzione come elemento fondamentale di un’arte che non sia vuoto passatempo, ma servizio all’esigenza di una sempre maggiore conoscenza della vita, di se stessi. Come ricordava Antonio Spadaro nel suo A che serve la letteratura?, “l’arte ci fa conoscere la vita, al di là della conoscenza convenzionale che di essa abbiamo”.
Partendo dall’immagine proustiana dell’opera letteraria come “strumento ottico”, che permette al lettore di “sviluppare” quelle esperienze che senza la lettura rischiavano di rimanere buie e insignificanti, Spadaro si interroga sulla peculiarità della letteratura, cosa avviene quando si avvia il processo scrittura-lettura, e osserva che: “La letteratura non mi parla della mia vita, ma di storie di altri. Appunto: la passione per la lettura richiede delle condizioni, vi è uno «straniamento», per il quale il mondo in cui ci si immerge nella lettura non è più il nostro, il solito (la Yourcenar e i suoi lettori entrano nel tempo di Adriano, come i lettori di Kafka si muovono verso l’irragiungibile Castello e i lettori di Carroll entrano nel Paese delle meraviglie,…). Tuttavia è proprio a partire dalla cripta del testo letterario e dai suoi sotterranei che è possibile rimettere in questione sia la nostra percezione comune delle cose sia la nostra personale esistenza in un gioco di interpretazioni e significati colti con maggiore chiarezza. Ecco allora la via per comprendere la virtù paradossale della lettura: «quella di astrarci dal mondo per trovargli un senso», entrare in un mondo diverso rispetto a quello della nostra vita per discernere il senso proprio del nostro mondo.”
Anche i personaggi delle storie inventate dagli autori vivono le loro vicende che sono per lo più avventure di straniamento o camuffamento, e di riconoscimento finale. Il critico Piero Boitani afferma che Aristotele è stato il primo ad avere elaborato una teoria del riconoscimento nelle opere letterarie. Per il grande filosofo l’essenza della poesia risiede, grazie alla mimesi ed all’invenzione, nel riconoscimento, cioè il passaggio da uno stadio di ignoranza e inconsapevolezza ad uno in cui avviene la conoscenza. Aristotele cita ad esempio la tragedia di Sofocle Edipo re, dramma della conoscenza in cui il detective scopre d’essere l’assassino), ma forse il testo giocato interamente sul riconoscimento, nota Boitani, è l’Odissea: Ulisse si fa riconoscere dai Feaci perché piange al canto di Demodoco, a Itaca si fa riconoscere da Eumeo e Telemaco, poi è riconosciuto dal cane Argo e dalla nutrice Euriclea; Penelope riconosce lo sposo da “segni sicuri rivelati da Odisseo” sul talamo; infine Laerte riconosce il figlio dai nomi degli alberi del frutteto, “segni sicuri rivelati da Odisseo”.
Infine anche il momento della lettura è un processo di riconoscimento attraverso il passaggio de re-visione della propria vita alla luce delle “storie di altri”. Nel discorso pronunciato nel ricevere il premio Nobel, lo scrittore cinese Gao Xingjian ha affermato che proprio durante la dittatura di Mao, “quando fare letteratura era praticamente impossibile, che io ne compresi a pieno la necessità: essa è infatti ciò che permette all’essere umano di acquisire la coscienza di uomo”.
Il punto focale del riconoscimento risiede nel prefisso, ri-, ad indicare che questa è una conoscenza doppia, ripetuta, che ritorna sull’esperienza della vita illuminandola. E’ l’effetto dell’arte che libera la vita tutte le nostre esperienze, anche le più dimesse, dalla scontatezza e della convenzionalità; grazie all’arte ogni uomo è posto nelle condizioni di riconoscere la realtà e se stesso. Da qui la gioia insita nel processo artistico, forse la gioia più grande, quello di essere riconosciuti, cioè chiamati per nome, amati. Ecco perchè al termine della sua vita e della sua opera, l’ultima parola di un poeta come Raymond Carver è tutta in questi pochi versi che spesso ritornano nella pagine e negli incontri di BombaCarta:
And did you get what
you wanted from this life, even so?
I did.
And what did you want?
To call myself beloved, to feel myself
beloved on the earth.
E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos’è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra.
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