«PODCASTING». Un nuovo spazio religioso?

Andando in giro al mattino per una città, specialmente se si tratta di una metropoli, è abbastanza comune notare un numero crescente di persone che vanno in giro o al lavoro con gli auricolari, spesso di colore bianco. Fino a qualche tempo fa eravamo abituati a vedere adolescenti e giovani con in mano o in borsa un walkman, cioè un riproduttore di audiocassette collegato a cuffie di vario genere. Era il 1979 quando la Sony ne produsse il primo modello. Esso divenne una vera e propria «icona» degli anni Ottanta. Poi, nel decennio successivo, si diffusero i lettori portatili, ma pur sempre ben visibili, di compact disc(1).

Adesso chi «indossa» gli auricolari sono persone di tutti i tipi: studenti in jeans e maglietta come anche professionisti in giacca e cravatta. Queste cuffie sono collegate però a qualcosa di molto più piccolo e tascabile di un walkman o di un lettore di compact disc, cioè a un iPod o a uno dei tanti altri modelli simili di riproduttori digitali di suono, definiti propriamente «jukebox digitali», anche se questo nome non è divenuto popolare(2). Dove sta la differenza? Nella forma compatta e nelle dimensioni e nel peso ridotti di questi ultimi, certo. Ma innanzitutto la differenza consiste nel fatto che un cd player svolge la funzione di «leggere» il contenuto di un disco esterno, un compact disc, comunemente chiamato cd, che in genere contiene non più di 15 brani musicali; un jukebox digitale invece «legge» i brani da un hard disk interno, simile a quello di un computer, nel quale essi sono stati «scaricati» (downloaded). E la differenza ha un peso: dentro questo disco interno oggi possono essere presenti fino a 15.000 brani musicali, cioè mille volte di più rispetto a quelli che sono contenuti in un normale cd. Inoltre l’autonomia energetica di questi strumenti può giungere fino a 20 ore di ascolto.

Ciò significa che una persona può portare con sé, in un apparecchio che pesa non oltre 200 grammi nel caso di quelli più capienti, l’intera collezione di cd audio che ha in casa, anche se essa fosse ampia. Caricare un cd all’interno di un jukebox digitale tramite un computer, grazie a programmi adatti, risulta abbastanza agevole e richiede pochi secondi. Da quando il fenomeno della musica digitale si è diffuso, sono nati anche negozi virtuali che permettono di scaricare legalmente da internet brani musicali a costi molto ridotti rispetto a quelli che sono da sostenere acquistando un compact disc. In tal modo il mercato pirata è scoraggiato, e l’acquisto di musica reca buoni vantaggi alle case discografiche. Scaricata sul computer, la musica può essere registrata sul jukebox digitale.

La rivoluzione dell’audio digitale

La «rivoluzione» ha avuto inizio senza grandi clamori nel 1998, quando uscì l’Elger Labs MPMan F10 della Mpman: costava 250 dollari e poteva immagazzinare appena 8 canzoni. Attualmente la linea più diffusa di jukebox digitali è quella dell’iPod, prodotto dalla Apple Computer a partire dal gennaio 2001. Esso si è rivelato uno dei maggiori successi della storia dell’informatica: oltre 20 milioni di pezzi venduti con ritmi che crescono ogni trimestre. Negli anni la Apple ha provveduto a modificarlo e aggiornarlo. Sono state rilasciate 6 edizioni del modello originale, di cui l’ultima in grado anche di caricare e visualizzare video digitali, alla quale si sono aggiunte versioni di capienza e dimensioni ridotte. La più leggera è l’iPod shuffle, che pesa 22 grammi e può contenere fino a 250 canzoni. La Apple ha creato anche l’iTunes Music Store che in 20 nazioni del mondo permette di scaricare legalmente file musicali digitali al costo di 99 centesimi di euro per i singoli brani e a 9,99 euro per gli album interi. I file «scaricati» da questo negozio virtuale ormai hanno superato il mezzo miliardo. Con l’accoppiata iPod e iTunes la Apple così si è aggiudicata l’85% del mercato mondiale della musica on line(3). Ma questo è un settore nel quale la concorrenza sta affinando le armi(4).

Sarebbe lungo e complesso descrivere il fenomeno nel dettaglio. Attorno all’iPod è nato un ampio mercato di accessori (Apple ne conta più di 1.000) e optional. La sua tecnologia e la sua estetica, basata sul colore bianco che caratterizza lettore e cuffie, ne hanno fatto un «oggetto di culto». Non è proprio uno status symbol, perché il suo costo, non eccessivamente elevato, varia tra poco meno di 100 e poco più di 450 euro, a seconda del modello scelto. Semmai è divenuto status symbol il vezzo di averne molti e di differente capacità. Ricordiamo come i giornali hanno descritto l’abbigliamento dei giovani uomini-bomba responsabili dei recenti attentati di Londra? Scarpe da ginnastica alla moda, zainetto, cappellino da baseball, pantaloni lunghi e, appunto, iPod. Non è da trascurare questo particolare, inteso come funzionale a una adeguata mimetizzazione. Tuttavia, grazie anche all’imponenza e alla globalità del fenomeno iPod, sono apparsi molti altri modelli di jukebox digitali dalle caratteristiche affini, di cui ovviamente qui non possiamo dare conto, ma che presentano caratteristiche simili a quelle descritte(5).

Essi non rappresentano solamente una «evoluzione» tecnologica, ma anche un fenomeno di costume che, nei Paesi dove lo sviluppo economico permette l’uso e la diffusione di questi strumenti, sta cambiando abitudini e stili di vita, rendendo l’ascolto della musica un fatto possibile ovunque: per strada, in metropolitana, facendo sport… La possibilità di poter scaricare musica in maniera legale dalla Rete a prezzi bassi incrementa l’acquisto e la fruizione. Per non parlare del fatto che è sempre possibile ascoltare gratuitamente la musica messa on line dalle radio che trasmettono via internet, registrarla al computer e scaricarla sul lettore digitale per ascoltarla quando si crede.

Ovviamente ci si può chiedere, e fondatamente, se questi vantaggi non possano però anche contribuire alla perdita di contatto con la realtà ordinaria, e non conducano a sviluppare un isolamento acustico che impedisce quelle semplici e banali occasioni di dialogo e ascolto che costellano la giornata normale di una persona: «scusi», «permesso», «mi può dire l’ora?», «mi può indicare la direzione per…?», «dove si trova…?». Indossare le cuffie è un modo per «autoinsonorizzarsi», schermarsi dai rumori di fondo e cambiare il rapporto con l’ambiente che ci circonda nelle nostre giornate, mediante l’inserimento di una sorta di «colonna sonora»(6). La socializzazione urbana sembra modificata, proprio nei Paesi dove il fenomeno è più esteso, da questa piccola e diffusissima «scatoletta». Il fenomeno però non è da intendere soltanto in termini negativi. La creazione di un ambiente acustico mobile può rendere meno ripetitiva e monotona la routine e può aiutare a gustare meglio una passeggiata rilassante. Non esistono norme rigide, ma si avverte la necessità di una consapevolezza maggiore nell’uso di questo strumento. Gli educatori, in particolare, non possono ignorare il fenomeno.

Il «podcasting»

Ma l’ascolto di brani musicali è soltanto il primo e più immediato uso che si può fare di un jukebox digitale. Sta esplodendo infatti in questi ultimi mesi un nuovo fenomeno che prende il nome dal modello prodotto dalla Apple, pur riguardando qualunque altro strumento simile. È il fenomeno del podcasting(7). La parola fu coniata dal giornalista Ben Hammersley in un articolo pubblicato da The Guardian nel febbraio del 2004. Essa nasce dalla fusione della parola iPod e del verbo inglese to broadcast, che significa «trasmettere»(8).

Il podcasting è un sistema capace di pubblicare documenti sonori in internet in modo che sia possibile scaricarli sul proprio computer automaticamente tramite appositi programmi (come Ipodder, Doppler, iTunes…) o siti internet (come http://podcasts.yahoo.com), i quali permettono di «abbonarsi» a quelle «trasmissioni». Quando l’utente trova un podcast che lo interessa, infatti, può inviare la sua iscrizione e così essere abilitato a scaricare, anche in maniera del tutto automatica, tutte le nuove «trasmissioni» nel momento in cui esse vengono rilasciate. Poi è possibile scaricare questi contenuti audio dal computer sul proprio jukebox digitale. Detto in altre parole, è qualcosa di simile a una forma di trasmissione radiofonica, dove però l’ascoltatore può creare il proprio palinsesto personale, decidendo liberamente anche i luoghi e i tempi di ascolto.

Ciò significa che una stazione radiofonica come la Radio Vaticana o la BBC(9), oppure una persona qualsiasi nella sua stanza e davanti al proprio computer(10) può registrare un programma o un discorso e pubblicarlo in Rete all’interno di un sito apposito. Si possono registrare tutti i programmi che si vogliono: essi appariranno uno dopo l’altro, in modo che il più recente resti più in alto(11).

I siti che pubblicano programmi audio digitali (podcast) gratuitamente o a basso costo sono in continua crescita. È possibile trovare in rete vari elenchi di podcast suddivisi per argomento(12). Secondo alcune stime, entro la fine dell’anno, il loro numero sarà di circa 10.000. Trasferite sul jukebox digitale, le trasmissioni possono essere ascoltate nel luogo e nel momento che si preferisce. Ecco dunque cosa distingue, dal punto di vista dell’utente, la radio dal podcasting: la radio ha un palinsesto fisso e richiede di sintonizzarsi a certe ore per ascoltare i programmi che interessano; mentre il podcasting permette di scaricare i programmi e di ascoltarli quando si vuole. Si perde in sorpresa e compagnia in diretta, si acquista in facilità di scelta e di reperimento dei contenuti. Dal punto di vista dell’emittente, invece, il podcasting permette a chiunque abbia un computer dotato di microfono e collegato a internet di creare la propria stazione trasmittente. Tra radio broadcasting e podcasting possono però essere realizzate sinergie interessanti. Un esempio ci è dato dalla Radio Vaticana. Sulla pagina principale del sito della radio(13) infatti troviamo un link che conduce al servizio di podcasting, attivo dallo scorso luglio. La versione italiana consiste in un programma quotidiano(14). Il lancio è avvenuto senza alcuna pubblicità e, nonostante questo, nelle 24 ore successive sono stati registrati circa 1.000 download(15). Particolare successo ha avuto l’intervista rilasciata da Benedetto XVI alla medesima radio, mandata in onda e poi inserita on line il 14 agosto scorso. Macitynet.it così può commentare: «La Santa Sede è stata una tra i pionieri del podcasting grazie a Radio Vaticana»(16).

Ma le interazioni tra media si faranno sempre più fitte, e così immaginiamo estensioni che andranno al di là della radio: esistono già quotidiani e periodici (Forbes, Washington Post…), il cui sito internet in qualche caso rinvia già a blog e ad altri contenuti multimediali, che hanno attivato un servizio di podcasting. A volte soltanto per una sintesi delle notizie pubblicate, altre volte per approfondimenti, registrazione di interviste a voce, poi trascritte nell’edizione cartacea, commenti di redattori e altro ancora. A proposito di interazione tra i media, notiamo che si stanno diffondendo anche le versioni video dei podcast, e ciò fa prevedere la diffusione di vere e proprie emittenti televisive, anche semplicemente personali, basate su questa tecnologia(17).

«Godcasting»

A questo punto si comprende bene come le applicazioni possano essere innumerevoli. Un esempio: un professore ha l’opportunità di registrare lezioni o approfondimenti e metterli a disposizione degli studenti, i quali possono così scaricarli sul proprio lettore e riascoltarle a piacimento. A maggior ragione, questa applicazione è utile come supporto per l’insegnamento a distanza. Pensiamo agli organizzatori di un convegno di studi che intendono assicurare un’ampia diffusione dei contenuti in programma: possono prevedere l’immissione in rete delle relazioni man mano che vengono lette. Esse potranno essere scaricate automaticamente e ascoltate o riascoltate dagli interessati ovunque e in tutta tranquillità. Pensiamo alla quantità di libri che può essere pubblicata anche in versione audio. In effetti esistono già in internet librerie che vendono audiolibri, anche se la stragrande maggioranza di essi sono in lingua inglese.

Ma Podcast Alley, che stila directory (elenchi tematici) dei podcast, ha notato un fenomeno che lascia sorpresi: lo sviluppo di podcast a sfondo religioso(18). Il sito ne recensisce circa 800, che per numero li pone subito dopo quelli di tipo musicale e tecnologico. Se controlliamo altre directory i numeri aumentano: Podcast.net ne segnala circa 800 di cui oltre 650 di ispirazione cristiana; l’iTunes Directory ben 1.500. Si coniano dunque già termini come iGod o godcasting (col motore di ricerca Google si trovano ben 200.000 pagine web che fanno riferimento a queste parole)(19).

I podcast religiosi sono di vario genere. Cominciano a svilupparsi podcast di parroci e pastori che in tal modo tengono contatti con i loro fedeli. Facendo una rapida ricerca della parola sermon (omelia, sermone) soltanto tramite la directory di iTunes si ritrovano attualmente un centinaio di podcast a cui è possibile iscriversi. In realtà le trasmissioni di questo tipo sono molto più numerose. Insomma: i jukebox digitali sono diventati una sorta di pulpito portatile dei cosiddetti podpreachers. Un esempio che consigliamo di ascoltare è Catholic Insider, creato dal giovane sacerdote cattolico olandese Roderick Vanhögen della diocesi di Utrecht, che ha avuto le prime intuizioni sul podcasting studiando Comunicazioni Sociali presso la Pontificia Università Gregoriana(20). Questo podcast conta circa 10.000 ascoltatori a ogni programma, ed è uno degli esperimenti più riusciti di podcasting religioso(21). Per la sua qualità ha avuto molta risonanza sulla stampa internazionale (dalla CNN(22) alle principali agenzie europee) e si è aggiudicato 2 nomination e il Podcast Awards 2005 per i siti di contenuto religioso(23). Fondendo insieme le dimensioni giornalistica, diaristica e più propriamente pastorale, ha creato un «prodotto» molto appetibile per il pubblico giovanile, ma non solo. Ricordiamo, fra l’altro, che Catholic Insider ha fornito racconti vivaci delle veglie in piazza San Pietro che hanno preceduto la morte di Giovanni Paolo II e così anche della GMG di Colonia(24). Ma, ovviamente, esistono anche podcast attivati da giovani, come The RC (25).

Un’altra tipologia ampia è costituita da servizi legati al culto. Un buon numero di podcast è messo on line da sacerdoti e pastori che registrano per intero liturgie e culti che si svolgono nelle loro chiese e le rendono disponibili all’ascolto di chi, per motivi vari, non può essere presente fisicamente al loro svolgimento(26). Il jukebox digitale può però anche essere un’occasione di preghiera. Come la Radio Vaticana da anni effettua, ad esempio, la trasmissione radiofonica della preghiera del Rosario o della Compieta, così è stato possibile pensare a un podcast di preghiere recitate da scaricare e ascoltare come aiuto all’orazione personale. È il caso del Praystation Portable Podcast (nome evidentemente mutuato dalla playstation), ispirato da P. Vanhögen e realizzato da Jeff Vista, che permette di ascoltare Lodi e Vespri della Liturgia delle ore(27). Altrettanto utili per la preghiera e la meditazione sono i numerosi podcast che leggono la Bibbia a tappe in modo che essa possa essere ascoltata tutta, giorno per giorno, all’interno di un anno(28) o anche secondo altri criteri di selezione. È chiaro che la lettura orante rimane insostituibile perché permette di fermarsi sulle parole, meditarle attentamente. Tuttavia non ci si dovrebbe meravigliare se, alla Bibbia o a libri di preghiera e meditazione, qualcuno dovesse affiancare un jukebox digitale nel quale sono state scaricate meditazioni, letture di brani biblici o libri spirituali.

Esistono poi network di podcast religiosi, come The GodCast Network. Molto utile anche la directory di podcast cristiani ChristianTuner — che in realtà presenta liste di programmi di ispirazione cristiana offerti da ogni genere di media —, il Christian Podcast Network e il Christianpodcasting.com. Riconciliare fede e tecnologia è lo scopo di God in Tech che è un network di podcast(29). Il problema però è che per queste directory sembra che non siano presenti podcast di area cattolica, i quali invece sono reperibili utilizzando le directory non confessionali. Esiste però anche un network cattolico: Disciples with Microphones (DWM)(30).

Anche riviste e altri media aprono finestre digitali sul mondo del podcasting. Un solo esempio: la rivista cartacea Relevant magazine, molto attenta al mondo della christian music e all’incontro tra cristianesimo e cultura pop(31). Si tratta, però, soltanto di un esempio tra i tanti possibili.

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NOTE
1 Sarebbe interessante scrivere una storia della «musica portatile». In essa, di certo, un posto d’onore andrebbe riservato al «mangiadischi», vero oggetto di culto degli anni Settanta.

2 Tecnicamente cd player e jukebox digitali vanno sotto il nome comune di «riproduttori digitali di suono» oppure «lettori audio digitali». Per distinguere i primi dai secondi però l’uso comune sembra preferire le espressioni virgolettate (in inglese digital audio players) per indicare esclusivamente i jukebox. Qui, per evitare fraintendimenti, useremo l’espressione propria «jukebox digitali», nonostante sia poco diffusa.

3 Esistono molte pubblicazioni per comprendere come funziona l’iPod. Tra le più chiare ricordiamo S. KELBY, iPod, Milano, Mondadori, 2005.

4 Basti citare Napster (http://www.napster.com ) che fa pagare un canone mensile di circa 10 dollari, permettendo di «affittare» tutta la musica che si vuole. Ma allo scadere dell’abbonamento tutte le canzoni scaricate cessano di funzionare, cioè non sono più udibili. È la stessa logica di Yahoo! Music Unlimited, che però fa pagare un po’ meno (http://music.yahoo.com/unlimited). Questi sistemi non funzionano sui computer Apple, mentre iTunes funziona sia su Apple sia su Windows.

5 Il problema semmai consiste nel fatto che non tutti i file musicali sono compatibili con ogni lettore digitale a causa di differenti forme di codifica del suono. Il più comune è il ben noto mp3 ampiamente compatibile. L’iTunes Store usa il formato AAC che è decodificato soltanto dall’iPod. La Sony ha sviluppato il formato ATRAC, Microsoft il WMA ecc.

6 Rimane ancora utile da consultare sull’argomento M. BULL, Sounding out the city: personal stereos and the management of everyday life, Oxford, Berg, 2000.

7 Cfr T. COCHRANE, Podcasting. Do It Yourself Guide, Indianapolis (IN), Wiley, 2005.

8 Esso però può derivare anche da Personal Option Digital Casting.

9 http://www.bbc.co.uk/radio/downloadtrial

10 In agosto la NASA ha pubblicato anche il primo podcast trasmesso dallo spazio da Steve Robinson, un astronauta in orbita sullo Shuttle: http://www1.nasa.gov/mp3/124708main_sts114_robinson_podcast.mp3

11 A chi ha letto il nostro articolo sui blog (cfr A. SPADARO, «Il fenomeno “blog”», in Civ. Catt. 2005 I 234-247) è facile spiegare che il podcast è una forma di blog audio, tanto che il nome primitivo del podcasting era proprio quello di audioblog. Ma c’è una differenza fondamentale: il podcast non è interattivo come invece lo è il blog.

12 Ad esempio http://www.ipodder.org o http://www.podcast .net oppure la Podcast Directory raggiungibile all’interno del programma iTunes.

13 http://www.vaticanradio.org

14 feed://www.radiovaticana.org/rss/italiano.xml

15 http://feeds.feedburner.com/RadioVaticana105live

16 Cfr F. M. ZAMBELLI, «Il podcasting di iTunes inventa l’iGod», in http://www.macitynet.it/macity/aA22235/index.shtml

17 Il sistema del videocasting (anche se questo è soltanto uno dei tanti nomi dati a un fenomeno in evoluzione) funziona in maniera simile al podcasting, con la sola differenza che i contenuti sono audiovisivi e non solamente audio. Spesso questo sistema viene definito anche popcasting dal nome di un programma (popcast) che permette di iscriversi ai canali video già esistenti e di scaricarli automaticamente. Ma vi sono anche altri strumenti che funzionano in maniera analoga. In particolare, si stanno diffondendo canali informativi che promuovono anche l’informazione dal basso sul modello dei blog. Di recente è nato Online Tg messo in rete dal Corriere della Sera due volte al giorno (11,30 e 16,30) (http://mediacenter.corriere. it ). Il palinsesto si è arricchito anche di un VideoMeteo. Esperienze già collaudate sono invece i Tgblog (http://www.tgblog.it ), Nessuno (http://www.nessuno.tv , adesso in onda anche su Sky) e Arcoiris (http://www.arcoiris.tv ). A livello mondiale sia Google sia Yahoo si stanno attrezzando per offrire piattaforme utili ai «videogiornalisti» fai-da-te che vorranno aprire emittenti. Non c’è da sorridere se si pensa al fatto che le prime immagini di eventi quali lo Tsunami o gli attentati terroristici di Londra, poi diffuse dalle grandi agenzie di stampa, sono state fornite proprio da privati, alcuni dei quali le avevano pubblicate nei loro blog personali.

18 Cfr T. RALLI, «Missed Church? Download It to Your IPod», in The New York Times, 29 agosto 2005.

19 I dati numerici qui forniti sono in continua crescita. Il termine podcasting è presente anche in Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/godcasting

20 http://catholicinsider.com Si può ascoltare la storia dell’idea di dar vita a Catholic Insider in: http://www.catholicinsider.com/podcasts/ci20050318.mp3

21 Ricaviamo il dato numerico da R. MASTROLONARDO, «La religione scopre il podcasting», in Corriere della Sera, 8 agosto 2005.

22 http://www.catholicinsider.com/media/20050819_cnn.wmv

23 http://www.podcastawards.com

24 Segnaliamo anche RevTim del pastore protestante californiano Tim Hohm che pubblica due podcast alla settimana ascoltati da una media di 6.000 persone(http://podcast.revtim.com).

25 http://www.therc.org

26 Per avere un’idea del fenomeno si può consultare l’elenco presente in http://www.podcastalley.com/search.php?searchterm=worship

27 http://feeds.feedburner.com/praystationportable

28 Due esempi: feed://feeds.feedburner.com/VerbumDomini, http://feeds.feedburner.com/BibleInAYear

29 Cfr http://www.godcast.org, http://www.christiantuner.com/programs/podcasting.aspx, http://quikonnex.com/channel/item/14454, http://www.christianpodcasting.com, http://gmpodcasting.net

30 http://www.discipleswithmicrophones.org

31 feed://www.relevantmagazine.com/beta/podcasts/relevantmagazine.xml

Pubblicato su ‘La Civiltà Cattolica’ 2005 IV 265-274, quaderno 3729


Qual è il mio destino?

Qual è il mio destino?

La parola destino evoca spesso qualcosa che ha a che fare con la necessità, una necessità dura, cupa, cogente, inevitabile. Di fronte al destino non resterebbe altro che la rassegnazione: “è il mio destino!”. Ci si può ribellare di fronte a una destino “segnato”, ma questa ribellione sembra avere il gusto dell’inutilità e dunque dell’insuccesso. Alla fine non si può che dire: “era destino!”.

Destino però è anche la parola che gli spagnoli usano per indicare la destinazione, il punto di arrivo di un cammino. La vita è un cammino, lo si dice spesso. La metafora del viaggio è ben nota e sta ad indicare il percorso dell’esistenza nelle sue tappe, nei suoi percorsi, nelle sue mete. Avere una destinazione oggi appare, sempre più un altro modo per dire avere obiettivi. Si dice che bisogna andare avanti per obiettivi, per goal. Per vivere bene occorre fissarsi delle mete da raggiungere. Raggiunte quelle, bisogna fissarne altre e poi altre e poi altre e poi altre… Fissare una meta è, in fondo, una meta, un obiettivo da raggiungere! Alcune persone non riescono a farlo.

Tuttavia, mi chiedo: basta così? La domanda “qual è il mio destino?” resta intatta. Né il primo né il secondo atteggiamento sono sufficienti a dare una risposta.

Il primo atteggiamento porterebbe a rispondere: qualunque sia il tuo destino, è destino! Non ci puoi fare nulla! Puoi fare qualcosa fino a che esso non arriva. Ma quando arriva non c’è nulla da fare (nel bene e nel male)! Dunque: “beato te!” oppure “peccato! E’ andata così…”.

Il secondo atteggiamento porterebbe a rispondere: il tuo destino è qui e ora: la vita è nelle tue mani: spendila! Dopo chi lo sa che cosa sarà! Finchè puoi, fa che sia ciò che tu vuoi che sia!

Il punto è che la domanda resta ancora là: qual è il mio destino?

Chi è in grado di dare questa risposta? Come averla? Se tesa al massimo questa domanda finisce per coincidere con la domanda sul senso della vita. Se ci fate caso, “senso” e “destin(azione)” fanno entrambe riferimento a coordinate spaziali e di movimento. Il senso ultimo della vita è, in realtà il senso primo. Il destino è l’origine. La destinazione non viene semplicemente “dopo” il cammino: essa è ciò che costituisce il senso, la direzione, la tensione del cammino. Lo struttura, lo muove, lo indirizza.

Ma questo destino, questo senso ci è radicalmente indisponibile. La nostra vita appare ai nostri stessi occhi come criptata. Nessuno può dire di conoscere se stesso e la propria esistenza nitidamente e fino in fondo come davanti a uno specchio. Il destino mi sfugge nella sua globalità, ma lo vivo e lo “costruisco” giorno per giorno. Ma il senso della vita in quanto tale, nella sua globalità, è indisponibile.

Un credente lo considera, in definitiva, criptato in Dio (anzi: è Dio stesso, in realtà), così spende la sua libertà vivendo di questa consapevolezza. Chi non crede può fissare un obiettivo di vita, una direzione, ma il senso ultimo resta comunque non “de-finibile” in toto, semplicemente perché nessuno ha presente la linea della propria esistenza dall’inizio alla fine.

Per il credente il destino è la vita in Dio, per il non credente la conclusione dell’esperienza terrena, cioè la morte, la fine della propria coscienza, lo sfaldamento della propria vita organica, e la sopravvivenza nel ricordo delle persone care o dei propri atti o opere.

Inteso in questo senso, il destino non si pre-vede! Prima si può semmai coglierne l’orientamento. Ma il destino è sempre “altro”, è qualcosa che sta dentro e sotto ogni istante della vita, ma resta radicalmente altro. Sta sempre al di là. Insomma: non si può dire qual è il mio destino. Si può dire che sta al di là, però.

Questa visione è frutto di una convinzione e di una scelta. L’artista come il fruitore (lettore, spettatore,…) forgia (a volte senza accorgersene) il suo modo di fare arte o di fruirne alla luce di questa visione: destino di vita o destino di morte. E’ questione di vita o di morte. In ogni caso c’è di mezzo un “abbandonarsi”, un salto.

Di un personaggio il suo autore e il suo lettore possono chiedersi: qual è il suo destino? Di una storia chiusa nelle pagine di un romanzo ci si deve chiedere: qual è il suo destino? Esattamente come ci si può chiedere qual è il destino di ogni persona e della grande vicenda della Storia, cioè la storia del mondo.

Ma anche qui si compie un salto, in realtà: il destino di un personaggio e di una storia narrata non si compie nelle pagine, ma nel suo lettore. La loro storia, in qualche modo, entra a far parte del mio destino. Per un lettore, ma anche per un autore: il destino di un personaggio si compie anche nella vita personale del suo autore, in un modo o nell’altro.

La domanda sul destino, allora, torna indietro. Si espone nuovamente sulla vita di ogni giorno. Anzi: si gioca giorno per giorno, ogni giorno, nel rapporto concreto con le cose: “la vita umana, come le nostra intuizione e i nostri grandi scrittori ci hanno detto, è semplice e limitata. E’ un processo in cui a un semplice istante ne segue un altro, in cui muoviamo un passo dopo l’altro, in cui tiriamo un respiro dopo l’altro” (parole di William Lynch). Il destino non è mai evasione da questo limite: è semmai invece una grande visione.

Lo spazio delle cose è il luogo in cui si gioca il senso e il destino. Ogni gesto, ogni oggetto è pieno zeppo di destino, a ben guardare. La realtà si può vedere sempre in trasparenza…


Nasce la Federazione BombaCarta

Il 7 ottobre BombaCarta diviene una Federazione di associazioni e gruppi culturali, dopo essere stata per 8 anni una associazione culturale con sede a Roma. Adesso le sedi sono Roma, Reggio Calabria, Trento, Uboldo (VA),
Bagheria (PA), Genova. Ma…

Tutto è partito da un cassetto.

O meglio da una poesia trovata per caso, incisa nel fondo del cassetto di una cattedra scolastica del liceo “Massimiliano Massimo” di Roma-EUR, dove insegnavo. Avevo bisogno di una penna e trovai una poesia. Chi aveva scritto quei versi tanto ingenui quanto incisivi e penetranti nel fondo di quel cassetto? Chi lo saprà mai? Ma da quel momento mi fu chiara una cosa ovvia: che molti scrivono: scrivono di tutto e su tutto (diari, quaderni, foglietti, foto e… cassetti).

Da qui è nato il desiderio di far emergere il sommerso.
Misi un avviso nelle bacheche: “tirate fuori dai cassetti i vostri testi, le vostre poesie, i vostri racconti e si cercherà di dare una veste pubblica ai vostri lavori pubblicandoli in un sito internet”. E i testi arrivarono e in abbondanza. Insomma, come disse qualcuno un po’ ironicamente, era una “bombacarta”, un’esplosione di testi. Era il 24 marzo 1997. Ma ecco che nel dicembre successivo due ragazzi che avevano consegnato le loro parole mi fecero una proposta: perché non incontrarci periodicamente e formare un gruppo di riflessione e pratica creativa? L’idea era allettante. Ma chi coinvolgere? Anche questa volta fu affisso un avviso in bacheca con la certezza che ci saremmo trovati in quattro o cinque. E invece no.

Il 12 gennaio 1998 alle ore 16.00 eravano quarantadue. Da quel giorno è nato il sito internet www.bombacarta.it e abbiamo cominciato a darci appuntamento per un incontro mensile di una giornata detto “Officina”, che si tiene a Roma presso l’Istituto “Massimo”. Poi sono nati i laboratori virtuali di una mailing list e di una rivista mensile digitale (Gasoline).
Poi sono nati laboratori di vario genere: scrittura, video, teatro, lettura espressiva, lettura critica. Di recente è nato anche BombaBimbo, un laboratorio di lettura e scrittura per bambini. Leggere è importantissimo: riteniamo che non si possa scrivere senza una forte passione e pratica della lettura. La mailing list, attualmente seguita da circa 350 iscritti, ha permesso di entrare in contatto con persone diversissime che vivevano in varie parti d’Italia e del mondo. Molte persone sono state contattate grazie all’organizzazione di eventi culturali in collaborazione con la Discoteca di Stato, il Centro Studi Americani di Roma, il Big Mama, etc…

Ciò che ha caratterizzato lo sviluppo di BombaCarta e i contatti creati in questi quasi 8 anni di vita, è stata la qualità dei rapporti. Una cosa è chiara: BombaCarta non è un metodo, una idea, un programma o una organizzazione o una scuola “professionalizzante”. BombaCarta è una “bottega”, una esperienza. Più precisamente: BombaCarta è un gruppo di persone che vivono una particolare esperienza di crescita umana e culturale. BombaCarta nasce come una rete di rapporti tra persone e non un luogo asettico di apprendimento passivo. Noi diciamo che si può imparare l’arte dell’amicizia vivendo l’amicizia per l’arte. L’amicizia non è un fatto scontato. Si costruisce col contributo di chi intende viverla, con le “regole” non scritte del rispetto, dell’ascolto, della dedizione, dello spirito d’iniziativa. Anche questa è un’arte.

Crediamo nell’espressione creativa – che ciascuno ha la fortuna di ospitare in sé – intesa come mistero, sorpresa, capacità di nuove visioni sulla realtà. Cerchiamo di vivere questa passione per la creatività in una sfida di collaborazione, comunicazione e confronto, contrapposta ad ogni atteggiamento narcisistico e individualistico. Ogni gruppo o associazione che si “federa” a BombaCarta ha un proprio statuto. Quello che ci lega è l’adesione piena a un testo programmatico, il “Manifesto per un impegno culturale e creativo”, oltre a un confronto serrato sulle singole iniziative varate dai gruppi locali. L’importante per noi non sono i legami formali o burocratici, ma un rapporto reale concreto che ci fa pensare e organizzare.

BombaCarta non è, e non intende essere, un fuoco d’artificio di testi e opere sparse, nè semplicemente un “gruppo ricreativo”, ma un progetto critico forte e articolato. La filosofia di questo progetto è centrata sull’importanza di una riflessione sulle tematiche e sulle domande principali circa l’arte e l’espressione. Su queste basi alcune persone hanno bucato la Rete virtuale e sono venute a Roma. Siamo stati bene insieme.

Da qui, da parte di queste persone, l’iniziativa di vivere in loco con altri amici la stessa esperienza. Ed ecco sorgere iniziative e gruppi a Trento e Reggio Calabria, Varese, Bagheria, Genova, oltre che a Roma. Particolarmente interessante è la nascita di gruppi di lettura che portano il nome di Flannery O’Connor, la scrittrice statunitense che per noi è un punto di riferimento ideale. Poi sono nate altre liste e altre riviste, come ad esempio, BombaSicilia, la e-zine curata dai nostri amici siciliani. L’Associazione “Pietre di Scarto” di Reggio Calabria vivacizza la città con laboratori di scrittura e lettura, oltre che con un grande convegno a cadenza annuale sui grandi temi della letteratura. A Genova la gente si incontra in un appartamento privato, a Uboldo, in provincia di Varese, in un oratorio e in una biblioteca, a Trento nella biblioteca comunale. Tutto si basa sullo scambio di idee, intuizioni, amicizia, competenze…

L’ispirazione migliore segue la vita che si guarda attorno e si interroga, cercando di dar forma nello stile all’urgenza del vissuto: si scrive lavorando su se stessi. BombaCarta è un luogo in cui si impara a sviluppare questo rapporto profondo tra arte e vita, grazie alle cose molto semplici che facciamo: leggere pagine, vedere insieme film, ascoltare musica.

La cultura può essere un immenso e sterile meccanismo narcisistico che imbozzola e fa crepare dentro discorsi asfittici, scegliendo sempre i locali “giusti”, le librerie più fornite, gli spettacoli più colti e gli arredamenti più arditi: una superba miseria. L’esperienza di BombaCarta mi aiuta a ricordarmi che ai libri, ai film, ai quadri bisogna solo chiedere di aiutarci a essere più autentici e spontanei, di sciogliere le nostre incrostazioni.

L’arte e la cultura sono un “aiuto”. Non uno “strumento”, ma un aiuto a sciogliere le incrostazioni che impediscono l’autenticità. Le storie raccontate in parole e immagini possiedono in se stesse la formula capace di aprire un mondo (bello o brutto, accettabile o inaccettabile). Raccontare una storia significa «spremere» la realtà, cogliendone la sostanza (in senso letterale: ciò che sta sotto, a suo fondamento), ma anche assistere a un mondo che si spalanca davanti al suo lettore, non importa se in modo realista, o surrealista.

Questo rapporto profondo tra vita e letteratura, poesia, arte è il nostro pane quotidiano negli incontri e negli scambi che avvengono all’interno di BombaCarta. La possibilità di confrontarsi con persone che sono sulla stessa lunghezza d’onda, anche se di formazione e orientamenti diversissimi e spesso divergenti, è una ricchezza enorme.


Cose che bisognerebbe sapere

Quali sono le cose che bisognerebbe sapere? Il senso della vita, come si fa ad essere felici, come capire il mondo…
Sì, certo, tutte queste cose. Ma anche bisogna sapere come si accende la luce, come si usa la forchetta, come aiutare chi ci sta accanto…
Quante cose bisognerebbe sapere nel momento in cui si aprono gli occhi sul mondo!

Le cose si apprendono a poco a poco: si impara a camminare, a dire “mamma” e “papà”, a studiare, ad amare, a fare qualcosa di utile per gli altri. Piano piano… A volte si sbaglia e dagli sbagli si impara, spesso.

Altre cose invece non si imparano, o almeno così ci sembra. L’intuito, la sensibilità, il modo di fare e di essere sono cose che si sviluppano sì, ma che in radice ci ritroviamo come bagaglio ricevuto o, se vogliamo, “dono”.
Ma ecco la domanda: come farli fruttare? Oppure, se ci ritroviamo degli ostacoli in partenza (deficit, svantaggi,…) come si fa a rimuoverli? Oppure: come si fa a convivere con essi?
Tante cose bisognerebbe sapere!

Eppure tutte queste cose fanno appello a una dimensione dell’uomo che rende possibile sapere le cose: la conoscenza, la capacità di apprenderla, la possibilità di essere educati, la forza dell’intelligenza e della abilità
nell’agire.

L’anno scorso BombaCarta nelle sue varie iniziative ha riflettuto sui «nodi dell’esistenza» (dolore, desiderio, lotta, fantasia, fiducia, liberazione, obbedienza, verità…). Quest’anno parleremo di cosa e di come si conosce. Anzi, delle cose che bisognerebbe sapere per vivere.

Il condizionale non indica una pura ipotesi. Indica una necessità non ferrea, ma umana, profonda, non superficiale, non puramente strumentale. Cose che possiamo anche dimenticare, certo, ma a costo di sbiadire il colore
della nostra vita.


Il fiore è il nostro segno

Il fiore è il nostro segno, scriveva il poeta William Carlos Williams.
Lo ripetiamo anche noi: il fiore è il segno di ogni vita umana.
Il fiore è perché sboccia, perché si dischiude.
Non è tale finché non si offre. C’è da meditare sui fiori nei campi e nei parti che vedremo quest’estate.
La poesia, l’arte è un fiore. No, non si tratta di una bella immagine, dolce e commovente.
Il fiore è una cosa seria.
Se l’opera d’arte non sboccia, se non si dispiega, se non si offre, avendo come riferimento un tu, allora marcisce in se stessa, si scurisce, puzza.
Se l’opera mostra mostri i suoi colori e le sue forme, allora significa che ha avuto radici fonde in un terreno fertile e che vive in un orizzonte di apertura.
L’arte è offerta, prima ancora che conquista.
Scriveva Ungaretti:

Tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile nulla

E di ciò che è perché si dona, altrimenti non sarebbe, si deve aver cura.

È tutto qui l’augurio per l’estate, in questa poesia di Raymond Carver dal titolo Abbi cura:

Dalla finestra la vedo chinarsi sulle rose
reggendole vicino al fiore per non
pungersi le dita. Con l’altra mano taglia, si ferma e
poi taglia ancora, più sola al mondo
di quanto mi sia mai reso conto. Non alzerà
lo sguardo, non subito. È sola
con le rose e con qualcosa che riesco solo a pensare, ma non
a dire. So bene come si chiamano quei cespugli
regalatici per le nostre recenti nozze: Ama, Onora e Abbi Cura…
è quest’ultima rosa che lei all’improvviso mi porge, dopo
essere entrata in casa tra uno sguardo e l’altro. Affondo
il naso in essa, ne aspiro la dolcezza, la lascio indugiare – profumo
di promessa, di tesoro. Le reggo il polso per avvicinarla ancora,
i suoi occhi verdi come muschio di fiume. E poi la chiamo, contro
quel che avverrà: moglie, finché posso, finché il mio fiato, un petalo
affannato dietro l’altro, riesce ancora a raggiungerla.

Se la poesia e l’arte vivono sotto il segno del fiore, allora sono sempre profumo di promessa.


Verità

Cos’è la verità?
È ciò che appare. Non ciò che mi sembra, ciò che io credo.
È ciò che appare, cioè che si manifesta nella sua evidenza.
Stiamo al chiodo e soprattutto restiamo nel nostro ambito, quello dell’espressione creativa. Si pensa, a volte, che l’espressione artistica sia essenzialmente fiction, finzione, elucubrazione mentale, frutto di fantasia. Se così fosse, se l’arte fosse un puro gioco di apparenze, allora non sarebbe una cosa molto interessante. Sarebbe un divertimento.
No. Bisogna andare più a fondo. L’intuizione creativa vera vive di uno svelamento (aletheia, il termine greco per dire “verità”, significa, appunto “svelamento”) che coinvolge in un patto di sangue chi scrive, dipinge, compone,… e chi legge, guarda, ascolta…
Se parlo di svelamento non intendo dire che sono io (l’io scrittore, artista,…) a scoprire qualcosa, ma è quel qualcosa che mi si svela davanti, anche senza che io possa volerlo, desiderarlo.
La verità mi si impone, in qualche modo. In tal senso è inesauribile, inoggettivabile, sempre ulteriore. E questo fa paura, spesso. Per questo qualcuno pensa che “la verità non esiste” o comunque è bene non parlarne, perché è fuori controllo. A volte è bizzosa, irrequieta, im-placabile. È una visitazione che non può essere dedotta dai miei desideri.
L’infinito al di là della siepe è una verità che si è imposta a Leopardi con i suoi “sovrumani silenzi”.
Ma questa verità si svela non in generale, ma a me. E quindi vive nella mia interpretazione, senza però esaurirsi.
Non bisogna aver paura della verità.
È una bambina ribelle che ama fare a pugni, questo sì.


L’obbedienza è ben più che una virtù

L’obbedienza non è una virtù. È vero. Meglio: non è solamente una virtù. È qualcosa di molto più importante di una virtù. Cerchiamo di capire meglio.

Quando “vieni al mondo” non ti ritrovi solo: entri subito all’interno di relazioni che ti precedono. Ci nasci dentro. Non solo: nasci dentro una lingua particolare (italiano, inglese, portoghese,…); nasci dentro un modo di vedere il mondo, dentro una cultura; nasci dentro una religione, dentro degli affetti. In realtà nasci proprio dentro mani che ti accolgono nella vita. In quel momento comincia la tua silenziosa obbedienza all’aria che respiri, all’affetto che ricevi, alla lingua balbettante con cui la gente comincia a parlarti.

Tu nasci sempre… “dentro”: è questa la prima obbedienza radicale. Senza questa obbedienza saresti solo, muto, duro. Se riconosci che ciò che sei, in radice, non viene da te, allora la tua vita può fiorire perché sai di “appartenere” a un mondo di relazioni, parole, visioni.

Obbedienza significa dunque (anche etimologicamente) ascoltare ciò che ci precede e ci accompagna, ciò che è presente. E cos’è la primissima “cosa” che è presente? Immaginiamo di nascere adesso, di aprire gli occhi adesso. Cosa proveremmo? Il contraccolpo stupefacente del mondo presente di colpo ai nostri occhi. Cioè? L’essere! Non come astrazione, ma come presenza che mi si impone davanti! Forse a volte, ci è capitato di provare una sensazione simile quando, dopo aver superato una curva o una collina, un panorama splendido ci si è spalancato, all’improvviso, davanti agli occhi.

Certo, l’uomo cresce e si sviluppa, anche separandosi dai propri affetti originari, dalle visioni nelle quali nasce, e impara nuove lingue, nuove idee… L’uomo si differenzia, si confronta, si distingue. Ma questo viene dopo. Il primissimo sentimento originario dell’uomo resta quello di trovarsi davanti a una realtà che non è se stesso, che non è sua, che è indipendente da lui, e dalla quale dipende. Ecco la prima obbedienza, che coincide con lo stupore di essere al mondo. In genere, coincide proprio con un sorriso, quello materno.

Niente è più pertinente all’uomo di questa originaria dipendenza. Solo questo stupore obbediente è in grado di fondare ogni vera successiva necessaria differenziazione, distinzione, ogni libertà che non sia malata o disperata. Solo così la libertà potrà giocarsi.

L’arte è una forma di dialogo, ora fiducioso ora ribelle, con la propria originaria obbedienza/dipendenza a ciò che è. Essendo “creativa”, l’ispirazione ha il potere di portarci indietro, ci fa avvertire l’eco del mistero delle origini, lo stupore di un mondo visto per la prima volta, il senso della “mappa del nuovo mondo”. Ci fa riscoprire il gusto dell’obbedienza originaria.