Connessioni. Nuove forme della cultura al tempo di internet

È appena uscito il nuovo libro di Antonio Spadaro.

Connessioni, Antonio Spadaro“Il libro incita a riflettere sulla fenomenologia dell’incontro in Internet, in quanto luogo frequentato da milioni di persone ogni giorno, spazio che nessuno possiede e che favorisce le connessioni. Tale luogo è diventato un ambiente culturale ed educativo frequentato da milioni di persone, credenti e non, e rappresenta per la Chiesa una formidabile opportunità di comunicazione perché consente di moltiplicare le connessioni sia come collegamenti personali sia per la costituzione di nuove forme di aggregazione sociale”. dalla prefazione di Xavier Debanne

L’inarrestabile sviluppo dell’informatica sta trasformando in profondità il nostro modo di vivere e di comunicare. Una serie di nuovi termini si aggiungono al vocabolario: editoria digitale, biblioteca virtuale, blog, wikipedia, podcasting, web-zine solo per citarne alcuni. Ognuno di essi si presenta come un insieme, affascinante e ambiguo, di opportunità conoscitive e comunicative che sta cambiando radicalmente il volto della cultura.
Sta nascendo un nuovo modo di imparare, di trasmettere e di rielaborare il sapere. Tutto ciò si riflette immancabilmente anche su quella parte fondamentale della cultura che è l’esperienza religiosa e la riflessione teologica.
Da qui la necessità di una mappa per conoscere i cambiamenti in atto e per imparare a valutarne potenzialità e limiti. Con tale intento l’autore, «navigatore» esperto del mondo multimediale, compie una rassegna ragionata e critica di tutte le principali innovazioni introdotte dal digitale, senza dimenticare il collegamento con il meglio di quanto la tradizione da cui proveniamo ha saputo elaborare.

Qui tutte le notizie.


Letteratura: servizio, fantasia, mistero

I Convegni organizzati dall’Associazione Pietre di scarto sembrano avere una vocazione precisa: toccare i nervi sensibili della letteratura, compiere sondaggi e perlustrazioni in terre poco frequentate, quelle delle grandi domande, delle questioni di fondo: la gente si chiede quale libro leggere e gli amici di Pietre di scarto si chiedono a che cosa serve la letteratura; la gente crede che la letteratura sia un pianeta fantastico distante dall avita ordinaria e reale e loro dicono che la fantasia è un modo di rapportarsi alla realtà; la gente crede al mestiere della letteratura e ai suoi prodotti best-sellers e loro parlano del mistero della letteratura.
Ma andiamo con ordine, riprendendo le fila di un discorso tutto in evoluzione dinamica e che non mancherà di riservare sorprese. Comincerò raccontandovi un’esperienza. [Continua »]


Il mistero di scrivere

Il Convegno IL MISTERO DI SCRIVERE che si è svolto a Reggio Calabria nei giorni 24-25-26 febbraio, per iniziativa dell’Associazione “Pietre di scarto” federata a BombaCarta, con il contributo del CIDI di Reggio e della Fondazione “R.Misasi”, è stata un’esperienza così ricca ed importante che mi pare opportuno darne informazione a tutti, soprattutto nella speranza di indurre ad ascoltare la registrazione di tutti gli interventi ormai on line, grazie ad Antonio Spadaro e a Cristiano Gaston. Naturalmente qui potrò solo mettere in evidenza poche considerazioni, quelle che più mi hanno colpito, poi si potranno ascoltare le registrazioni o leggere gli atti.

Il primo intervento è stato quello di Antonio Spadaro, che ha cercato di rispondere a due interessanti domande: che cosa c’è di misterioso nello scrivere? L’ispirazione che cos’è? Prendendo spunto da uno (per noi) sconosciuto poeta contemporaneo polacco, Adam Zagajewskj (nei cui confronti ci ha così destato molta curiosità e voglia) ha sgombrato il campo dalle banali connessioni dell’ispirazione con la pura emozione o con il sentimento e l’ha definita una forma di conoscenza più ardente e attenta, una conoscenza “più calda” del mondo, che ci porta ad esplorare l’abisso del vivere. L’ispirazione ci permette di guardare questo “gorgo oscuro” con angoscia (come ha fatto per lo più la poesia del Novecento), ma anche con meraviglia, con un incantato stupore che ci riporta ad essere contemporanei della creazione. [Continua »]


Come si fa a prendere una decisione?

Ogni scelta della vita può essere un’opportunità o un pericolo (in giapponese si usa lo stesso ideogramma per esprimere entrambe le situazioni). Anzi: forse ogni vera opportunità contiene in sé un pericolo, o almeno un rischio.

Ogni volta che scegliamo qualcosa di importante (anche se con tremore o esitazione), alla fine ci sentiamo confermati nel fatto che la nostra vita è veramente nostra, nel bene e nel male. Prendiamo contatto con la nostra vita. Chi non sceglie, chi va dove lo porta il cuore come una canna al vento, chi si fa avvolgere dalle spire rassicuranti e calde del dubbio scettico, alla fine sentirà la propria vita come “qualcosa” che non gli appartiene, che gli scorre accanto senza lambirlo…

Per questo ogni buon romanzo, ogni buona storia è fatta di decisioni, di scelte. Un personaggio che non sceglie mai nulla è noioso, e la sua storia piatta: comunica una sensazione di inutilità, di mancanza di qualità. Ogni scelta libera, è capace, nel bene e nel male, di cambiare il corso degli eventi, di dare un senso, di aprire prospettive. Leggere storie può voler dire anche imparare a capire quali decisioni prende un personaggio e da questo intuire cosa vuole veramente dalla sua vita. Ecco una buona domanda che ci si può porre leggendo la storia di un personaggio: che cosa decide? le vicende che vive lo provocano a scegliere qualcosa? cosa vuole dalla sua vita?

Ma come si fa prendere una decisione?

La capacità di decidere non è affatto cosa da poco. Per prendere buone decisioni occorre imparare a leggere in quale direzione ci spingono i nostri desideri profondi. Dove ci conducono i nostri desideri? Possiamo immaginare le decisioni che abbiamo prese fino ad oggi come una serie di puntini: se li uniamo con una linea possiamo comprendere la direzione nella quale stiamo andando, l’orientamento della nostra vita, il desiderio che la anima.

Certo, nella vita entrano a far parte elementi incontrollabili: la nostra vita trascende e supera ogni nostra scelta e ogni nostra previsione. E questo è bene, e ci fa comprendere come la scelta è tutt’altra cosa rispetto alla programmazione. Scegliere non significa affatto programmare, organizzare.

Scegliere significa invece essere aperti all’esperienza, essere curiosi di vedere “come va a finire”, accogliendo con fiducia la sfida di essere al mondo. Per questo si dice “essere davanti a” una scelta. La scelta è qualcosa che “ci sta davanti”, ha che fare col mondo e ci mette in relazione con esso. Chi non sceglie non è veramente “venuto al mondo”.

Ma spesso la nostra vita interiore è un caos, un magma di sentimenti e desideri opposti. Spesso sappiamo di volere una cosa e invece facciamo una cosa diversa o addirittura opposta. A volte ciò che crediamo di desiderare veramente ci eccita all’inizio, ma alla fine ci lascia vuoti, aridi. A volte ci rendiamo conto che desideriamo veramente e ci dà veramente gioia ciò che non avremmo mai pensato di desiderare. A volte non sappiamo ciò che vogliamo veramente. Allora a decidere si impara, anche per tentativi ed errori…

Stamattina sono diviso
tra la responsabilità verso
me stesso, il dovere
verso il mio editore, e la spinta
che io provo verso il fiume
sotto casa. C’è il passaggio
invernale delle trote iridate,
ecco il problema. E’
quasi l’alba, la marea
è alta. Proprio mentre
questo piccolo dilemma
si presenta e il dibattito
continua, i pesci
stanno entrando nel fiume.
Ehi, vivrò, e sarò felice
qualsiasi cosa io decida. 

(R. Carver, The Debate)

Scegliere liberamente significa aver imparato a riconoscere la trota iridata, conoscere con stupore ciò che si desidera veramente da questa vita.


Saggio sull’umorismo felino

Tratto da BombaSicilia

Snoopy and the CatCrediamo di conoscere la storia del gatto di Alice nel paese delle meraviglie: il gatto che sorride, e che a poco a poco diventa invisibile, sinché non ne resta che il solo sorriso.

Ma questa non è che la prima metà della storia: il gatto dovrà riapparire, e precisamente – ed è questa la tesi che cercheremo di dimostrare – nella figura di un cane: di Snoopy. Siamo sempre stati profondamente convinti che in realtà Snoopy fosse un gatto, e spie sorprendenti di questa sua natura ci sembravano essere il suo trasformarsi nella figura del “feroce avvoltoio”, o, ad un livello più profondo di analisi, il suo odio per il “gatto dei vicini”, un personaggio assente, come gli adulti, presente nella coscienza di Snoopy, come la “ragazzina dai capelli rossi” in quella di Charlie Brown, ma, in più, presente in infinite occasioni quando distrugge la cuccia di Snoopy (che dorme, come noto, sul tetto, e che ha una sintomatica, a mio giudizio, amicizia con un uccellino, Woodstock), o fa a pezzi il guantone da baseball con cui Snoopy protegge la mano che gli offre la pace. [Continua »]


La pietra che zampilla

underwater by Marco Marincola (CC)

Per scrivere un buon romanzo è necessario avere un discreto serbatoio di esperienza. Lo scrittore è immerso nell’esperienza, lo scrivente fa esperimenti. Per fare esperienza ci vogliono delle condizioni ben precise. La prima e fondamentale è credere che nella vita qualcosa “accade”. Sembra scontato, ma non lo è. Occorre essere consapevoli che la vita non è un flusso ininterrotto e omogeneo di avvenimenti grigi, che si susseguono uno dopo l’altro, i quali acquistano significato solamente nei circuiti mentali o nel gesto sperimentale dello scrittore. Scrivere non è soltanto un fatto di coscienza, di meandri mentali, di pura invenzione: è un fatto di realtà.

La drammatica poesia di Paul Celan ci ha insegnato che scrivere è espirare dopo aver inspirato la realtà. La poesia è “svolta di respiro”. Sempre, anche se la realtà è dura da vivere e si ha solamente voglia di evadere. Anche quando l’aria attorno si fa irrespirabile e il respiro si fa “di pietra”, la parola dello scrittore vince l’afasia incombente. Lo «zampillo» della poesia «schianterà/ la pietra che lo tiene» (Mario Luzi). La scrittura di valore letterario è sempre sorgiva, zampilla dalla pietra, schiantandola, aprendosi un varco. La roccia è necessaria.

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Saggio sull’umorismo felino

Tratto dal V numero di BombaSicilia

Crediamo di conoscere la storia del gatto di Alice nel paese delle meraviglie: il gatto che sorride, e che a poco a poco diventa invisibile, sinché non ne resta che il solo sorriso.

Ma questa non è che la prima metà della storia: il gatto dovrà riapparire, e precisamente – ed è questa la tesi che cercheremo di dimostrare – nella figura di un cane: di Snoopy. Siamo sempre stati profondamente convinti che in realtà Snoopy fosse un gatto, e spie sorprendenti di questa sua natura ci sembravano essere il suo trasformarsi nella figura del “feroce avvoltoio”, o, ad un livello più profondo di analisi, il suo odio per il “gatto dei vicini”, un personaggio assente, come gli adulti, presente nella coscienza di Snoopy, come la “ragazzina dai capelli rossi” in quella di Charlie Brown, ma, in più, presente in infinite occasioni quando distrugge la cuccia di Snoopy (che dorme, come noto, sul tetto, e che ha una sintomatica, a mio giudizio, amicizia con un uccellino, Woodstock), o fa a pezzi il guantone da baseball con cui Snoopy protegge la mano che gli offre la pace.

Tutti questi momenti erano, lo ripetiamo, indizi di una natura felina, violentemente rimossa, ma a tratti riaffiorante: Snoopy aveva un bel definire stupido il “gatto dei vicini”, ma noi lo vediamo piuttosto come invincibile, e poi, che magra figura fa la caninità, agli occhi di Snoopy; è celebre la triste galleria dei personaggi canini: dal fratello Spike, prima magrissimo, denutrito (vive spazzando la tana di un branco di coyote, nel deserto) poi, dopo la cura di Lucy, teso come un tamburo (come una grancassa, corregge Snoopy, suggerito dal gatto-ex-machina), agli anonimi cani che inseguono abbaiando le auto, e poi, sorpresa, la cagnetta che Snoopy ama, e che non vede mai, avvolta come è da una nuvola di fumo, durante una violenta manifestazione all’Allevamento della quercia, ha “zampine morbidissime”, trasparente richiamo ad una non placata, struggente, nostalgia felina.

Ma, a tutto ciò si aggiunge ora, nella nostra considerazione, un nuovo elemento decisivo: Snoopy racconta a Woodstock la storia del “bracchetto che diventava invisibile” – che è appunto la storia del gatto di Alice, e, in più, nel bel mezzo della sua trasformazione, divenuto soltanto sorriso, si accorge di non riuscire a ridivenire visibile, scoprendoci così l’incompiutezza rilevata in apertura nella storia di Carroll: se Snoopy ridivenisse a quel punto visibile, sarebbe un gatto.

Formulare questa ipotesi serve solo a rendere plasticamente evidente il nostro discorso; ma è in effetti, nella sua indimostrabilità, un’ipotesi non necessaria, dal momento che ci basta constatare che Snoopy scopre inavvertitamente la sua vera natura: è dalla natura felina che attinge tutte le sue energie, in cui trova il suo ubi consistam.
“Qui oderit animam suam custodiet eam”.
Questo detto evangelico potrebbe stare a epigrafe dell’intero agire del “teologo” Snoopy (troppo CANonico, gli dice Lucy).
Notiamo come un’eco dell’eresia di Shebbetay Zwi, il Messia apostata della mistica ebraica che condivide la natura umana sino al peccato e all’apostasia, ma forse ancora di più, qualcosa di ancora infinitamente più purificato; solo rinnegando sé nel suo odio esplicito per i gatti, nella sua amicizia per un uccello (il nemico e la preda naturale dei gatti), potrà ritrovare se stesso.

La forza che sopporta la caninità ed in essa si mantiene, è la vita dello spirito felino. Esso guadagna la sua verità solo a patto di ritrovare sé nell’assoluta abiezione canina. Questo soffermarsi è la magica forza che volge il negativo canino nell’essere felino.

Umorismo felino: il più difficile; il gatto guarda sé nell’assoluta interiorità del suo spirito – e fuori non viene nulla; il sorriso del gatto resta nella sua purezza solamente intuita; ma il gatto deve comunicare, rendere dicibile. E così la forma necessaria di questo suo comunicarsi è il cane: il cane è il momento in cui il gatto esce dalla sua indicibilità, e l’umorismo felino si dispiega in una storia, anzi, nelle storie di Snoopy.