Alcuni giorni fa il “bomber” Cristiano M. Gaston è stato invitato a parlare alla trasmissione LiveSocial di BombaCarta. Ne è uscita una chiacchierata ad ampio spettro che aiuta a rispondere (o a non rispondere) alla domanda ricorrente: “Ma insomma, cosa fate a BombaCarta?”
Come ogni anno – ormai da qualche anno – i bombers romani replicano l’iniziativa di un’officina primaverile “fuori porta”. Quando? Il 13 e 14 aprile prossimi.
Una combinazione fortunata di cambio stagione e ottima occasione per ampliare lo spazio ed il tempo che ogni mese viene dedicato al momento di condivisione più significativo nell’ambito delle attività di BombaCarta, ovvero l’Officina. [Continua »]
L’amore viene introdotto con l’aiuto di due diversi approcci, lo sguardo e il perdono, tematiche che si legano fra di loro e riprendono il fil rouge dato all’argomento, ovvero amore come relazione.
Nella relazione, nell’andare verso l’altro e nella scoperta di questo sentimento utilizziamo tutti i nostri organi sensoriali, ma la vista è forse quella che più ci coinvolge. L’occhio si posa sull’oggetto del nostro “amore” e ci svela quel tutto trascendente.
Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, dall’omonima raccolta di racconti: in questo frammento di narrazione uno dei protagonisti racconta un’esperienza di lavoro (è un medico) che ben si ricollega all’argomento della conversazione che sta tenendo con altri tre amici. Dopo un brutto incidente due persone anziane, marito e moglie, sono gravemente feriti e vengono ricoverati insieme. Il medico parla con il marito della coppia.
«Ma che fine hanno fatto i vecchietti?» […]
«Passavo a trovarli tutti i giorni, qualche volta anche due volte al giorno se ero da quelle parti per qualche altra visita. Bendati e ingessati da capo a piedi, tutti e due. Potete immaginarveli, l’avrete vista al cinema la scena, no? Be’ erano esattamente così, come in un film. Due buchetti per gli occhi, per le narici e uno per la bocca. E lei oltretutto aveva anche tutte e due le gambe in trazione. Be’, il marito è rimasto depresso per un sacco di tempo. Anche quando lo informammo che la moglie se la sarebbe cavata, continuò a rimanere depresso. Mica per l’incidente. Cioè, l’incidente era una cosa, ma non era tutto. Mi avvicinavo ai buchi che aveva per la bocca, sapete, e lui mi diceva, no, non era solo per via dell’incidente, ma perché non riusciva a vederla attraverso i buchetti per gli occhi. Ha detto che era quello che lo faceva sentire così giù. Ma ci pensate? Ve lo giuro, quello si stava facendo venire il crepacuore solo perché non poteva girare quell’accidenti di testa e vedere quell’accidenti di moglie».
Il Postino (1994): viene mostrata la scena in cui il protagonista, travolto dal sentimento d’amore, ricorre all’amico poeta perchè colmi la sua incapacità di parlare all’amata:
Nell’incontro con Beatrice Russo, l’amata, appunto, il gioco di sguardi fra i due è ciò che consente alla scena di svelare allo spettatore il mondo del giovane Troisi: timido, introverso, completamente annullato dall’amore che definisce “malattia” e privo di parole. [Continua »]
Quiete e tempesta sono connotate da una inevitabile ambivalenza. La quiete può esser vista come la ‘posizione comoda’ di Chesterton, utile per lasciare che i miracoli si posino su di noi, ma al contempo è anche la quiete nichilista di chi i miracoli se li lascia scorrere addosso senza trattenerne alcunché. Allo stesso modo – e quasi conseguentemente – anche la tempesta può essere annunciata dal vento dell’esperienza, che tutto scompiglia e rende vivo, così come può recare tsunami catastrofici e irreversibili. Vengono messe a confronto due tempeste (e due quieti): quella di Forrest Gump e quella contenuta ne La ballata del vecchio marinaio, di Coleridge. Nel primo caso, durante un fortunale, il tenente Dan impreca contro il cielo, salvo poi riappacificarsi con esso durante la conseguente quiete.
Ed ecco, la tempesta sopraggiunse.
Tremenda, furiosa essa appariva.
Ci colpì con le sue ali potenti
e lungo tutto il sud noi fummo spinti.
Con gli alberi inclinati e prora immersa,
come chi, se inseguito con minacce,
va dietro ancor all’orma del nemico
in avanti proteso e a capo chino,
veloce andava per il mar la nave,
forte urlava e ruggiva la tempesta,
sempre più a sud noi c’inoltravamo.
Nella Ballata, invece, alla tempesta segue una quiete annunciata da un albatro ‘accolto come un’anima cristiana’ e ucciso insensatamente dal marinaio. In questo caso lo sfregio alla sacralità non giunge nel mezzo della tempesta, come sfida verso il divino, ma arriva nel momento di calma successivo, come atto di hybris privo di un’autentica motivazione.
With my cross-bow
I shot the Albatross.
Ritornano le due interpretazioni della quiete: da un lato la tranquillità ‘miracolosa’, dall’altro la noluntas nichilista. Commenta Mussapi nel suo Inferni, mari, isole:
da quel gesto di immotivata ribellione all’ordine divino della natura, uccidendone il benefico e alato messaggero, l’uomo che ha levato la balestra si esclude dal creato. L’uccisione dell’albatro non avviene per crudeltà, per qualunque ragione, è frutto di accidia, indifferenza. (…) Il male, il vero male, prima ancora che la violenza, la collera, l’odio, è l’indifferenza melanconica, l’accidia, la vita apatica e la mancanza di passioni.
Incontro dopo incontro, le Officine di quest’anno fanno emergere in modo preciso quanto la matematica, i numeri, insomma i concetti che siamo soliti definire astratti siano davvero strumenti utili per portarci al cuore dei diversi argomenti.
Dalla follia alla tempesta fino a “scivolare” verso il tema “naturale” della conseguenza più illogica che ci sia: l’amore. Banale più che naturale, si potrebbe pensare. E ce lo concediamo, nella misura (matematica) in cui guardiamo a questo sentimento, a questo senso, a questa sensazione, a questo aspetto ineludibile dell’esistenza umana.
Ci sia permesso dire che, come la matematica e senza offesa alcuna, l’amore è impalpabile. Ma anche inarrestabile, incommensurabile, imponderabile, imprevedibile. Impossibile, forse.
Indefinibile? Chi lo sa? Ovviamente no. Ma ovviamente sì. [Continua »]
Silvano Petrosino di recente è diventato un ospite frequente sulle pagine di BombaCarta. Se ne comprende il motivo leggendo questa intervista di Sergio Massironi apparsa il 20 febbraio sulla pagina culturale de L’Osservatore Romano. Buona lettura a tutti!
Sembrerebbe un’ovvietà: la Bibbia non è un libro di filosofia, né un trattato di etica e tantomeno un manuale di teologia. Le Sacre Scritture raccontano delle storie il cui lògos è essenzialmente narrativo-espressivo e non logico-dimostrativo. Silvano Petrosino è un filosofo che ha a lungo indagato il senso del narrare, recentemente nel volume Contro la cultura. La letteratura, per fortuna (Vita e Pensiero, 2017).
Professore, immagino che il titolo del suo libro abbia un senso provocatorio: potrebbe chiarirci le ragioni della sua scelta?
La “cultura” contro cui bisogna ribellarsi è quella che riduce l’attività intellettuale e la pratica artistica a una sorta di nobile passatempo o di raffinata consolazione. In entrambi i casi si tratta di fenomeni che non producono alcun reale cambiamento nella vita di coloro che a essi si dedicano. Eppure considerarsi o meglio ancora esser considerati, in questo preciso senso, uomini “di cultura”, di ampie letture e di vasti interessi, è sempre stato motivo di grande soddisfazione. [Continua »]