Il Convegno di Reggio Calabria / 05 – Colpi di grazia
Francamente non so se Flannery O’Connor leggesse poesia. Ho il sospetto di no. Dovremmo chiederlo ad Antonio Spadaro, curatore del volume Il volto incompiuto (BUR), una raccolta di saggi, recensioni e lettere della scrittrice statunitense ancora inediti nel nostro Paese. Di male, nella sua narrativa, ce n’è abbastanza da stendere al suolo un cavallo, e il bene che appare dichiaratamente come tale raro, impensato, improbabile, ma formidabilmente concentrato, come un candelotto di dinamite. Se il libro di Andrea ci ha descritto un misterioso ordine d’intreccio e le pagine di Rosa aprono alla massima libertà espressiva, i testi della O’Connor riescono a combinare intreccio e improvviso in maniera strabiliante. I suoi personaggi – spiega Antonio – sono allineati al principio di tutte le loro possibilità e pertanto sono radicalmente liberi nelle loro azioni; in questo modo viene spezzato lo schema abituale per cui il buono fa cose buone e il cattivo le cattive. Qui, al contrario, il gesto di salvezza può venire anche da un uomo malvagio e la “brava persona” può infliggere e infliggersi – letteralmente – il “colpo di grazia”.
Come già era emerso alla presentazione de L’arazzo rovesciato, non siamo in grado d’individuare i fili “buoni” e quelli “cattivi”, e presumere di poterli separare mette a repentaglio l’esistenza dell’arazzo stesso. Abbiamo troppa poca immaginazione per riuscire a concepire un Dio tanto più grande dal male da poterlo usare persino per il bene. Così come non abbiamo abbastanza immaginazione per renderci conto che quando il divino erutta nella storia umana – battezzandola con il magma della grazia – non è affatto detto che si divenga buoni o migliori, al contrario: i personaggi della O’Connor non la sanno gestire e ammansire, per cui compiono gesti tutt’altro che pii o normalizzanti. I loro sono comunque gesti che scavano un “prima” e un “dopo” profondo quanto un crepaccio: tornare indietro non è più possibile. Il dramma della grazia liberamente accettata o rifiutata è la vera essenza della sua scrittura. L’uomo è mosso da tensioni esterne, dallo spirito buono o da quello cattivo: discernere da quale spirito è mosso e decidere se assecondarlo o meno, è questo che definisce la bontà o meno di un’azione. Da questo punto di vista il criminale e il santo sono la stessa cosa: il criminale si rende conto di essere mosso dallo spirito cattivo e lo asseconda, il santo asseconda lo spirito buono. Ma il minuto successivo potrebbe avvenire anche il contrario. Solo il criminale può essere un vero santo e il santo un vero criminale. Per cogliere il rovescio dell’arazzo, secondo la O’Connor, bisogna sottrarsi alla gabbia della dimensione “illumistico-intellettuale” fissando le cose imbambolati, con occhio stupido/stupìto: il gesto mistico non è elevare gli occhi al cielo, ma penetrare nelle pieghe della terra. Il significato è la storia stessa, senza stratificazione manichee tra forma e contenuto. In tutta la sua concretezza, in tutta la concrezione dell’ambiente che viviamo ogni giorno: «il genius loci è il respiro di una terra che si espira in poesia o romanzo». Occorre cambiare il modo abituale di guardare la realtà, mirando non a una conoscenza mistico-misterica, ma una nuova comprensione dell’ordinario attraverso lo stravolgimento delle categorie abituali. Flannery fa questo: cambia prospettiva. E c’introduce in una nuova visione. Dove la faccia di una bambina devastata dal tumore è un cantiere di lavoro: qualcosa che attende la compiutezza promessa. Il volto di Mary Ann è l’icona del mondo. Perché la compiutezza – che è poi un’altra parola per “perfezione” – non è di quaggiù. Tutto – male incluso – entra a far parte di una visione più ampia ed entra a far parte di una storia della quale l’uomo non ha le chiavi né vede per intero. Le apparenti diminuzioni sono come trampolini dell’infinito “under costruction”, dell’ “unfinished” del mondo. In quel volto incompiuto c’è l’indizio che non è tutto qui.
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