BombaCarta, 18 anni di sorpresa

BC invitoOggi BombaCarta compie 18 anni, auguri a questa splendida maggiorenne, ora potrà guidare la macchina, votare alle elezioni, non si scherza più insomma! E per affrontare queste nuove sfide niente di meglio che ripercorrere un po’ questa storia: ali e radici sono sempre strettamente unite. E allora abbiamo fatto qualche domanda a chi BC la conosce bene, l’ha vista nascere.

INTERVISTA AD ANTONIO SPADARO

BombaCarta compie 18 anni, dove ti trovavi il 12 gennaio 1998?
Vivevo al liceo Massimo, dove insegnavo religione, negli anni precedenti avevo insegnato anche lettere. E in quel liceo dormivo anche, mentre continuavo gli studi di teologia in Gregoriana. In quel periodo mi stavo occupando di letteratura giovanile, già scrivevo, dal 1994, su Civiltà Cattolica, e stavo indagando su quella letteratura che si era sviluppata negli anni ’90. Avevo scritto su questo argomento qualche articolo quando mi sono ritrovato ad aprire quel cassetto di un banco sotto il quale trovai incisa una poesia; come è noto quella fu la scintilla da cui tutto ebbe inizio.

Eri impegnato da studioso a indagare sulla letteratura giovanile e ti sei trovato a farne esperienza “in presa diretta”…
Proprio così; cominciai a chiedere ai ragazzi se avevano voglia di scrivere e di darmi quello che avevano scritto (poesie, diari, romanzi, racconti…); ho chiesto quindi di ricevere questi materiali e sono arrivati, ed erano tanti, non erano infatti solo i miei studenti perché la voce si era subito sparsa. IMG_0967Il 12 gennaio è la data del primo incontro ma la cosa era nata prima, tra l’altro l’idea dell’incontro non è neanche venuta a me ma a due studenti che mi dissero “sarebbe bello vederci e leggere insieme i testi che sono arrivati”. Poco prima, a metà del dicembre 1997 ero stato a Correggio, mi occupavo all’epoca di Pier Vittorio Tondelli, e lì avevo conosciuto Luciano Ligabue, gli avevo parlato di questo fenomeno e lui scrisse su un foglio di carta molto semplice “un saluto ai ragazzi di BombaCarta” che io appesi poi in bacheca, invitando i ragazzi a partecipare. L’incontro ci fu, quel 12 gennaio 1998, ed io pensavo a 5-6 persone, quando invece alla fine vennero 42 persone al punto che dovemmo chiedere un’altra sala per entrarci tutti.

Il fatto che tu eri anche docente del liceo dove si svolgevano le lezioni, almeno all’inizio, non ha avuto un peso?
Direi di no: BombaCarta (BC) non è mai stata “scolastica” e forse per questo ha avuto un certo successo. E’ nata perché alcuni ragazzi hanno cominciato ad invitare altri ragazzi e poi, dettaglio interessante, è entrato nel gruppo una persona esperta in Internet, Umberto Iavarone, che ben presto, quasi da subito, ha creato il sito, la mailing list… sganciando così quell’esperienza dalla condizione prettamente legata al luogo in cui si svolgeva.

All’epoca tu avevi già una forte passione e curiosità nei confronti della rete?
Sì, diciamo che con la nascita di BC si sono intrecciate queste mie due passioni, la letteratura e la rete. BC ha avuto da subito una presenza in rete molto forte che l’ha aperta verso l’esterno. Ci sono persone che hanno aderito al progetto anche se abitavano altrove, a Genova, a Trento.. proprio perché ci siamo conosciuti attraverso la rete e insieme abbiamo costruito questa realtà. E ancora oggi in quasi ogni officina o laboratorio, c’è qualcuno che arriva dentro BombaCarta perché ha saputo della sua esistenza dalla rete.

Come funzionavano gli incontri?
La cadenza degli incontri era all’inizio settimanale, se ricordo bene. Poi arrivarono persone interessate non solo alla scrittura ma anche alla musica, al cinema.. e quindi abbiamo cominciato ad organizzare incontri mensili, più lunghi e più strutturati. Si è sviluppato un interesse verso tutte le forme di comunicazione e d’arte. BC è diventata una sorta di piazza in cui condividere le proprie passioni, trovare un modo anche per esprimersi e avere un luogo di confronto aperto. Questi momenti furono quasi da subito chiamati “Officine”. L’Officina è qualcosa che produce. Anche laboratorio è stato un termine subito utilizzato, ma mentre il laboratorio indica un lavoro “di fino”, l’Officina ricorda di più qualcosa legato alle macchine, al lavoro duro.. ci piaceva. Ben presto, spontaneamente, decidemmo di dare un tema annuale da sviluppare poi nei singoli incontri e il primo tema fu appunto “leggere e scrivere”, cosa significa leggere, scrivere… , poi si passò ai sensi, l’elemento percettivo, cosa significa vedere, ascoltare, annusare, gustare.. In fondo l’approccio all’opera d’arte è un approccio al mondo, a come vivere nel mondo, fruire del mondo, con gli occhi e tutti i sensi aperti.

Hai diretto questa esperienza per oltre dieci anni, o forse è meglio dire che hai semplicemente accompagnato un processo che si andava sviluppando da solo?
In un certo senso sì: ho visto nascere e crescere BombaCarta senza immaginare cosa potesse essere. In effetti non c’era un programma, c’era l’individuazione di alcuni temi per le Officine, che derivavano dal tema generale. Certamente mai avrei immaginato che avrebbe compiuto 18 anni. E non solo nel tempo, ma anche nello spazio le cose sono andate molto al di là di quanto si poteva immaginare, con un’espansione a macchia d’olio in tutto il territorio nazionale e oltre, merito senz’altro della rete che ha giocato un ruolo importante dando visibilità alla nostra realtà. Così ci siamo trovati ad essere una delle primissime iniziative di scrittura creativa presenti in rete, tanto che ci fu un incontro delle scuole di scrittura creativa a Mestre e BombaCarta fu una tra quelle considerate come “modello”. Avevamo fatto partire insieme, con grande entusiasmo, un’iniziativa che ci coinvolgeva pienamente e che aveva un alto grado di innovazione.

Ti sei chiesto come mai questa resistenza di BC? Molte altre realtà che sono nate intorno alla scrittura e alla lettura, non hanno avuto la stessa vitalità…
Me lo sono chiesto e penso che forse la risposta sia nel fatto che BC non ha mai avuto né voluto avere un’impostazione professionalizzante. Non era una “scuola” nel senso tecnico del termine, una scuola per apprendere un mestiere, era un gruppo di amici che si vedeva e riteneva che l’arte era un modo non solo per esprimere se stessi, ma anche per crescere insieme. C’era ad esempio la dimensione dell’ascolto che era molto sottolineata rispetto ad altre iniziative diverse da BC dove prevale il fare, il dover fare, l’esercitarsi. C’era anche l’esercizio in BC ma sempre contestualizzato all’interno di rapporti di amicizia; non è detto che siano rimasti gli amici, BC non è un gruppo di amici e basta, nel tempo le persone sono cambiate, però c’è sempre stato un livello non professionalizzate ma legato alla vita, alla crescita, che ha fatto sempre parte del DNA di BC. Questo probabilmente è il motivo che le ha permesso di vivere di crescere fino adesso. In fondo l’arte in BC è stato compreso come un atto umano e non un atto tecnico e la visione artistica delle persone che hanno condiviso questa esperienza è quella di un’arte che potremmo dire oggi “popolare”, non un’arte elitaria, per cui l’artista è un genio isolato, ma è colui che condivide un’ispirazione. L’ispirazione come un fatto che non isola la persona ma al contrario la innesta meglio nei rapporti, nel contesto delle relazioni.

Anche se è vero quello che dice Flannery O’Connor, uno dei principali “numi tutelari” di BombaCarta, quando afferma che l’arte non è mai democratica…
Dipende da cosa intendiamo: non c’è una democrazia nell’arte ma il fatto che non ci sia democrazia, né uguaglianza, che tutti non siano uguali come nel caso dei cittadini, non significa che ci siano delle persone che emergono in maniera assoluta distaccandosi dagli altri. Il genio va riconosciuto, ma quello che abbiamo detto sin dall’inizio noi di BC è che il genio, se è veramente tale, non crea muri e divisioni intorno a sé, ma crea relazioni più forti. L’arte come esperienza del mondo. Il vero genio quindi crea relazioni, nuove, diverse, con gli altri e con il mondo, egli è appunto uno che crea.

C’è quindi uno sguardo di fiducia rispetto al mondo che è visto come un luogo umano, abitabile, non solo una valle di lacrime..
Certamente. Da questo punto di vista forse l’esperienza di BC è stata un’iniziativa antinovecentesca per dirla con un termine forse eccessivo. Diciamo che BC non ha mai condiviso l’idea di un artista angosciato che esprime il male del mondo e che vede il mondo come male. Questo primo gruppo iniziale (ed anche – se vogliamo – la mia personale visione della realtà) vedeva il mondo come uscito in maniera fresca dalle mani di Dio. Nel gruppo c’erano e ci sono persone di varia appartenenza politica e di differenza visione religiosa, perchè c’è sempre stata una grande pluralità e spesso anche compresenza di visioni contrapposte, antitetiche; direi quindi che, al di là di una fede più o meno esplicita, c’era comunque questa attenzione al momento creaturale, alla realtà “sorgiva” che va colta appunto nel suo sorgere. Anche la visione del male, se vogliamo, è una visione non venata di angoscia ma espressa nella sua crudezza: si voleva andare a fondo, all’origine delle cose, non fare una mera rimeditazione dolente e dolorosa. Anche rispetto al sentimento dell’amore, nel momento in cui veniva descritto dagli autori letti o dai membri di BC, si capiva che non era un sentimento dichiarato, filtrato dagli occhi di chi scrive, ma era un sentimento che la pagina riusciva a esprimere nella sua freschezza, in modo che, per semplificare, il lettore di una pagina d’amore s’innamora, non è costretto a vedere cosa l’autore sta provando in quel momento, ma lo prova lui in prima persona. C’è quindi un appello radicale a ciò che è originario, una visione che comunque è positiva rispetto alla realtà e all’esperienza umana. Tutto questo evitando il facile “semplicismo”. Esiste infatti una semplicità buona ma anche il rischio del semplicismo. La prima è quella che permette di gustare le radici, questa semplicità ci è sempre stata in BC, almeno come tendenza: la semplicità di gustare le radici, anche dei sentimenti. Il semplicismo no, è da evitare, anche perché è quanto di più alieno ci possa essere dall’arte.

8 settembre 2009 bisÈ una scuola BombaCarta?
Direi sostanzialmente di no. Se intendiamo per scuola una realtà che ha degli obiettivi educativi molto precisi, strutturati, dove tutto è organizzato all’interno di un programma di apprendimento. Se invece intendiamo per “scuola” un luogo, come un’accademia, in cui la gente condivide le conoscenze, in cui il sapere sorge dalle relazioni tra le persone allora certamente sì. Non quindi una scuola strutturata con un programma e con obiettivi, ma un luogo di scambio e di condivisione in cui si apprendono molte cose, ma l’apprendimento in fondo è e resta una sorpresa. Questa è un’altra caratteristica degli incontri: alla fine ci si sorprende di quello che si è fatto, al di là di quanto si era immaginato in precedenza.

Una parola-chiave di BC è esperienza.
Sì, anche perché non si può fare arte senza esperienza, di sé, del mondo, della realtà. L’arte quindi come luogo di conoscenza del reale, come rapporto con l’esperienza. E’ essa stessa esperienza e non esperimento, perché mentre quest’ultimo è provvisorio, inconsistente non impegnativo, sempre reversibile, l’esperienza invece coinvolge tutto l’essere umano, anche l’esperienza artistica.

Si può comunicare l’esperienza?
Noi comunichiamo l’esperienza. Il nostro comunicare è un comunicare l’esperienza che noi facciamo del mondo. Non è una cosa che dobbiamo necessariamente volere, è una cosa che la nostra stessa vita esprime nel momento in cui incontriamo gli altri. L’arte è una forma consapevole di comunicazione e di espressione, una forma che anche curiosa, che vive la dimensione di curiosità rispetto all’esperienza stessa, che vuole conoscere più a fondo: la parola, il colore, il marmo, il legno, le note musicali… diventano un modo per conoscere meglio la realtà e per fare un’esperienza più profonda della realtà stessa.

Quanto ci stiamo dicendo mi ha fatto venire in mente due frasi, la prima è di mio padre che nel 1958 scrive alla sua fidanzata (che poi sposerà): “Hai in mente una realtà che non è realtà. E’ più bella la realtà in sé, non quella che noi immaginiamo. E’ quella che fa andare avanti“.
Esattamente: una delle cose che abbiamo sempre detto in BC è che la realtà supera la fantasia. Nel senso che la realtà è il seme da cui può poi provenire la fantasia e se non ci fosse la realtà non si potrebbe nemmeno immaginare nulla. Ciò che abbiamo davanti ai nostri occhi supera ciò che la fantasia riesce a creare. Ma non è un fatto di priorità, di cosa è più o meno importante; è il riconoscere che c’è nella capacità dell’immaginazione dell’uomo una radice solida che è il suo rapporto con la realtà.

La seconda frase è l’incipit del saggio Le dieci parole di Haim Baharier che suona così: “Secondo la tradizione hassidica un maestro insegna non per trasmettere ma per sapere cosa ha imparato”.
Perfetto. In fondo l’insegnamento come lo viviamo noi dentro l’esperienza di BC non è l’insegnamento inteso come trasmissione di quello che uno già sa ad uno che non sa. Non è il riversamento di un sacco di patate in un sacco vuoto. E’ proprio insegnando, comunicando agli altri, che si impara, che si riconosce ciò che si è imparato. L’atto educativo e comunicativo fa parte della conoscenza stessa, il fatto di condividere ciò che si è scritto, ciò che si è dipinto, filmato.. è un modo nuovo per capire quello che si è fatto. Qualche anno dopo le Officine sono nati i Laboratori di BC, che seguono questa tendenza, e sono nati spontaneamente, come esigenza quasi inevitabile conseguenza del processo messo in moto.

Un processo che è partito senza un obiettivo chiaro, senza aver sempre chiara la rotta, giusto?
Sì, diciamo che ciò che era chiaro erano le radici profonde di questa esperienza, che possono essere fatte risalire agli Esercizi Spirituali di S.Ignazio o la loro versione pedagogica che è la Ratio Studiorum. Può sembrare strano ma quella riflessione pedagogica che è dell’inizio del ‘500 io l’ho sempre sentita molto viva, anche nel mio lavoro di insegnante di lettere. Mi rendevo conto come non c’era un programma da applicare, degli obiettivi chiari da raggiungere ma c’era un’esperienza da fare insieme. Avremmo visto come procedere e andare avanti ma appunto camminando. Andando si sarebbe visto come continuare ad andare. L’importante non era stabilire un programma preciso e chiaro ma vivere l’esperienza che stavamo facendo e apprendere da quella e, direi soprattutto, apprendere dall’esperienza degli altri, considerare l’originalità, la sorpresa dell’esperienza degli altri.

E dentro BC sono arrivate tante persone, in questi 18 anni, persone diversissime per storia, provenienza, età..
Sì, soprattutto mi ha colpito la differenza di età. Perchè ho visto che da un primo gruppo iniziale di ragazzi tra i 15 e i 20 anni, si sono aggregate quasi immediatamente persone più grandi, studenti universitari e poi anche persone più grandi fino ai settantenni. E devo dire che c’è sempre stata una grande capacità di accoglienza reciproca: la differenza di età non ha mai creato nessun problema.

Parola chiave positiva: esperienza; parola chiave negativa: astrazione?
L’astrazione è anche questa una capacità dell’uomo: astrarre è tipico dell’uomo, quindi non è giudicata negativamente in sé, in modo aprioristico. Questa capacità è parte integrante del processo di conoscenza dell’essere umano. Ciò che abbiamo sempre sottolineato sin dall’inizio è che il fatto che si astrae ma sempre dalla realtà, cioè la priorità è sempre stata assegnata alla realtà. Si è cercato di evitare l’idea dell’arte come fuga mundi, la fuga dal reale in un mondo astratto e ideale. Questo è segnalato anche da un altro aspetto sempre presente in BC: la valorizzazione dell’arte come un “corpo a corpo”, quasi pugilistico, con la realtà.

Questo apertura alla sorpresa, senza schemi preconfezionati, questo avviare processi di cui si ignora l’obiettivo preciso, sono tutti aspetti che ti hanno portato a non meravigliarti quando hai scoperto che 30 prima di te c’è stata un’altra esperienza molto simile a BombaCarta, realizzata per giunta da un tuo confratello: sto parlando dell’esperienza del professore Jorge Mario Bergoglio..
In effetti mi sono sorpreso nel trovare la somiglianza quasi letterale dell’esperienza vissuta. Lo stesso fare gruppo con dei giovani che si esprimono, in maniera creativa, l’esperienza teatrale che ha fatto fare, l’attenzione alla lettura critica dei testi, il coinvolgimento di Borges nella lettura dei testi di questi giovani e vedere che poi questi giovani hanno intrapreso carriere varie ma anche artistiche: c’è un musicista che vive in Germani, un giornalista che è anche poeta.. Ciò che mi colpisce è l’attenzione alla creatività: anche i compiti in classe che Bergoglio assegnava tendevano a valorizzare la fantasia e l’immaginazione e in tutti questi casi la valutazione aveva a che fare con la vita personale, concreta, di scriveva. Ho verificato che alcuni dei suoi alunni, nonostante ormai siano passati tanti anni e oggi si trovino magari anche in paesi diversi dall’Argentina, si siano sempre portati dietro questi compiti corretti dal professore Bergoglio; questo mi colpisce perché vuol dire che si è veramente creato un patto biografico tra la propria capacità di espressione e la propria esistenza.

Un tuo bilancio di questi 18 anni?
Una sola parola: sorpresa. BombaCarta continua a sorprendermi perchè esiste ancora, evidentemente quella intuizione originaria non ha perso la sua forza. Anche se poi ho dovuto allontanarmi non riuscendo a seguire in maniera diretta tutti gli incontri, sento che questa esperienza è perfettamente viva in me e continua a dare frutto in me e in tanta gente che ha vissuto per tanto o anche poco tempo l’avventura di BC, una realtà che quindi posso dire che ha avuto un peso determinante nella mia vita personale, dei miei interessi, su quello che poi ho fatto successivamente, ma anche nella vita di altre persone che hanno partecipato a questa esperienza. Alcuni di queste hanno scritto romanzi, pubblicati anche da grandi editori, altri hanno intrapreso la carriera giornalistica, occupandosi di giornalismo culturale.. questa esperienza è rimasta come sorgente di qualcosa che poi nella vita si continua a fare. Nei lavori che prevedono la comunicazione, l’insegnamento è semplice e più immediato comprendere come l’esperienza di BC sia preziosa: esprimersi in pubblico infatti non è cosa facile, scontata e negli incontri di BC si parla davanti agli altri e lo si fa per aiutare gli altri a comprendere meglio. Lo si fa quindi adottando un atteggiamento di apertura nei confronti dell’altro, teso non solamente ad esprimere se stessi ma a far sì che l’altro condivida la tua esperienza. Questo pone nell’atteggiamento corretto per comunicare con gli altri ma anche per insegnare. Al centro non si è solo se stessi con le proprie considerazioni ma anche l’attenzione all’altro, alla capacità di ascoltare dell’altro, l’idea di condividere non tanto delle parole, delle astrazioni appunto, quanto un’esperienza diretta. Quando si insegna qualcosa è importante la passione. Mi ha aiutato molto questa esperienza.

IMG_0970Un’esperienza che tu senti far parte anche del tuo apostolato.
Certo. Mi sono reso conto come l’arte contenga tutte le dimensioni spirituali più autentiche dell’uomo, le sue tentazioni, i suoi desideri profondi, le aspirazioni più alte, i momenti di confusione, i dubbi.. allora l’arte è un territorio in cui si esprimono dinamiche di carattere spirituale molto forte. Per alcuni le grandi domande dell’uomo non rientrano più nell’ambito religioso, non c’è l’abitudine, non c’è nemmeno più la famiglia che istruisce verso una dimensione religiosa, però queste tensioni restano nell’animo umano e a volte si esprimono compiutamente nell’arte. Non si esprimono più nella religione, ma nell’arte ancora resiste come un campo di vita spirituale che è ancora molto forte, intenso. Fare esperienza dell’arte serve a riconoscere queste dinamiche spirituali, vedere un’opera d’arte significa non solo godere dell’opera d’arte ma in questo godimento c’è un’intuizione di ordine spirituale per cui si apprende molto della vita spirituale delle persone e del mondo, di un’epoca storica, dell’epoca che stiamo vivendo.

Alla fine, giunti a questa “maturità” di BombaCarta, sono molto grato, sento di ringraziare tutte le persone che in questi 18 anni ho incrociato, persone di BC come di altre realtà collegate con BC o che hanno incrociato il nostro cammino, persone incontrate anche grazie alla rete, tramite il sito. La mia ultima parola allora è grazie, perché sento che ho ricevuto molto e che questa esperienza mi ha aiutato a vivere meglio.

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  1. angelo ha detto:

    “Non era una “scuola” nel senso tecnico del termine, una scuola per apprendere un mestiere, era un gruppo di amici che si vedeva e riteneva che l’arte era un modo non solo per esprimere se stessi, ma anche per crescere insieme.” Io ci sono arrivato nel 1999 dopo che il mio amico Frediano, un “figlio” di Tondelli mi disse con entusiasmo di questa esperienza. Ho conosciuto Antonio, Andrea, Domenico ddt, Saverio, e molte altre persone. Che bello! Che bella esperienza! Prima di incontrare la bellezza di BC si incontrava la bellezza dell’idea che ci saremmo trovati, che avremmo scritto. C’è stato quindi fin dall’inizio un precedere del pensiero che predisponeva all’esperienza. Auguri BC e a tutti gli amici.

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