[Report] Officina di dicembre 2016
Andrea
Come si fa a mettersi all’opera? Non è un fatto tanto concettuale ma piuttosto concreto, materiale, quasi fisico: “lo scultore pensa in marmo” come diceva Oscar Wilde.
La scena di New York Stories di Martin Scorsese in cui Nick Nolte è il pittore che quasi si getta dentro la tela e impasta i colori con le mani, con le note “caricanti” di Like a rolling stone di Bob Dylan&TheBand rende molto efficacemente questo immergersi in un corpo a corpo che è connaturato con l’esperienza artistica.
Ma a volte non c’è una musica che carica, a volte si è del tutto scarichi e proprio nel momento di mettersi all’opera si resta come paralizzati, svuotati, bloccati. È la crisi di Guido alias Fellini, alias Marcello Mastroianni nell’incipit di Otto e Mezzo:
Infine c’è la partenza che si realizza proprio grazie a un “blocco”, è il caso dei corridori fermi in una frazione di secondo interminabile ai “blocchi di partenza”, che sono proprio loro a dare lo slancio fondamentale per mettersi all’opera.
Sul tema del “blocco di partenza”, stimolante ossimoro, può essere preziosa la lettura del brano tratto dal saggio di Cesare Pagazzi Questo è il mio corpo appena pubblicato in Italia.
Infine forse la fonte, la sorgente di un’opera d’arte parte da molto lontano, come evidenzia il suggestivo brano finale di Non è un paese per vecchi di Cormac McCarthy, la famosa pagina dell’abbeveratoio.
Valerio
Valerio ha fatto riferimento nella sua introduzione alla giornata al proprio editoriale e a quello di Antonio Spadaro di una precedente officina (“Iniziare“, ottobre 2009), sottolineando il senso dell’esperienza “geniale” come capacità di stare con una “visione”, seppur confusa, negli “inizi” indefiniti e ancora caotici. Ha poi parlato dell’essere “al servizio” dell’opera usando le parole di Carmelo Bene:
Ha mostrato alcune sequenze fra cui:
La prima scena di Happiness di Todd Solondz:
https://www.youtube.com/watch?v=bFLEO8vjyQ0
La scena di Roma di Fellini in cui si accede ad affreschi romani sepolti da millenni che con la prima aria…
La scena finale de Gli spietati, in particolare le ultime parole dell’antagonista (al minuto 6:51):
Ha poi letto diversi incipit in letteratura fra cui:
Chiamatemi Ismaele.
In una caverna sotto terra viveva uno Hobbit.
C’era una volta…
⁃ Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
Gregor Samsa, destatosi un mattino da sogni inquieti, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo.
Tutti i bambini crescono, meno uno.
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(1) Questo romanzo non comincia.
Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì.
Alle 7 del mattino Carl’Alberto entrò nella stazione di Roma e gridò: “Facchino!”.
Un facchino si voltò risentito.
“Dice a me?” fece. “Facchino sarà lei”.
Tiziana
Il brano letto da Tiziana è tratto dal primo capitolo di La pace come un fiume, di Leif Enger. Qui il testo completo: “Argilla”.
Per fare un aggancio con il tema dell’Officina è interessante soffermarsi su due aspetti in particolare: il titolo del capitolo, argilla, richiama alla mente una materia prima molto utilizzata dagli artisti e che, metaforicamente, ci riporta al concetto di debolezza e fragilità tipici dell’essere umano. Nell’incipit del romanzo trova posto anche il tema del calcio d’avvio (nello specifico qui abbiamo il kick off alla vita): quel momento di totale smarrimento che richiede un’azione da parte di qualcuno (autore ?) per avviare l’opera, qualunque essa sia (ispirazione, attenzione, sguardo aperto, ascolto).
Nel primo capitolo di La pace come un fiume è presente inoltre un breve excursus sul senso della parola miracolo, intesa non solo come senso di meraviglia, ma anche e soprattutto come capacità di ascolto di ciò che ci circonda, capacità di vedere il mondo intorno a noi, possibilità che dobbiamo darci di usare tutti i nostri sensi per scoprire quale sia e dove sia il punto di inizio dell’opera che ciascuno di noi è chiamato a realizzare e che non è necessariamente un’opera d’arte.
Cristiano
Dopo la pausa per la pizza (e il panettone), Cristiano ha presentato l’esercizio n. 2, di cui potete leggere in questo post.
Ruggero
L’importanza di un buon incipit:
- Riproduzione scena iniziale del film Daisy Diamond, di Simon Staho; l’inizio stabilisce le coordinate stilistiche e di linguaggio che caratterizzano l’intera opera.
- Mettersi all’opera, o nel caso specifico iniziare a scrivere, costituisce la rottura del soliloquio fruitivo dell’opera, come sostiene Filippo Scòzzari nel suo manuale per fumettisti Memorie dell’arte Bimba.
- L’inizio come tramite per far prevalere l’autore sul genere: illustrazione e spiegazione dell’incipit di un grande autore alle prese con un’opera commissionata, ossia Alan Moore per Saga of the Swamp Thing.
Cristiano
A fine giornata Cristiano si è limitato a riprendere alcuni dei concetti emersi durante la giornata, che elenchiamo sinteticamente come di consueto in calce a questo post.
Andrea
Conclusione con un famoso “mettersi all’opera”:
Alcuni spunti emersi durante la giornata:
Inizio a scrivere per dare “sfogo” • L’inizio come nascita • L’inizio è un momento di fragilità/confusione • La monotonia (e rottura della monotonia) • L’arte è definita? È delimitata? • “La parte definita dell’arte è la tecnica” • L’opera modifica l’artista • Creo per insoddisfazione • Occorre un pubblico? Qual è l’intenzione? Incide? • Dare un inzio e una fine è una cosa convenzionale (“non possiamo scrivere una storia che sia infinita”) • Bisogna sapere quando finire • Nell’inizio è contenuta in qualche modo la fine?
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