Viaggio attraverso l’Eneide VIII
È Turno che, al principio del libro, sintetizza in sé l’esplodere del conflitto. Basta che egli porti l’insegna di guerra fuori dalla rocca di Laurento; tutto ciò che accade di seguito sembra scivolare, con naturalezza, da questo primo gesto: i cavalli vengono ferrati, le armi impugnate, tutto il Lazio stringe patti d’alleanza.
L’immagine di Messapo, Ufente e Mezenzio, impegnati a radunare truppe, evocano sulla pagina di Virgilio un’altra immagine, tristemente nota al poeta delle Bucoliche, quella dei campi devastati dai soldati, prima ancora che la guerra infuri.
Mentre affilano le armi contro di lui, Enea ci appare corroso dal dubbio. Ancora una volta Virgilio non ci mostra il suo eroe impavido e adiaforo, bensì perduto nei meandri della propria coscienza: egli è inflessibile nel condurre a compimento il suo destino, eppure, proprio perché avverte la profondità e l’importanza del ruolo che gli è dato vestire, non c’è momento del poema in cui Enea non viva con intensa problematicità la sua sorte. Il poeta afferma esplicitamente che Enea era “tristi turbatus pectora bello”, cioè turbato in cuore dall’amara guerra (v. 29). [Continua »]