di
Maurizio Cotrona -
pubblicato il 4 Gennaio 2008
Intervista di Rossana Mitolo a Cristina Zagaria
Copertina de "L'osso di Dio"
Per la prima volta un caso di lupara bianca si risolve con il ritrovamento di qualcosa dello scomparso. Certo, poca cosa, se a ritrovarsi è stato soltanto un osso. Una clavicola, per la precisione; è la clavicola del giovane Santo Panzanella, ucciso dalla ‘ndrangheta per aver avuto una relazione con la moglie di un boss. Dopo la sua sparizione, la madre, Angela Donato, femmina di mafia nella giovinezza, tira fuori gli artigli per mettere con le spalle al muro gli assassini del figlio. Al termine di quattro anni di estenuanti ricerche, di appostamenti, di notti di dolore e di travestimenti, la donna chiede aiuto alla polizia, decidendo di svelare molti dei segreti della mafia locale. Finalmente, i colpevoli sono individuati. Del corpo di Santo, trovata almeno una traccia. Alla mamma del ragazzo, soltanto un po’ di pace. A raccontare la storia di Angela Donato e della ‘ndrangheta calabrese, la giovane giornalista Cristina Zagaria ne L’osso di Dio (Dario Flaccovio Editore), un libro a metà tra cronaca e romanzo in cui, con determinazione e discrezione, l’autrice scandaglia cuori e ragioni di uomini protagonisti di realtà dai tratti spesso raccapriccianti.
Cosa ti ha spinto a raccontare questa storia, la malia esercitata dalla personalità complessa di Angela o l’urgenza di gettare luce su alcuni degli aspetti più agghiaccianti della ‘ndrangheta calabrese?
La ‘ndrangheta è una mafia tanto potente quanto silenziosa. Se ne parla pochissimo sui giornali, in tv, nei libri. Il primo richiamo perciò è stato, indubbiamente, quello della Calabria. In quella terra, poi, c’è stato l’incontro con Angela Donato e la sua vita “pazzesca”, che mi ha affascinato, appassionato e mi ha portato dentro il mondo della ‘ndrangheta, nella sua più semplice quotidianità; con i volti, i riti, la mentalità, che spesso sfuggono a chi è “forestiero”. [Continua »]