I libri del ritorno
Vale la pena di rileggere i libri già letti? È questo ciò di cui ho recentemente discusso con un’amica, alla quale confessavo la mia cedevolezza alla rilettura dei libri. Piccolo peccato culturale che lei non approvava in virtù della sproporzione esistente fra brevità della vita e numero dei libri pubblicati: con tutti i romanzi, sillogi poetiche, saggi editi ogni anno come si fa ad avere il tempo di riprendere in mano il già letto? La ragionevolezza di questa constatazione mi ha scosso ma non ha rimosso quel senso di tepore e familiarità che il contatto con un libro amico suscita. Certo, per godersi questo tepore il contatto deve essere raro e cogente come quello del nostos ulissiaco a Itaca, deve sopraggiungere dopo aver navigato nella propria curiositas, deve sorprenderti dopo l’insediamento del nuovo, deve farti sostare sulla spiaggia della memoria e allenarti a una partenza. Non può essere un rifugio che impedisce la conoscenza, ma una reminescenza che la consolida.
Ed eccomi così a riprendere in mano i miei libri del ritorno: sono pochi, ma indispensabili elementi del mio breviario di letture sempre pronto a nuovi inserimenti, a nuovi stupori che aspirano alla familiarità. Di questo breviario, felicemente arbitrario, fanno parte ad esempio Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, innamoramento adolescenziale per l’innamoramento contrastato, che spero mi perdonerete; Bambini nel tempo di Ian McEwan, innamoramento giovanile per i romanzi di formazione; Canale Mussolini di Antonio Pennacchi, più recente folgorazione per i romanzi storici con storie d’amore e percorsi di formazione individuali e familiari che si intrecciano (sono ripetitiva nelle trame?).
Anzi mi voglio correggere: per Canale Mussolini la folgorazione è diventata innamoramento dopo aver superato i contrasti (ebbene sì, il mio carattere a quanto pare ne ha bisogno per trovare requie) suscitati da un titolo respingente: quel Mussolini in copertina sembrava allontanarmi dall’acquisto tanto quanto l’aver amato Il fasciocomunista mi avvicinava. Alla fine ha prevalso la componente amore (perché sì, bisogna rassegnarsi alla sua forza) sollecitata anche dalla dichiarazione dell’autore in apertura: ci sono libri che ci si porta dentro, che esistono già e chiedono di essere scritti. Credo che valga anche per i lettori: ci sono incontri di parole che si concretano di fronte a noi quando inconsciamente ne abbiamo bisogno, desiderio. E così l’ho comprato, Canale Mussolini, prima per leggerlo d’un fiato e poi per rileggerlo con calma e prendere maggiore confidenza con un romanzo storico che in prima persona ci immerge nelle contraddizioni di un periodo e degli animi umani e ci costringe a fare pace con esse pur senza rassegnarci alla loro illogicità.
Sì, è quello che voglio anche io: firmare una tregua con le contraddizioni e poter dire che ci sono e che soprattutto ci sono le parole per raccontarle. Parole che non sono di tutti, ma che forse gli scrittori ci prestano, anche più di una volta. E io a questo prestito prolungato nel tempo so che non posso rinunciarci, perché mi ricorda le mie strade di formazione e di innamoramento.
Anch’io amo rileggere libri già letti. Per lo più saggistica. Un pò perchè non ho memoria e quindi le parole mi paiono sempre nuove o forse, col passare del tempo, nuova sono io di fronte a parole che acquistano diverse vibrazioni, rispetto al tempo in cui furono già lette.
Mi trovi pienamente d’accordo…rileggere i libri che ci hanno appassionato vuol dire riscoprirli di volta in volta…la prima lettura è spesso superficiale, è piuttosto una lettura globale…poi si passa all’analisi delle singole frasi, delle parole e si scoprono emozioni nuove…ma è la scoperta dipende anche dal nostro modo di avvicinarci al libro e dai nostri stati d’animo che cambiano con il tempo
«La carne è triste, ahimé! E ho letto tutti i libri» ammoniva Mallarmé. Leggere tutto non solo è impossibile: è pure inutile. Nonostante i deliri di onnipotenza dell’intelletto, il nostro mondo affettivo-immaginativo si sviluppa intorno a poche opere che ci penetrano. E la conoscenza che assorbiamo è soltanto quella rivestita dalle forme che amiamo. Scegliamo i nostri codici, sono la nostra finestra sul mondo: «Non multa sed multum». Alla fine fare critica (krino: “scelgo”) significa nient’altro che scoprire cosa vale la pena di rileggere ancora e ancora. Scoprire quali sono le opere inesauribili. E le nostre personali, inesauribili fonti di piacere.
sono d’accordo: leggo pochi libri molte volte e vedo pochi film molte volte. Il che è anche una grande fonte di piacere. Come per i bambini: la ripetizione è anch’essa stessa fonte di piacere. Per dirla con Leopardi: “I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto”, ciao!
Proprio oggi (questa mattina verso mezzogiorno) ho finito di rileggere “Il Signore degli Anelli”.
Ora vorrei rileggere “L’anello e la croce” (scritto dal numero 4 di questa lista di commenti…).
Poi penso che sarà la volta di alcune poesie di Pessoa e “Ortodossia” di Chesterton (come consigliato sempre dal numero 4 di cui sopra): questi ultimi non li ho ancora frequentati.
I libri sono scritti per essere riletti (pensiamo alla poesia), come i quadri per essere ri-ammirarti, come la musica per essere ri-ascoltata, come la bellezza per essere ri-vista e ri-cercata.
Vale la pena di andare in villeggiatura per sei anni di fila nella stessa località? Vale la pena di ordinare la stessa pizza per tre mesi di fila, negandosi il piacere di una pizza più buona (o il semplice azzardo di una pizza diversa)? Lo ammetto: forse sono paragoni poco calzanti con la tua domanda, ma se dovessimo farci influenzare dalle infinite opzioni possibili, finiremmo semplicemente per rinunciare alla scelta. Ciascuno segue dei percorsi nell’affinamento del proprio gusto musicale o letterario; tornare indietro su libri amati è un modo per riscoprire la nostra identità di lettori, un modo per confrontare il vecchio col nuovo, un modo per rivivere il legame affettivo che ci riporta ad un personaggio, ad una pagina in particolare. E se il libro a distanza di anni è lo stesso, sicuramente sarà cambiato qualcosa in noi, lungo la strada.
Concordo con quanto scritto da Federico: “se il libro a distanza di anni è lo stesso, sicuramente sarà cambiato qualcosa in noi, lungo la strada”. La ricezione di un libro muta col mutare degli stati d’animo e della sensibilità culturale che si matura nel tempo. Parafrasando Eraclito, potremmo dire che nessuna lettura, come nessuna goccia d’acqua, è identica all’altra. E in fondo questo è ciò che maggiormente ci affascina dei libri.