L’enigma del tempo (Milan Kundera)

Nelle prime pagine de L’insostenibile leggerezza dell’essere Milan Kundera scrive: “L’opposizione pesante-leggero è la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni”. Quale scegliere, si chiede subito dopo l’Autore? Quale privilegiare? La pesantezza che schiaccia o la leggerezza che invece libera? A dare “densità” all’uno e l’altro dei due termini dell’opposizione, è un altro “elemento”: è il tempo. Solo il tempo (e la memoria del tempo passato) dà pesantezza alla pesantezza. Solo la cancellazione del tempo, solo l’ignoranza, solo l’oblio sottrae, alleggerisce, dà leggerezza. Più ancora che l’opposizione leggerezza-pesantezza, sotto l’opposizione leggerezza-pesantezza, lavora dunque un’altra e più misteriosa opposizione: quella tra memoria e oblio. Tutta l’opera di Kundera non è che una riflessione continua (“una interrogazione meditativa” come la definisce lo stesso Autore ne L’arte del romanzo) su una costellazione di opposizioni: forza-debolezza, pudore-impudicizia, fedeltà-tradimento, [Continua »]


L’appetito d’arte vien mangiando.

Intervista di Rossana Mitolo al critico d’arte Vito Caiati.

L’arte, generosa fonte di nuovi ed originali nessi tra noi e le cose, offre preziose chiavi con cui leggere la realtà. Ma a noi, chi offre le chiavi per poter leggere l’arte stessa e, nello specifico, l’arte contemporanea? Molte delle opere d’arte contemporanea, ammettiamolo, non sono di facilissima interpretazione. Chi tra noi, infatti, non ha mai dovuto sollevare bandiera bianca, almeno una volta nella vita, al cospetto di un’opera d’arte dei nostri giorni? In quante occasioni ci siamo scervellati per rincorrere invano sensi capaci di placare la nostra curiosità sul significato di un prodotto artistico moderno? Probabilmente, in alcuni casi, abbiamo additato come unica responsabile della disfatta, la nostra assoluta ignoranza in materia, in altri, invece, abbiamo concluso che, oggettivamente, i sentieri che conducono all’arte contemporanea, sono eccessivamente impervi per noi comuni mortali. Bravi chi li capisce, questi artisti: noi possiamo farne senza.“Ma come, l’arte è la nostra linfa vitale!”direbbe un qualsiasi professorone. E allora, io mi chiedo: un’arte di cui spesso non cogliamo il senso, può comunque essere nutrimento dell’anima? [Continua »]


Prove tecniche di eternità

di Elio Paoloni

Rispondere immediatamente, senza formulazioni lambiccate. Cos’è l’eternità? Un susseguirsi infinito di tempo, giusto? Un’infilata di secondi, minuti, ore, giorni, mesi, anni, secoli, ere. Una coordinata orizzontale, una fascia millimetrata inteminabile. Un incubo. Al catechismo nessuno di noi aspirava al Paradiso: quella cosa che comincia dopo la morte, da un’altra parte, e va avanti senza interruzione, senza fine. Giorno dopo giorno a contemplare la luce, senza neppure i comfort sensuali dei maomettani. Che palle. Ma l’eternità è un’altra cosa: è verticale, anzi puntiforme. Non si snoda, è compressa. L’eternità, per dirla alla Paolo Nori, non riesci proprio a pensare che ci sia il tempo. È, sì, tutti gli infiniti istanti, ma in un istante solo. È la dilatazione infinita ma inavvertibile dell’Istante. [Continua »]


Lettera da Troia

di Guglielmo Spirito

Istanbul, 16 novembre 2007

Mosca. Memoria sbiadita del Museo Puskin. I visitatori si accalcano nella sala, gremita, dove le vetrine custodiscono il così detto “Tesoro di Priamo”, i reperti favolosi, di oro finemente lavorato, che Heinrich Schliemann riportò alla luce durante i suoi fortunosi scavi (1871-1894) nella collina di Hisarlik, ridonando al mondo il sito di Troia, la mitica città cantata da Omero. E, defraudando il governo ottomano, le trafugò in Germania. I russi , sul finire della Seconda Guerra Mondiale, portarono a Mosca la collezione custodita a Berlino…
Così, la Terza Roma (come gli slavofili amavano chiamare Mosca) soppiantò la Seconda Roma (Costantinopoli) anche in questo, così come la Prima Roma credette di essere la discendente e l’erede di Troia, tramite Enea, l’eroico fuggiasco troiano superstite cantato da Virgilio.
Ed io faccio quasi a ritroso il percorso : da Mosca e Roma, via Costantinopoli, fino a Troia[Continua »]


Il rock ‘n roll di Marco Denti

Marco Denti, scrittore e redattore della rivista musicale Buscadero, ha appena pubblicato il libro Rock’n roll (Selene edizioni): una scorribanda, emozionante e competente, nei territori del rock. Abbiamo posto a Marco alcune domande.

Nel film documentario Don’t Look Back, scrivi, “Bob Dylan fa scorrere le parole di Subterrean Homesick Blues scritte, nero su bianco, su altrettanti fogli. L’effetto è curioso perché Dylan cerca di seguire il tempo della canzone, con uno strumento, le parole, che in quel contesto sembrano arcaiche”. La rivoluzione del rock è una rivoluzione che mette in qualche modo da parte le parole, la comunicazione verbale, per far posto all’irruzione sulla scena del corpo? Lo stesso videoclip ha affiancato e sovrapposto alla musica le immagini…
Come ogni rivoluzione che si rispetti ci sono cicli che si completano e si ripetono. Senza ombra di dubbio il rock’n’roll ha spostato l’attenzione verso una certa fisicità che, sì, è il corpo, ma anche l’immagine, le pose, la danza, l’attitudine. Elvis ha [Continua »]


Canto V dell’Eneide

Quando ormai la flotta troiana ha raggiunto l’alto mare, in direzione di Cartagine si vedono levarsi le fiamme e il fumo di un grande fuoco: Enea e i suoi compagni immaginano quanto è avvenuto e ne traggono sinistri auspici. Quasi nello stesso momento una violenta tempesta si abbatte sulla flotta con tale furia che Palinuro, il timoniere della nave di Enea, consiglia di far rotta verso la vicina Sicilia, per evitare la distruzione dell’intera flotta. Enea accetta il consiglio e così le navi, dopo una breve navigazione, riescono a raggiungere la Sicilia senza gravi danni e, per felice caso, approdano proprio nel porto della città in cui regna Aceste, da dove erano partiti pochi mesi prima.

I compagni di Enea verso la Sicilia

I compagni di Enea verso la Sicilia, arazzo fiammingo Fondazione “G.Whitaker” – Palermo

Il sovrano accoglie gli esuli e dona due buoi per ogni nave. Enea, il giorno dopo lo sbarco, annuncia ai compagni riuniti la sua volontà di celebrare riti funebri a suo padre Anchise, che lì aveva trovato la morte un anno prima ed era lì sepolto, e aggiunge che tra otto giorni inviterà Troiani e Siculi a ludi solenni, anch’essi in onore della memoria del genitore. Poi con i compagni celebra il rito funebre dinanzi alla tomba paterna, ma la cerimonia è turbata dall’apparizione di un serpente che da un anfratto del sepolcro, lentamente e con movimenti a spirale, arriva alle offerte votive, ne assaggia alcune e ritorna poi a nascondersi nella tomba. Enea rimane turbato, soprattutto perché non sa spiegarsi il significato di quell’apparizione e, dubbioso, si impegna con maggior zelo e devozione nel compiere nuovi sacrifici.Quando giunge l’ottavo giorno, Enea apre i ludi solenni: i giochi iniziano con la gara delle navi a cui partecipano Mnesteo, comandante della Pristi, Gìa con la Chimera, Sergesto della Centauro e Cloanto alla guida della Scilla. Le navi devono doppiare uno scoglio che affiora a notevole distanza dalla riva, contraddistinto da Enea con rami di quercia, per poi ritornare alla spiaggia. Al segnale d’inizio, le quattro navi partono veloci, con i rematori curvi sui remi nel loro immane sforzo. In breve Gìa con la Chimera passa in testa, seguito dalla Scilla e dalle altre due appaiate. Al momento di virare lo scoglio, il timoniere della Chimera, temendo di incagliarsi, si tiene molto al largo, dando così l’occasione alla Scilla, il cui audace timoniere rasenta lo scoglio, di superarla. La Centauro, invece, nel tentativo di imitare l’ardita manovra della Scilla, sfortunatamente si incaglia. La Pristi, invece, eseguita una perfetta virata, si pone all’inseguimento e riesce a sorpassare la Chimera, ai cui rematori, ormai provati, Gìa cerca di infondere fiducia e vigore. Sono dunque in testa la Scilla e la Pristi. A questo punto Cloanto, vedendo in pericolo la sua vittoria, invoca l’aiuto degli dei del mare e promette loro in sacrificio un toro. Le ninfe marine esaudiscono le sue preghiere, per cui la Scilla arriva per prima, seguita a brevissima distanza dalla Pristi.
Terminata questa gara, Enea invita tutti a seguirlo in una verde radura, dove, dopo aver mostrato i premi per i vincitori, dà inizio alla gara di corsa. Vi prendono parte molti concorrenti, Troiani e Siculi, e la vittoria arride al troiano Eurialo, grazie al suo amico Niso, il quale avrebbe sicuramente vinto, se, proprio in prossimità dell’arrivo, non fosse scivolato sul sangue delle vittime immolate nei precedenti sacrifici. Trovandosi a terra, Niso fa inciampare Salio che lo incalzava da vicino e agevola quindi la vittoria del suo grande amico Eurialo, che lo seguiva come terzo. Viene poi indetta la gara di pugilato: si presenta subito Darete, già emulo di Paride e di Bute, ma nessun avversario gli si oppone, per cui egli baldanzoso si avvicina al toro, promesso in premio, e chiede ad Enea di consegnarglielo. Il re Aceste si rivolge allora a Entello, un tempo gran pugilatore, ora a riposo, e lo incita a cimentarsi. Entello si schermisce, adducendo la sua età ormai non più verde, tuttavia getta nello stadio i due enormi cèsti con cui un tempo soleva gareggiare. Darete si ritrae ed allora Entello propone che si lotti con due paia di cèsti uguali, che vengono forniti da Enea. I due avversari si scambiano colpi gagliardi: Entello più sulla difesa, mentre Darete colpisce con attacchi violenti. Per un agile movimento di Darete, Entello, nel tentativo di sferrare un gran pugno, colpisce a vuoto e cade a terra; riesce tuttavia a rialzarsi e, pieno d’ira, incalza Darete con una gragnuola di colpi. A questo punto Enea tronca la lotta, vedendo il troiano ormai ridotto a mal partito. Allora Entello colpisce in mezzo alla fronte, con un vigoroso pugno, il toro che si era guadagnato e lo uccide. Dopodiché dichiara che questa vittoria chiuderà definitivamente la sua carriera di pugile. Viene ora indetta la gara del tiro con l’arco. In cima ad un’alta antenna è legata una colomba, il bersaglio. Alla prova partecipano quattro saettatori: Ippocoonte, Mnestèo, il vincitore della regata, Eurizione e Aceste. Il primo manda la sua freccia a conficcarsi nell’antenna, presso la colomba. Mnestèo colpisce e taglia la funicella con cui è legato il volatile, mentre Eurizione raggiunge la colomba in volo. Rimasto senza bersaglio, Aceste dirige la sua freccia verso il cielo e questa in alto s’incendia e scompare in una scia fiammeggiante. Enea lo giudica un augurio favorevole e assegna al re il primo premio. Seguono i ludi troiani, in cui, guidati da Perifante, s’avanzano i giovinetti di Ilio, in tre torme, condotte rispettivamente da Priamo, Ati e Iulo, che montano cavalli bellissimi. Essi compiono eleganti evoluzioni, poi simulano una battaglia, suscitando unanime ammirazione. Questi ludi saranno poi rinnovati da Iulo in Alba, per cui passeranno a Roma e se ne conserverà l’uso fino all’età di Augusto.
Nel frattempo le donne troiane, rimaste presso la tomba di Anchise a piangere non solo la sua morte, ma anche le loro interminabili sventure, ricevono la visita di Iride, che, sotto le spoglie della loro compagna Beròe, le incita a dar fuoco alle navi e a fissare definitivamente la loro sede presso l’ospitale Aceste. In verità Iride è inviata da Giunone che, sempre implacabile nemica dei Troiani e del loro destino di gloria, cerca di indurli a desistere dal loro viaggio per raggiungere l’Italia. Quando le donne troiane, già messe sull’avviso dalle parole di Pirgo, si rendono conto che a parlare è Iride, rompono ogni indugio e danno fuoco alle navi. Prima Ascanio, poi Enea con tutti gli altri, accorrono, mettendo in fuga le donne. L’incendio divampa, ma Enea prega Giove di aiutarlo e questo manda un violento acquazzone che spegne il fuoco. Fortunatamente vanno perdute solo quattro navi.
A questo punto il vecchio troiano Nàute, dotato di facoltà profetiche, consiglia ad Enea di consultarsi con Aceste per poter lasciare in Sicilia le donne, i vecchi e quanti, ormai sfiduciati, non vogliono proseguire il viaggio, fondando per loro una città. Nella notte ad Enea, turbato per gli eventi ed i consigli, appare l’ombra del padre Anchise, che lo esorta a seguire la proposta di Nàute, per proseguire poi per l’Italia, ma gli spiega pure che prima di arrivare alla meta dovrà fermarsi dalla Sibilla Cumana , che lo condurrà nel regno dei morti, ove egli stesso gli descriverà nei particolari il suo destino e gli mostrerà la sua illustre discendenza. Il giorno seguente Enea traccia il solco della nuova città, che prenderà il nome di Acesta, destinata ad accoglire quanti preferiscono rimanere, e getta le fondamenta di un tempio per Venere, poi, dopo i commossi saluti, si imbarca e ordina di far vela alla volta dell’Italia.
Venere teme l’ira di Giunone, per cui si rivolge umilmente a Nettuno, chiedendogli di essere propizio al viaggio del figlio; solo quando il dio la rassicura che, pur avendo voluto la distruzioine di Troia, ha sempre protetto Enea e non cesserà di farlo ora che sta per raggiungere la terra assegnatagli, abbandona ogni timore. Il dio del mare mantiene la promessa, per cui la flotta procede sicura, a gonfie vele, con la nave di Enea, pilotata da Palinuro, in testa.
Nettuno vuole, però, una vittima per il suo aiuto. Difatti nella notte, Palinuro non riesce a resistere alla forza del dio del Sonno, che lo consiglia di abbandonarsi al riposo, poiché il vento favorevole spinge da sé le navi. Addormentatosi, cade in mare insieme con il timone. Enea viene svegliato dall’incerto procedere della nave, non più governata, e ne prende il comando.

(Nell’immagine: I compagni di Enea verso la Sicilia, arazzo fiammingo Fondazione “G.Whitaker” – Palermo)


Urbs

Nunc scribo postquam oculos meos extra fenestram meam conieci. Quartum haec de urbe verba
scribere conor et quotiescumque incepi antea oculos meos extra fenestram conieci. Cur hoc facio, e me quaero? Ego scribo e interiore urbis parte, cubiculum meum domi cuiusdam in interiore urbe est. Contra mihi inspiciendum extra fenestram est, ut si urbs extra esset et ego animi inflammationem illuc extra quaererem, ut si Roma extra esset et ego alio loco essem. [Continua »]