Canto V dell’Eneide

Quando ormai la flotta troiana ha raggiunto l’alto mare, in direzione di Cartagine si vedono levarsi le fiamme e il fumo di un grande fuoco: Enea e i suoi compagni immaginano quanto è avvenuto e ne traggono sinistri auspici. Quasi nello stesso momento una violenta tempesta si abbatte sulla flotta con tale furia che Palinuro, il timoniere della nave di Enea, consiglia di far rotta verso la vicina Sicilia, per evitare la distruzione dell’intera flotta. Enea accetta il consiglio e così le navi, dopo una breve navigazione, riescono a raggiungere la Sicilia senza gravi danni e, per felice caso, approdano proprio nel porto della città in cui regna Aceste, da dove erano partiti pochi mesi prima.

I compagni di Enea verso la Sicilia

I compagni di Enea verso la Sicilia, arazzo fiammingo Fondazione “G.Whitaker” – Palermo

Il sovrano accoglie gli esuli e dona due buoi per ogni nave. Enea, il giorno dopo lo sbarco, annuncia ai compagni riuniti la sua volontà di celebrare riti funebri a suo padre Anchise, che lì aveva trovato la morte un anno prima ed era lì sepolto, e aggiunge che tra otto giorni inviterà Troiani e Siculi a ludi solenni, anch’essi in onore della memoria del genitore. Poi con i compagni celebra il rito funebre dinanzi alla tomba paterna, ma la cerimonia è turbata dall’apparizione di un serpente che da un anfratto del sepolcro, lentamente e con movimenti a spirale, arriva alle offerte votive, ne assaggia alcune e ritorna poi a nascondersi nella tomba. Enea rimane turbato, soprattutto perché non sa spiegarsi il significato di quell’apparizione e, dubbioso, si impegna con maggior zelo e devozione nel compiere nuovi sacrifici.Quando giunge l’ottavo giorno, Enea apre i ludi solenni: i giochi iniziano con la gara delle navi a cui partecipano Mnesteo, comandante della Pristi, Gìa con la Chimera, Sergesto della Centauro e Cloanto alla guida della Scilla. Le navi devono doppiare uno scoglio che affiora a notevole distanza dalla riva, contraddistinto da Enea con rami di quercia, per poi ritornare alla spiaggia. Al segnale d’inizio, le quattro navi partono veloci, con i rematori curvi sui remi nel loro immane sforzo. In breve Gìa con la Chimera passa in testa, seguito dalla Scilla e dalle altre due appaiate. Al momento di virare lo scoglio, il timoniere della Chimera, temendo di incagliarsi, si tiene molto al largo, dando così l’occasione alla Scilla, il cui audace timoniere rasenta lo scoglio, di superarla. La Centauro, invece, nel tentativo di imitare l’ardita manovra della Scilla, sfortunatamente si incaglia. La Pristi, invece, eseguita una perfetta virata, si pone all’inseguimento e riesce a sorpassare la Chimera, ai cui rematori, ormai provati, Gìa cerca di infondere fiducia e vigore. Sono dunque in testa la Scilla e la Pristi. A questo punto Cloanto, vedendo in pericolo la sua vittoria, invoca l’aiuto degli dei del mare e promette loro in sacrificio un toro. Le ninfe marine esaudiscono le sue preghiere, per cui la Scilla arriva per prima, seguita a brevissima distanza dalla Pristi.
Terminata questa gara, Enea invita tutti a seguirlo in una verde radura, dove, dopo aver mostrato i premi per i vincitori, dà inizio alla gara di corsa. Vi prendono parte molti concorrenti, Troiani e Siculi, e la vittoria arride al troiano Eurialo, grazie al suo amico Niso, il quale avrebbe sicuramente vinto, se, proprio in prossimità dell’arrivo, non fosse scivolato sul sangue delle vittime immolate nei precedenti sacrifici. Trovandosi a terra, Niso fa inciampare Salio che lo incalzava da vicino e agevola quindi la vittoria del suo grande amico Eurialo, che lo seguiva come terzo. Viene poi indetta la gara di pugilato: si presenta subito Darete, già emulo di Paride e di Bute, ma nessun avversario gli si oppone, per cui egli baldanzoso si avvicina al toro, promesso in premio, e chiede ad Enea di consegnarglielo. Il re Aceste si rivolge allora a Entello, un tempo gran pugilatore, ora a riposo, e lo incita a cimentarsi. Entello si schermisce, adducendo la sua età ormai non più verde, tuttavia getta nello stadio i due enormi cèsti con cui un tempo soleva gareggiare. Darete si ritrae ed allora Entello propone che si lotti con due paia di cèsti uguali, che vengono forniti da Enea. I due avversari si scambiano colpi gagliardi: Entello più sulla difesa, mentre Darete colpisce con attacchi violenti. Per un agile movimento di Darete, Entello, nel tentativo di sferrare un gran pugno, colpisce a vuoto e cade a terra; riesce tuttavia a rialzarsi e, pieno d’ira, incalza Darete con una gragnuola di colpi. A questo punto Enea tronca la lotta, vedendo il troiano ormai ridotto a mal partito. Allora Entello colpisce in mezzo alla fronte, con un vigoroso pugno, il toro che si era guadagnato e lo uccide. Dopodiché dichiara che questa vittoria chiuderà definitivamente la sua carriera di pugile. Viene ora indetta la gara del tiro con l’arco. In cima ad un’alta antenna è legata una colomba, il bersaglio. Alla prova partecipano quattro saettatori: Ippocoonte, Mnestèo, il vincitore della regata, Eurizione e Aceste. Il primo manda la sua freccia a conficcarsi nell’antenna, presso la colomba. Mnestèo colpisce e taglia la funicella con cui è legato il volatile, mentre Eurizione raggiunge la colomba in volo. Rimasto senza bersaglio, Aceste dirige la sua freccia verso il cielo e questa in alto s’incendia e scompare in una scia fiammeggiante. Enea lo giudica un augurio favorevole e assegna al re il primo premio. Seguono i ludi troiani, in cui, guidati da Perifante, s’avanzano i giovinetti di Ilio, in tre torme, condotte rispettivamente da Priamo, Ati e Iulo, che montano cavalli bellissimi. Essi compiono eleganti evoluzioni, poi simulano una battaglia, suscitando unanime ammirazione. Questi ludi saranno poi rinnovati da Iulo in Alba, per cui passeranno a Roma e se ne conserverà l’uso fino all’età di Augusto.
Nel frattempo le donne troiane, rimaste presso la tomba di Anchise a piangere non solo la sua morte, ma anche le loro interminabili sventure, ricevono la visita di Iride, che, sotto le spoglie della loro compagna Beròe, le incita a dar fuoco alle navi e a fissare definitivamente la loro sede presso l’ospitale Aceste. In verità Iride è inviata da Giunone che, sempre implacabile nemica dei Troiani e del loro destino di gloria, cerca di indurli a desistere dal loro viaggio per raggiungere l’Italia. Quando le donne troiane, già messe sull’avviso dalle parole di Pirgo, si rendono conto che a parlare è Iride, rompono ogni indugio e danno fuoco alle navi. Prima Ascanio, poi Enea con tutti gli altri, accorrono, mettendo in fuga le donne. L’incendio divampa, ma Enea prega Giove di aiutarlo e questo manda un violento acquazzone che spegne il fuoco. Fortunatamente vanno perdute solo quattro navi.
A questo punto il vecchio troiano Nàute, dotato di facoltà profetiche, consiglia ad Enea di consultarsi con Aceste per poter lasciare in Sicilia le donne, i vecchi e quanti, ormai sfiduciati, non vogliono proseguire il viaggio, fondando per loro una città. Nella notte ad Enea, turbato per gli eventi ed i consigli, appare l’ombra del padre Anchise, che lo esorta a seguire la proposta di Nàute, per proseguire poi per l’Italia, ma gli spiega pure che prima di arrivare alla meta dovrà fermarsi dalla Sibilla Cumana , che lo condurrà nel regno dei morti, ove egli stesso gli descriverà nei particolari il suo destino e gli mostrerà la sua illustre discendenza. Il giorno seguente Enea traccia il solco della nuova città, che prenderà il nome di Acesta, destinata ad accoglire quanti preferiscono rimanere, e getta le fondamenta di un tempio per Venere, poi, dopo i commossi saluti, si imbarca e ordina di far vela alla volta dell’Italia.
Venere teme l’ira di Giunone, per cui si rivolge umilmente a Nettuno, chiedendogli di essere propizio al viaggio del figlio; solo quando il dio la rassicura che, pur avendo voluto la distruzioine di Troia, ha sempre protetto Enea e non cesserà di farlo ora che sta per raggiungere la terra assegnatagli, abbandona ogni timore. Il dio del mare mantiene la promessa, per cui la flotta procede sicura, a gonfie vele, con la nave di Enea, pilotata da Palinuro, in testa.
Nettuno vuole, però, una vittima per il suo aiuto. Difatti nella notte, Palinuro non riesce a resistere alla forza del dio del Sonno, che lo consiglia di abbandonarsi al riposo, poiché il vento favorevole spinge da sé le navi. Addormentatosi, cade in mare insieme con il timone. Enea viene svegliato dall’incerto procedere della nave, non più governata, e ne prende il comando.

(Nell’immagine: I compagni di Enea verso la Sicilia, arazzo fiammingo Fondazione “G.Whitaker” – Palermo)


Urbs

Nunc scribo postquam oculos meos extra fenestram meam conieci. Quartum haec de urbe verba
scribere conor et quotiescumque incepi antea oculos meos extra fenestram conieci. Cur hoc facio, e me quaero? Ego scribo e interiore urbis parte, cubiculum meum domi cuiusdam in interiore urbe est. Contra mihi inspiciendum extra fenestram est, ut si urbs extra esset et ego animi inflammationem illuc extra quaererem, ut si Roma extra esset et ego alio loco essem. [Continua »]


Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani

Fabio Geda, Per il resto del viaggio ho sparato agli indianiCon la sua opera prima “Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani” il torinese Fabio Geda si presenta come uno degli autori più interessanti dell’anno. Tra i pregi del suo romanzo, che compensano ampiamente ingenuità scontate per un esordio e peraltro trascurabili, il più evidente è la capacità di dare anima e cuore al suo protagonista, Emil, raffigurato con tali accenti di verità da renderlo difficilmente dimenticabile. Emil è un ragazzino romeno di tredici anni, orfano di madre, entrato clandestinamente in Italia su un camion carico di riso parboiled e vive precariamente a Torino. Dopo il rimpatrio forzato del padre, in seguito ad una rissa, trova temporaneo rifugio presso un architetto che assume la compagna del padre come cuoca e donna delle pulizie. Emil ha imparato l’italiano leggendo gli album di Tex Willer (di qui il titolo), ha l’audacia di chi non ha nulla da perdere e l’incoscienza dei suoi pochi anni, e soprattutto non ha più nessun motivo per restare a Torino, dopo che l’architetto ha manifestato torbidi interessi nei suoi confronti. [Continua »]



Appunti sul cuore

(Questi appunti personali sul tema del “cuore” sono stati scritti da Marta Falcone, studentessa del 5^ ginnasio del liceo Pilo Albertelli di Roma, e sono stati raccolti dal suo professore, Andrea Monda)

Quando penso alla parola cuore una serie di immagini, alcune senza senso, mi passano per la mente. Un pezzo del documentario “Cuore” del “Corpo Umano”, visto quand’ero piccola, un corpo con tante linee rosse al posto delle vene, il cuore lampeggiante di E.T., la copertina del libro di De Amicis, il fondo di un vaso e il rosso. Il colore rosso sembra luccicare in tutta la sfilza di immagini-ricordi proposte dalla mia mente. Cuore, basta una sola parola a scatenare un inaspettato vortice di sensazioni contrastanti: dolore, amore, odio, gelosia, gioia, rabbia, felicità… Non associamo forse al cuore tutti i sentimenti che proviamo? Il nostro linguaggio non è ricco di modi di dire costruiti intorno [Continua »]


Sdegno della nullità e fuoco elettrico

Giacomo Leopardi, Zibaldone 195-6, 1 agosto 1820

Sebbene è spento nel mondo il grande e il bello e il vivo, non ne è spenta in noi l’inclinazione. Se è tolto l’ottenere, non è tolto nè possibile a togliere il desiderare. Non è spento nei giovani l’ardore che li porta a procacciarsi una vita, e a sdegnare la nullità e la monotonia. Ma tolti gli oggetti ai quali anticamente si era rivolto questo ardore, vedete a che cosa li debba portare e li porti effettivamente. L’ardor giovanile, cosa naturalissima, universale, importantissima, una volta entrava grandemente nella considerazione degli uomini di stato. Questa materia vivissima e di sommo peso, ora non entra più nella bilancia dei politici e dei reggitori, ma è considerata appunto come non esistente. Frattanto ella esiste ed opera senza direzione nessuna, senza provvidenza, senza esser posta a frutto (opera perchè quantunque tutte le istituzioni tendano a distruggerla, la natura non si distrugge, e la natura in un vigor primo freschissimo e sommo com’è in quell’età) e laddove anticamente era una materia impiegata e ordinata alle grandi utilità pubbliche, ora questa materia così naturale, e inestinguibile, divenuta estranea alla macchina e nociva, circola e serpeggia e divora sordamente come un fuoco elettrico, che non si può sopire nè impiegare in bene nè impedire che non iscoppi in temporali in tremuoti ec.


Presentazione a Messina

Oggi alle 18:00 appuntamento presso il comando militare autonomo della Sicilia Circolo Unificato di Messina, dove Annunziata Antonazzo, responsabile delle Officine di Messina, presenterà il suo libro “La letteratura dimenticata”.