L’anima mangiata di Martino Bux

desiatiBux, il protagonista di Vita precaria e amore eterno di Mario Desiati (Mondadori), cammina sulle onde.
Sono i rumori assordanti che spezzano i cieli siciliani, rombi di aerei militari in transito sulla grande base NATO aeronavale nel Mediterraneo, quella di Sigonella negli anni Ottanta, quelli del riarmo nucleare, degli euromissili Cruise destinati a Comiso e arrivati a Sigonella, utilizzata anche come scalo tecnico delle forze aeree americane dirette nel golfo Persico per la guerra in Iraq.
I missili Cruise a Sigonella sono nell’83, nell’85 ci saranno il sequestro dell’Achille Lauro, Abu Abbas in aereo egiziano e Craxi difensore della integrità del territorio italiano, nell’82 a Palermo c’era stato l’omicidio Pio La Torre. [Continua »]



Colorati, individuati, unici

Andrew Rutt, Everything That Rises Must Converge (hand woven wool carpet, 133 x 107.5, 2005)

Il colore non è la patina esteriore delle cose, non ne è il rivestimento spalmato in superficie. Il colore è inerente alle cose e di queste è proprietà essenziale. L’infinita molteplicità dei colori insieme con la percezione soggettiva di questi può facilmente far cadere in errore, portando a considerare il colore come attributo illusorio e passeggero della cosa.
Mentre infatti percepisco questo rosso, questa mela ad esempio, proprio ora, proprio qui, al tempo stesso intuisco il rosso, la forma, l’universale. Le essenze sono nelle cose e attraverso le cose le conosciamo.
Se entriamo in una stanza al buio, la nostra vista è oscurata, mentre il chiarore riflesso da una superficie illuminata abbaglia il nostro sguardo. È impossibile guardare in faccia l’assoluto: l’assoluto sfugge, non si mostra, si rarefà. Il colore è uno dei pochi elementi sensibili rispetto a cui l’altisonanza del concetto si piega spontaneamente all’umiltà della cosa: i nostri pensieri sono neri, vediamo rosso, and sometimes we feel blue. Tra gli estremi del bianco e del nero, i colori, con la loro specificità, dettaglio, varietà, individuazione. Colori separati, ma in relazione tra di loro e compresi tra due estremi.
Così siamo noi, le cose, il mondo: colorati, individuati, unici. E presenti a una domanda di assoluto.


La semplice complessità di Claudio Damiani

Claudio Damiani è un poeta che stimo molto. Quando ho letto le sue due principali raccolte, Eroi e La miniera (Fazi), non ho potuto nascondermi il mio stesso stupore: dunque si può fare poesia anche così? Indubitabilmente era poesia, anche se scritta con le parole più semplici di questo mondo; niente di artefattamente prosastico, nessun artificioso prosciugamento del testo; ma un parlare blando e mansueto, e non per questo meno vero. La poesia non ha per lui alcuna aura sacrale, piuttosto è uno strumento della vita quotidiana, un atteggiamento, una compostezza che caratterizza ogni gesto. Anche nella sua ultima raccolta (Attorno al fuoco, Avagliano, 2006, pagg. 100, euro 10,00) ho trovato le parole-chiave a lui care: ordine, naturalezza, pulizia, stare fermi, stare zitti. Parole che s’impongono delicatamente, come uno stupefatto silenzio di bambini.
Caro Claudio, a sei anni da Eroi affronti alcune tematiche nuove…
«Attorno al fuoco l’ho scritto tra il 2000 e il 2004, e racconta della famiglia come cellula che contiene in sé un fuoco polemico, che si rompe e si ricompone in un altro modo. E poi c’è il terremoto quotidiano di una guerra senza fronti, [Continua »]


What does “color” mean?

What does “color” mean? What is the relationship between color and my life?

The answer would appear obvious, to the point of seeming rather banal. Could you consider life without considering color? Can you begin to think about a black-and-white life, or your life in black and white? For even black and white are colors too, are they not?
A life without color would be a void. Being for us is colored.

Color is the way through which the world comes to me. It is a powerful channel of relationships, of communication. Color establishes attraction and repulsion, sets up combinations and atmospheres. Color changes the reality of an environment.

There are those who identify color with something changeable or superfluous, like fashion, or illusive. Lips colored with lipstick, or the latest shade of cashmere tie… As «color» in these instances is optional and interchangeable, then surely we can live without it…

But, this isn’t true. Or better still, the fact that color is variable and changing may be a clear sign of life. The poetry written by Gerard Manley Hopkins (that Attilio Bertolucci defines “powerfully explosive”) helps us to understand that true beauty is always pied beauty.
«Pied beauty» is the title of one of his best known poems and in which Hopkins gives glory to God

for dappled things –
For skies of couple-colour as a brinded cow;
For rose-moles all in stipple upon trout that swim;
[…]
All things counter, original, spare, strange;
Whatever is fickle, freckled (who knows how?)

Passion for what is unstable and original, for what is changing, is not a simple interest for strangeness. It is passion for what comes forth, exuberant like water rising from a spring. This pied beauty, multicolored, variegated, flecked and speckled is the sign that nature is never spent. It is never exhausted, it doesn’t run out.

Death is there; ready to snuff our exuberance, ready to blot and to black out all things. The realty seems to be drawn into an enormous darkness. But to these dark thoughts we hear Hopkins shout: Enough!! From his view point, darkness wrestles color in a constant, but hopeless duel because color will not relinquish the mantle. Our destiny is not the darkness, but the dayspring, the day that springs forth from the dawn, the beginning and fresh origin of the day.

But to understand all this we need to have our eyes open, for if we see the world’s vivid palette in all it’s color, our voices can join Hopkins in saying

There lives the dearest freshness deep down things.


Qual è il senso del colore?

Qual è il senso del colore? Cosa hanno a che fare i colori con la mia vita?

La risposta sembra ovvia. Anzi: la stessa domanda può apparire quanto mai banale. Si può pensare una vita senza colori, una vita in bianco e nero? No!
Ma, in realtà, anche il bianco e il nero sono colori! Dunque una vita senza colori per noi sarebbe vuota. L’essere per noi è sempre radicalmente colorato.
Il colore è uno dei canali attraverso il quale il mondo viene a me, è un potente canale di relazione, di comunicazione: il colore crea attrazione e repulsione, crea abbinamenti e atmosfere. Il colore contribuisce a fare della realtà un ambiente.
Eppure c’è chi identifica il “colore” con qualcosa di cangiante, superfluo, come il trucco, ad esempio, nel senso più illusorio del termine: i capelli tinti, le unghie smaltate, etc… A volte sembra che il colore sia opzionale nel senso che, dato che può cambiare, se ne può fare a meno.

E invece non è così. Anzi: proprio il fatto che il colore sia mutevole e cangiante può essere un chiaro segno di vita. La poesia di Gerard Manley Hopkins (che Bertolucci definisce un «piccolo pacco d’esplosivo ad alto potenziale») ci aiuta a capire che la bellezza vera è sempre “pied beauty“, cioè “bellezza screziata”, da cui prende il titolo una sua splendida poesia. In essa Hopkins dà gloria a Dio:

per le cose chiazzate­
per i cieli d’accoppiati colori come vacca pezzata;
per i nèi rosa in puntini sulla trota che nuota
[…]
Per tutte le cose contrarie, originali, impari, strane;
quel ch’è instabile, lentigginoso (chi sa come?).

La passione per l’instabilità, l’originalità, per ciò che è cangiante non è puro interesse superficiale per la stranezza. Essa è invece passione per ciò che è sorgivo, esuberante come acqua di fonte. Questa bellezza variopinta, picchettata, macchiettata, instabile nella durata (fickleness) e nella forma (speckled) è il segno che la natura non è mai esausta (nature is never spent), non si esaurisce e non si spegne.

Certo, ci sono cose, come la morte, che sembrano sporcare e spegnere (blots black out): tutto sembra invece affogare in un enorme buio (enormous dark). Eppure a questi pensieri “bui” Hopkins grida: Enough!, cioè Basta! Il buio lotta con i colori un duello che, a suo parere, non lo vedrà vittorioso.
Perché il destino dell’uomo è “dayspring“, alba, momento iniziale e sorgivo del giorno.

Ma per comprenderlo è necessario un occhio acuto, capace di vedere i colori del mondo, le sfumature e i colori pastello, capace di cogliere, per dirla con Hopkins, la “freschezza più cara” che “vive in fondo alle cose”.


Io odio la letteratura

Dieci anni fa veniva a mancare un personaggio pressoché unico nella scena culturale italiana: Sergio Quinzio.

Sergio Quinzio

Sergio Quinzio

Saggista, teologo, biblista, critico ma perenne autodidatta, formidabile lettore senza lauree né accademie. Pochi “scrittori di cose religiose” hanno ottenuto altrettanto spazio e rilevanza sulla scena culturale “laica”. La sua influenza su scrittori italiani alle prese con interrogativi esistenziali è stata davvero grande, da Ceronetti a Testori, De Luca, Permunian, Mozzi, ecc. Eppure, proprio in una lettera a Ceronetti, Quinzio se ne esce con questa osservazione di sprezzo calcolato, scontata e urticante:

«Naturalmente io odio la letteratura con tutte le forze: è il pendio lungo il quale scende il sacro fino a disperdersi nel nulla. La parola ha un potere subliminale, catartico, in qualche misura salvifico, solo finché e perché è scritta con la potenza, l’urgenza e la spontaneità che possono nascere soltanto dalla certezza che la vita deve diventare “pace della giustizia e gloria della tenerezza” (Bar 5,4). Via via che questa certezza entra in ombra, la parola discende da religione a poesia, a letteratura, a convenzionale strumento di comunicazione. In qualche fase di questo processo la parola può acquistare una certa speciale forma di rigorosa esattezza. Ma il processo è ovunque e fatalmente discendente, perché ogni acquisto è fatto al prezzo di una più grande rinuncia. La parola è la storia, non il cielo immobile».
(Sergio Quinzio, L’esilio e la gloria, pp. 20-21)

E allora, come la mettiamo?