Tutti i colori di Roberto Alajmo (intervista)

Roberto AlajmoIl grandissimo Andrea Camilleri non ha dubbi nell’annoverarlo tra i “giovani e deliziosi” scrittori siciliani che prosperano nelle situazioni di disagio dell’isola: “… e poi c’è Roberto Alajmo, autore del “Repertorio dei pazzi della città di Palermo” e di un altro gran bel libro che è “Notizia del disastro”. Voglio dire, c’è gente brava…”.
Di Roberto Alajmo è appena uscito il nuovo libro, un’Enciclopedia della memoria irrilevante. Contemporaneamente lo scrittore porta avanti un interessante esperimento con i suoi lettori. L’autore del “Repertorio dei pazzi di Palermo ha offerto i primi due capitoli del nuovo romanzo sul suo blog per una sorta di editing collettivo. Il titolo di lavoro è “Cronaca del matto affogato”. L’abbiamo intervistato.

Nel 2000 aveva detto che “internet è utile ma c’entra poco con la letteratura”, ha cambiato idea?
“Solo le mucche non cambiano opinione. Avevo bisogno di far prendere aria alle idee. Scrivere è un atto solitario, non si può fare in pubblico, nemmeno col portatile si può scrivere fuori per il riflesso sul display. Ma arriva un momento in cui è necessario aprire porte e finestre per far ossigenare le idee”.

Come procede l’esperimento?
“Complessivamente è positivo. Sono arrivate una serie di osservazioni che m’hanno spinto a ripensare alcuni passaggi”.

Ha intenzione di proseguire così per tutto il romanzo?
“Non credo. I tempi di pubblicazione sono troppo stretti. Ma è stato utile,dopo averlo scritto, rimettermi in posizione d’ascolto”.

Ha anticipato che nel romanzo c’entra Palermo. In che modo?
“Il romanzo si svolge a Palermo. Anche se non sarà la città a essere protagonista. Palermo resta sempre un’ambientazione rischiosa; la città ha un’identità troppo forte. Ci saranno comunque molti luoghi della città riconoscibilissimi”.

Ha scritto il libretto dell’opera “Ellis Island” con musiche di Giovanni Sollima che è stata rappresentata nel 2002 con successo di pubblico e di critica al Teatro Massimo di Palermo. Ce ne parla?
“Era una sorta di reportage musicale che raccontava l’epopea dell’emigrazione italiana all’estero. E’ stata un’esperienza bellissima che non ripeterò mai più. Una committenza da parte di un teatro d’opera ti capita una volta nella vita. E coi chiari di luna che ci sono in questo ambiente, una volta è stato persino un lusso”.

Anche il film “Nuovomondo” di Crialese affronta lo stesso argomento. Pensa che questo interesse crescente per gli italoamericani derivi semplicemente dal ruolo che hanno avuto alle ultime elezioni?
“Non credo. La riscoperta delle radici da parte degli emigrati prosegue da qualche anno. E parallelamente anche in Italia abbiamo scoperto di avere rami di memoria sparsi per il mondo”.

Cambiamo argomento, lei ha spesso manifestato una particolare antipatia per la formula “scrittura creativa”. Perché?
“Hemingway diceva che la scrittura è al 5 % ispirazione e al 95 % traspirazione. L’aggettivo “creativa” si porta dietro tutta un’aura di romanticismo: lo scrittore si mette a scrivere sciogliendosi i capelli; nella notte buia e tempestosa con una vestaglia di broccato. La scrittura va piuttosto disciplinata. Uno deve sbattere la testa come un cornuto. Non basta vomitare sulla carta la propria sedicente ispirazione”.

La sua professione di giornalista l’ha agevolata nella scrittura?
“Sono in aspettativa da diverso tempo, ormai la esercito sporadicamente. A dirla tutta la professione ormai non c’è più; il cronista d’assalto a cerca di scoop non esiste più e si tira a campare attaccando l’asino dove vuole il padrone. La novità di questi anni è che se l’asino sei tu stesso, è ancora meglio. L’ignoranza è gradita, se non indispensabile. Oggi per la maggior parte del tempo il giornalista non fa altro che cucire assieme i lanci di agenzia. E paradossalmente questo è un buon esercizio. Cucire assieme tre diversi lanci d’agenzia per farne cinque righe è davvero un allenamento utilissimo per la scrittura. Asciugare, usare le parole nella giusta quantità”.

Le piacerebbe insegnare in una scuola di scrittura?
“L’ho fatto e lo faccio, una scuola di scrittura non deve essere mai articolata in lunghissimi corsi. Di solito io faccio una lezione teorica per spiegare le basi, spiegare la mia cassetta degli attrezzi. Le altre servono per fare molta pratica e lavorare sul testo. Si impara a scrivere solo facendolo”.

Torniamo all’attualità e ai giornalisti scrittori: mettendo da parte il fatto che Roberto Saviano ora deve vivere sotto scorta, come giudica “Gomorra” di Roberto Saviano?
“Per tre quarti è bellissimo, l’ultima parte andava rivista, tagliando qualcosa sarebbe stato un capolavoro. Resta comunque un libro vero, scritto sulla sua stessa carne. E si sente”.

E come sta la cultura a Palermo?
“Vedo in giro cose molto interessanti, gente che lavora bene e ha giustamente riconoscimenti anche a livello internazionale, penso ad esempio a Emma Dante. Ma nella maggior parte dei casi, le opzioni culturali della città o sono schiacciate dal taglio accademico, o sono afflitte da un velleitarismo a caccia di finanziamenti. Troppi progetti col respiro troppo corto”.

Il suo ultimo libro è “Enciclopedia della memoria irrilevante”. 300 ricordi minimi, inutili ma irrinunciabili. Ce ne regala almeno uno?
Il deflettore. E’ un oggetto desueto, scomparso improvvisamente una quindicina di anni fa, quando i designer automobilistici hanno deciso di farne a meno. Eppure aveva un suo ruolo: dirottava il fresco in estate e, quando ti rubavano in macchina, era il deflettore che rompevano, e dovevi sostituire soltanto quello, non tutto il finestrino”.

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Roberto Alajmo è nato a Palermo il 20 dicembre 1959. Dal 1988 lavora come redattore alla sede siciliana della Rai. Ha svolto il ruolo di critico teatrale al Giornale di Sicilia. Collabora abitualmente da editorialista con le pagine di Palermo di Repubblica.

Bibliografia
Un lenzuolo contro la mafia, Gelka, 1993
Epica della città normale, Edizioni della Battaglia, 1993
Repertorio dei pazzi della città di Palermo, Garzanti, 1994
Almanacco Siciliano delle morti presunte, Edizioni della Battaglia,1997
Le scarpe di Polifemo, Feltrinelli, 1998
Notizia del disastro, Garzanti, 2001
Cuore di Madre, Mondadori, 2003
Nuovo repertorio dei pazzi della città di Palermo, Mondadori, 2004
È stato il figlio, Mondadori, 2005
Enciclopedia della memoria irrilevante, Mondellolido, 2006.

Teatro
“Seicentocinquantamila senza contributi” (debutto a Palermo, Museo delle Marionette, 1990),
“Repertorio dei pazzi della città di Palermo” (premio Eti – Progetto giovani, debutto a Roma, Teatro Valle, 1995)
“Centro divagazioni notturne” (debutto a Palermo, Teatro Stabile-Festival del Novecento, 1997).

Opera
“Ellis Island”, con musiche di Giovanni Sollima (debutto a Palermo, Teatro Massimo, 2002).

(Quest’intervista è stata pubblicata oggi su Gente d’Italia, il giornale degli italiani nel mondo)


La lingua salvata e altri stimoli cromatici

Die gerettete Zunge (La lingua salvata)

Il mio più lontano ricordo è intinto di rosso. In braccio a una ragazza esco da una porta, davanti a me il pavimento è rosso e sulla sinistra scende una scala pure rossa. Di fronte a noi, sul nostro stesso piano, si apre una porta e ne esce un uomo sorridente che mi si fa incontro con aria gentile. Mi viene molto vicino, si ferma e mi dice: “Mostrami la lingua!”. Io tiro fuori la lingua, lui affonda una mano in tasca, ne estrae un coltellino a serramanico, lo apre e con la lama mi sfiora la lingua. Dice: “Adesso gli tagliamo la lingua”.
Io non oso ritirarla, l’uomo si fa sempre più vicino, ora toccherà la lingua con la lama. All’ultimo momento ritira la lama e dice: “Oggi no, domani”. Richiude il coltellino con un colpo secco e se lo ficca in tasca.
(Traduzione: Amina Pandolfi e Renata Colorni)
Martin Mystère n. 100 , “Di tutti i colori!”
Soggetto e sceneggiatura: Alfredo Castelli
Disegni e copertina: Giancarlo Alessandrini

Il numero cento della serie regolare viene festeggiato con un albo a colori, che contiene tre brevi racconti in cui proprio il colore fa da filo conduttore. Nel primo, un bizzarro inventore mette a punto un apparecchio in grado di evidenziare mysteriosi alieni fatti di luce, invisibili a occhio nudo.

Nel secondo, un fotolitista impazzisce nel tentativo di riprodurre il perfetto blu di Prussia di un quadro di Yves Klein. Nel terzo, Martin e Java esplorano una grigia valle perduta delle Ande, i cui abitanti considerano l’essere “a colori” come un sacrilegio… (e sarà la musica a donar loro il colore…)


Antony & The Johnsons + Charles Atlas: Turning

Martedì, 31 ottobre 2006, Roma, Auditorium, sala Sinopoli: Antony & The Johnsons + Charles Atlas: Turning

Quando si abbassano le luci, siamo in molti nella sala Sinopoli dell’Auditorium di Roma a non sapere che cosa succederà di lì a poco. Certo Antony e la sua voce, certo le canzoni – due dischi che si sono ritagliati uno spazio “altro” dal mainstream discografico, il secondo, I Am a Bird Now, ha addirittura vinto il Mercury lo scorso anno -, ma nulla era trapelato circa cosa realmente sarebbe successo con Charles Atlas, regista sconosciuto ai più, e questo strano connubio dal titolo Turning che solo Parigi, Londra, Roma ed ora anche Madrid e Braga hanno il piacere di ospitare. [Continua »]


Dante a colori

Che Dante sia lo scrittore che ha trovato le vie nuove per portare l’uomo dalla visione tenebrosa del Medioevo, oscura in senso morale, ma anche fisico-ambientale, letterariamente priva di notazioni realistiche e di vivacità cromatica, forse (come sostengono alcuni storici della scienza) soprattutto per particolari ragioni climatiche legate al corso del Sole, ce lo dimostra anche il suo modo di percepire ed esprimere i colori.

Il mondo dell’al di là di Dante è tripartito, il che rappresenta un’acquisizione nuova della cultura teologica della sua generazione, ma è tripartito anche cromaticamente: l’Inferno è buio, il Purgatorio, avvalendosi dell’alternarsi del giorno e della notte, può disporre dei colori terrestri, mentre in Paradiso tutti i colori si annullano nel crescendo di quella luminosità che si carica di profonde responsabilità di ordine teologico.

Questo vuol anche dire che per Dante i colori appartengono al finito, in quanto dureranno quanto la vita sulla Terra e il tempo dell’espiazione purgatoriale, mentre in eterno ci saranno solo il buio e la luce. Al di là del valore simbolico e allegorico che i colori assumono nella Commedia, questione ormai nota e divulgata anche a livello di manualistica scolastica, mi sembra interessante evidenziare le modalità di significare che il poeta ha individuato e personalmente creato per esprimere gamme cromatiche sfumate, ma concettualmente rilevanti.

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Napoli sul mare luccica

È possibile scrivere di Napoli cercando di dribblare i luoghi comuni, il folklore, il giudizio infamante, il pietismo, il piangersi addosso o il fatuo orgoglio?
Ebbene, Antonella Cilento ci è riuscita! Come? Con la forza di uno sguardo che si nutre di conoscenza approfondita della storia, della cultura e della vita di questa città. Con uno sguardo che attraversa in modo diacronico e sincronico Napoli e i suoi abitanti, con la forza che può avere una madre che ama il suo figlio pur malato e deforme.

In questa città mille volte filtrata attraverso lenti fosche e pessimiste o a colori folkloristici di bassa qualità Antonella Cilento ci vede, eccome, e ci restituisce, in questa “guida contromano” commissionata dall’editore Laterza, una visione ricca smagliante e terribile di una città che è cresciuta su se stessa inglobando storia vecchia e nuova che, se soltanto i suoi giovani potessero possederla davvero, donerebbe loro quella consapevolezza della propria storia, argine indispensabile alla discesa verso la barbarie. Solo chi ha dentro di sé radicato il senso del proprio valore e della propria storia rimane sensibile alla bellezza, non ha bisogno della una nuova mitologia della camorra e rimane impermeabile all’edonismo consumistico come agli effimeri paradisi artificiali. [Continua »]


Quelle pagine ignorate

Certi bambini

Sulla copertina c’é la faccia di un ragazzino in primo piano. Piccolo. Con una sigaretta in bocca. Di quelli che facilmente si incontrano nelle periferie più degradate, nei paesi abbandonati da Dio e dagli uomini, dove macerie e rifiuti sono l’arredo urbano.
La foto da sola parla.

Il libro è del 2001, l’ha pubblicato Einaudi, l’autore è Diego De Silva, salernitano, avvocato.
Il titolo è delicato rispetto al contenuto. “Certi bambini”…

Come Nicola che appena lasciatosi a camminare mangiava rifiuti in una discarica dell’Aversano, come Gennaro, piccolo e fragile con il corpo rosicchiato dai topi che con lui e la famiglia condividevano un container. O il ragazzino di Caserta morto di fame in un appartamento del centro. [Continua »]


Daniel Libeskind: quando l’architettura è veramente per l’uomo.

Quale dovrebbe essere la principale qualità di un grande artista? Proviamo a dirne una: la capacità di meravigliarsi. Di fronte a cosa? Di fronte alla realtà così come la si percepisce attraverso i sensi. Ma oggi è ancora possibile meravigliarsi di ciò che vediamo, tocchiamo, udiamo, odoriamo, gustiamo?

Me lo chiedo perché viviamo in un tempo che abbonda di idee, di opinioni e di opinionismo, correnti di pensiero, morali (tanto che Enzo Bianchi al Festival delle letterature di Mantova ci ha parlato di un futuro a rischio di uno “scontro di etiche” più che di uno “scontro di civiltà”) che spesso costituiscono un filtro troppo potente tra noi e la realtà, nel vivere la nostra vita, nell’accostarci ad un’opera artistica, nel tentare di esprimerci creativamente.

Corriamo il pericolo di riferirci solo al bagaglio di idee e di nozioni astratte di cui abbiamo fatto il pieno a scuola o all’università: idee e astrazioni che gonfiano l’Io e lo soffocano, rendendolo insensibile alle sollecitazioni continue che arrivano dal mondo nella sua oggettività. Leggendo “Breaking Ground” di Daniel Libeskind (edizioni Sperling & Kupfer) – il geniale architetto che ha progettato e costruito il museo ebraico di Berlino e che è arrivato primo nella gara di progettazione delle nuove torri gemelle di New York – scopriamo invece ancora una volta che il segreto della creatività sta in un animo e una mente aperti ai suggerimenti che arrivano da ogni più piccola cosa che ci circonda.
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