Napoli sul mare luccica

È possibile scrivere di Napoli cercando di dribblare i luoghi comuni, il folklore, il giudizio infamante, il pietismo, il piangersi addosso o il fatuo orgoglio?
Ebbene, Antonella Cilento ci è riuscita! Come? Con la forza di uno sguardo che si nutre di conoscenza approfondita della storia, della cultura e della vita di questa città. Con uno sguardo che attraversa in modo diacronico e sincronico Napoli e i suoi abitanti, con la forza che può avere una madre che ama il suo figlio pur malato e deforme.

In questa città mille volte filtrata attraverso lenti fosche e pessimiste o a colori folkloristici di bassa qualità Antonella Cilento ci vede, eccome, e ci restituisce, in questa “guida contromano” commissionata dall’editore Laterza, una visione ricca smagliante e terribile di una città che è cresciuta su se stessa inglobando storia vecchia e nuova che, se soltanto i suoi giovani potessero possederla davvero, donerebbe loro quella consapevolezza della propria storia, argine indispensabile alla discesa verso la barbarie. Solo chi ha dentro di sé radicato il senso del proprio valore e della propria storia rimane sensibile alla bellezza, non ha bisogno della una nuova mitologia della camorra e rimane impermeabile all’edonismo consumistico come agli effimeri paradisi artificiali. [Continua »]


Quelle pagine ignorate

Certi bambini

Sulla copertina c’é la faccia di un ragazzino in primo piano. Piccolo. Con una sigaretta in bocca. Di quelli che facilmente si incontrano nelle periferie più degradate, nei paesi abbandonati da Dio e dagli uomini, dove macerie e rifiuti sono l’arredo urbano.
La foto da sola parla.

Il libro è del 2001, l’ha pubblicato Einaudi, l’autore è Diego De Silva, salernitano, avvocato.
Il titolo è delicato rispetto al contenuto. “Certi bambini”…

Come Nicola che appena lasciatosi a camminare mangiava rifiuti in una discarica dell’Aversano, come Gennaro, piccolo e fragile con il corpo rosicchiato dai topi che con lui e la famiglia condividevano un container. O il ragazzino di Caserta morto di fame in un appartamento del centro. [Continua »]


Daniel Libeskind: quando l’architettura è veramente per l’uomo.

Quale dovrebbe essere la principale qualità di un grande artista? Proviamo a dirne una: la capacità di meravigliarsi. Di fronte a cosa? Di fronte alla realtà così come la si percepisce attraverso i sensi. Ma oggi è ancora possibile meravigliarsi di ciò che vediamo, tocchiamo, udiamo, odoriamo, gustiamo?

Me lo chiedo perché viviamo in un tempo che abbonda di idee, di opinioni e di opinionismo, correnti di pensiero, morali (tanto che Enzo Bianchi al Festival delle letterature di Mantova ci ha parlato di un futuro a rischio di uno “scontro di etiche” più che di uno “scontro di civiltà”) che spesso costituiscono un filtro troppo potente tra noi e la realtà, nel vivere la nostra vita, nell’accostarci ad un’opera artistica, nel tentare di esprimerci creativamente.

Corriamo il pericolo di riferirci solo al bagaglio di idee e di nozioni astratte di cui abbiamo fatto il pieno a scuola o all’università: idee e astrazioni che gonfiano l’Io e lo soffocano, rendendolo insensibile alle sollecitazioni continue che arrivano dal mondo nella sua oggettività. Leggendo “Breaking Ground” di Daniel Libeskind (edizioni Sperling & Kupfer) – il geniale architetto che ha progettato e costruito il museo ebraico di Berlino e che è arrivato primo nella gara di progettazione delle nuove torri gemelle di New York – scopriamo invece ancora una volta che il segreto della creatività sta in un animo e una mente aperti ai suggerimenti che arrivano da ogni più piccola cosa che ci circonda.
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La parola è “graziosa”…

Dopo aver letto l’ultimo libro di Antonio Spadaro, La grazia della parola (Jaca Book), il saggio in cui riflette sulle considerazioni sulla poesia del teologo Karl Rahner, mi sono chiesta che cosa Spadaro avesse voluto in qualche modo comunicare a noi di BombaCarta con questo testo così ricco e profondo.

Ho provato a darmi qualche risposta. Penso che innanzitutto abbia voluto sottolineare il valore della parola, rimarcandone quella sacralità che le deriva dall’essere luogo e mezzo d’incontro tra Dio e l’uomo. Dio che si è rivelato nella storia non attraverso immagini o suoni, ma tramite parole.

Sottolineare questo può essere anche un implicito invito a leggere (o rileggere) il saggio fondamentale di Rahner, Uditori della parola (Borla 1967), in cui il teologo individua Dio come l’Essere che può liberamente manifestare la sua vita intima, impossibile da conoscere in altro modo, e l’uomo come essere storico, che per sua propria costituzione ontologica è in grado di ascoltare un’eventuale rivelazione nella storia, il che lo rende appunto “uditore della parola”.

Possiamo quindi comprendere che l’arte della parola, ovvero la parola che si fa arte, cioè poesia, si colloca in questa smisurata apertura di compasso tra l’uomo e Dio. Da questo discende quella possibilità che Spadaro individua di fare alcune affermazioni di grande forza e di notevole rilievo: la parola “ha il potere di nominare l’innominabile. Il vero poeta nomina l’innominabile e ogni vero uditore di questa parola ascolta il silenzio. […] la parola evoca ciò che nomina e lo fa scaturire dal fondo dal quale proviene e nel quale rimane nascosta” [Continua »]


Rosso

Rosso. Coloratus in latino significa tanto «rosso» quanto «colorato». Così lo spagnolo tinto.

Sembra che il colore per eccellenza sia il rosso. Perchè?

I pigmenti rossi pare che siano i più disponibili in natura e d’altra parte il rosso è un colore non non si trova facilmente nell’ambiente come invece il verde o il blu o il marrone… Rosso è il colore del potere ma anche il colore della rivoluzione; è il colore dell’imperatore e della prostituta; è il colore del martirio e quello della lussuria. Tutto questo fa riflettere. Il colore per eccellenza è quello che si distingue, che segna una discontinuità, una frattura.

Perchè mi rendo conto che una cosa è colorata? Perchè si distingue. In genere non mi accorgo che la gente per strada è vestita a colori. Non ci penso. Mi accorgo però se una persona indossa vestiti di colore sgargiante, acceso. E cosa c’è di più acceso del rosso, il colore del fuoco? “Nel rosso si dispiega il fuoco”, ha scritto Goethe. Esso “agisce nell’interiorità in modo vitalissimo, vivace e irrequieto”, prosegue W. Kandinsky.

Insomma pare che “colore” sia ciò che si distingue e si staglia su uno sfondo, ciò che infrange l’omogeneo, l’indistinto, il neutro. Il colore individua, mi fa prendere coscienza dell’esistenza di altro da me. Sveglia la mia coscienza e mi impone ciò che altro da me. Ed è proprio il rosso – in quanto colore squillante, sonoro, capace di richiamare o addirittura di destare (cioè “svegliare”) l’attenzione – che ci aiuta a fare questa considerazione più generale.

In un colore non ci si può incontrare: lo si può contemplare, amare, odiare. Lo si può ascoltare. Il colore rompe dunque la nostra solitudine e ci fa gioire o dolere di una presenza. Il rosso, in particolare, non ammette indifferenze, a meno che non lo si stemperi con altro, come ad esempio con il nero, che lo attutisce e lo appiattisce, spegnendolo. Non ci aiuta però a dialogare, a venire a patti. A meno che il dialogo non sia inteso non come una fusione di colori e accentuazioni differenti, bensì come un patchwork, un accostamento di pezze di colore differente.

Ma che cosa significa parlarsi, dialogare? Significa trovare una zona di colore tenue, attutita, umile, di incontro o viver un accostamento, talora brusco e sorprendete o addirittura spiazzante, di colori ancora del tutto accesi?


Un bel romanzo

schmitt_ericIl formidabile protagonista del nuovo romanzo di Eric-Emmanuel Schmitt, fortunato autore del recente Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, è Oscar un bambino di dieci anni, malato terminale di leucemia. Che morirà presto nessuno glielo dice ma proprio questo glielo fa capire. Tutti mentono e non dicono le cose come stanno, perché “..se dici “morire” in un ospedale, nessuno sente. Puoi star sicuro che ci sarà un vuoto d’aria e che si parlerà d’altro”. Tutti mentono, soprattutto gli adulti e, in primis, quei “vigliacchi” dei suoi genitori. Per fortuna c’è Nonna Rosa.

Così Oscar chiama, a causa dell’età avanzata, la dama di carità che come molte sue colleghe francesi, col tipico camice rosa, assiste volontariamente i malati terminali. Nonna Rosa è per Oscar la Verità. [Continua »]


Il potere e la gloria

filmIl potere e la gloria, scritto dal cattolico inglese Graham Greene nel 1940, a seguito del suo viaggio in Messico, è un libro “sanamente” scandaloso (non a caso all’epoca fu messo all’indice dal Sant’Uffizio): le peripezie di questo prete, di cui l’autore non indica nemmeno il nome, vigliacco e peccatore, possono tranquillamente turbare la coscienza dei cattolici più chiusi e rigidi. Eppure ci troviamo di fronte ad uno dei grandi romanzi cattolici del ‘900. [Continua »]