Dove e quando nasce il seme fecondo della scrittura?

Quando zampillò dapprima quella fonte che doveva riempire papiri e biblioteche, riversarsi nel grembo accogliente degli scriptoria medievali e poi abbracciare la carta stampata, beffando chi non mancò di affermare che quei nuovi libri prodotti in serie su materiale cartaceo non avrebbero retto all’usura del tempo, per smaterializzarsi, infine, sullo schermo del computer adesso?

Ettore e Andromaca, Giorgio De ChiricoPercorrendo un cammino a ritroso troveremmo che presso date civiltà l’uso della scrittura fu inizialmente legato a necessità di controllo politico-economico da parte di un potere centrale su un territorio ad esso soggetto, ma chi e quando per la prima volta nella storia della letteratura occidentale diede spessore culturale a quel gesto di indubbia utilità pratica? Perché e in quale contesto una tale istanza poteva sorgere? [Continua »]


Siamo fatti di storie

Prima o poi la domanda arriva: che cos’è una “storia”? Cosa cerchiamo in lei? Perché qualcuna ci rapisce, ci apre gli occhi e altre ci fanno pensare che abbiamo solo perso tempo a leggere l’ultimo libro consigliato dai critici parrucconi?

storia_infinitaQuesta è una domanda mastodontica. Di quelle che spiazzano. È come se, seduto davanti il riporto, la forfora e le caccole del mio prof (uno qualunque), dalla sua bocca laureata partisse una macro-domanda come: “Signor Pintacuda, mi parli dell’Essere”. Stesso identico imbarazzo: ci sono troppe cose da dire. E allora procediamo con ordine come ho appreso in questi lunghi pomeriggi curvati sui libri di filosofia e sotto la barba dei vari calendari di Frate Indovino.

La prima cosa che ho chiesto al mio professore di Filosofia del Linguaggio nella primissima lezione è stata la soluzione del celebre paradosso del mentitore, avevo passato notti insonni a tentare di smascherare il mendace cretese. Il bello dell’Università è la luccicante capacità di rispondere con domande-guscio: dure, coriacee, solide fuori e dentro vuote. Proprio come la noce più bella che hai scelto dal cesto.
“Tutti i cretesi mentono.”
“Io sono cretese.”
Sbucciate voi sto gomitolo che già ho bruciato abbastanza sinapsi.
Arrivo dal Prof. e mi risponde col bicondizionale tarskiano, riducendo all’osso: l’autoreferenzialità conduce al paradosso. Il concetto di verità scivola via, sguscia sempre traslitterando di un livello, posso circoscrivere la verità di un’affermazione studiandola in un metalinguaggio di grado avanzato.
Ecco il problema, parlare di storie è lo stesso, tutto è “storie”. Le scuse che snocciolavo a mia madre quando sparivano i pandistelle o le invenzioni spudorate che svendo-evo-erò ai miei lettori, tutte storie. Storie, ecco cosa distingue l’uomo dagli altri primati, non è l’accoppiamento frontale Perché Piero Angela mi ha fatto sapere che anche i bonomo si accoppiano come noi, non è nemmeno la vocalizzazione, né tanto meno riconoscersi in uno spicchio di specchio.

L’uomo è un produttore di storie, costantemente rielabora quello che gli accade, l’IO vive e il ME rielabora, dattilografando solo le cose che meritano un posticino nella Memoria a Lungo Termine, il resto vola nel Cestino e da lì scompare. Produco storie dormendo: attraverso la soglia onirica ed ecco che sfavillanti ritornano facce, colori, sapori e scrivo e leggo e vivo, REM dopo REM.
Raccontiamo agli altri e a noi stessi sempre storie diverse, colorando la nostra quotidianità. Ci sono storie che ci restano addosso e altre che scivolano via. E c’è la Storia che prima sembrava immutabile e ora può pure lei essere rielaborata, riaggustata, sfumata, sfilacciata e ri-raccontata.
Mi ci romperò la testa sulla capacità di diffusione capillare delle storielle, viaggiano veloci di bocca in bocca, mail dopo mail e ci incrociano la vita e ritornano sul nostro cammino.
Storie come quelle che mio padre mi raccontava per evitare l’inevitabile trasloco notturno: cascasse il mondo, sino ai miei 5 anni notte dopo notte, imprecazione paterna dopo imprecazione paterna, dovevo passare dal lettino al lettone e lì, beato, m’inventavo le MIE storie. Storie che poi facevo interpretare alle ombre che abitavano (e penso abitino ancora) lo specchio sul comò.
Ho dovuto affrontare una Storia per accedere alla primina, la storia di una barchetta di carta che becchettava (mi sa che Steve King ha preso da lì lo spunto per l’incipit di IT), il sadismo dei maestri era senza fine, avevano escogitato un dettato zeppo di parole come Becchettio, Sciabordio, Rollio e Gocciolio. Parole che da allora ho rincontrato solo tra le pagine più soporifere di MOby Dick. Il dettato finiva tragicamente con un vento maligno che metteva tutto a SOQQUADRO.
E poi c’è Ende con la sua STORIA INFINITA e il successo dell’eroico affabulatore Bastiano Baldassare Bucci che ripopola il vuoto di Fàntasia con le SUE storie. Storia dopo storia il nulla arretra e il vento lo soffia via, lontano, al di là dei pianeti e delle stelle conosciute. E vola via pure Bastiano sulla schiena pelosa del suo Fortunadrago.
Sono TUTTE STORIE che (ci) raccontiamo per riempire quei giorni che ci separano dalla fine della NOSTRA storia. Pensandoci bene la luce cattiva dell’ovvietà ci fa spesso dimenticare che tutta la nostra vita è una storia unica. Magari con migliaia di punti d’intersezione con altre vite ma sempre unica e inimitabile. Si è intrecciata anche la mia con la vostra per il semplice motivo che nel vostro QUI e nel vostro ORA mi state leggendo.
Quando chiederò al mio serpente giallo di alleggerirmi da questa buccia di ossa, organi e tessuti lampeggerà semplicemente la parola fine, come nei vecchi film che passano in tivù, caratteri quadrati bianchi su sfondo blu.

Chissà, forse qualcuno mi ricorderà nelle SUE storie.


C.S.Lewis, una breve introduzione

Mentre nell’assolata e affollata Dallas il più “giovane” Presidente degli Stati Uniti cadeva sotto i colpi di ignoti sicari, dall’altra parte dell’oceano, si spegneva, nel silenzio della più profonda solitudine, un oscuro vedovo e professore di filologia di Cambridge: Clive Staple Lewis, per gli amici, “Jack”. Sette giorni dopo, il 29 novembre di quell’anno, Jack Lewis avrebbe compiuto 65 anni essendo nato esattamente cento anni fa, a Belfast. Ma chi fu questo professore dal nome così comune? [Continua »]


Les Murray: La poesia rinnova la vita delle cose

La poesia «è il mio lavoro, il mio campo e, credo, la mia vocazione: il canale primario da cui attingo (o ricevo) ogni senso delle cose ultime». E ancora: «la poesia rende vere le cose, rinnovandone la vita e la percezione che abbiamo di esse». Già da queste battute si comprende come non bisogna lasciarsi sfuggire il volume che le contiene: Lettere dalla Beozia, una raccolta di saggi di Les Murray, australiano, uno dei più grandi poeti viventi, autore del romanzo in versi Freddy Nettuno (Giano, 2004) e di numerose raccolte, dalle quali Adelphi ha tratto l’antologia Un arcobaleno perfettamente normale.
Per Murray la Beozia e Atene rappresentano due categorie dello spirito che si scontrano per poi contaminarsi: la prima, rurale e tradizionalista, richiama la terra, la sua sacralità, la cultura «vernacolare»; la seconda, raffinata e moderna, si distingue per l’èlite intellettuale e per la cultura intesa come potere. Se Omero subordina la natura non umana all’eroismo, cantando valori aristocratici e guerreschi; il beota Esiodo canta la vita dell’uomo sottoposto alla signoria del ciclo delle stagioni e degli dei, i cui valori sono la pace, la continuità e la comunità. Prendendo i panni di Esiodo, Murray riflette sull’Australia postcoloniale, fornendo suggestioni di valore universale.
I saggi offrono descrizioni straordinarie dell’Australia selvaggia, ma anche ampie riflessioni sulla cultura occidentale; confessioni biografiche e affondi sul significato della poesia; incisivi interventi sulla condizione politica del suo Paese e intense pagine di significato teologico («Non possiamo costruire una visione della vita soddisfacente su fondamenta agnostiche o atee, perché non possiamo convincere i nostri sogni a crederci»). Queste pagine vivono del pulsante riflesso di una poesia vitale. Esse, tra l’altro, aiutano a intuire che cosa significhi vivere l’impegno culturale e civile come momento interno della vocazione poetica.

Les MURRAY, Lettere dalla Beozia. Scritti sull’Australia e la poesia, Azzate, Giano, 2005.


Nasce il gruppo di lettura di Asterione

Il gruppo Asterione ha dato inizio ad un’applicazione particolare del laboratorio O’Connor. Il modello del lab O’Connor di BombaCarta viene utilizzato come esperienza di facilitazione relazionale per persone provenienti da percorsi terapeutici o riabilitativi di carattere psichiatrico, psicologico o psicoterapeutico. Previa valutazione, l’accesso al gruppo è libero e può essere diretto oppure mediato dall’eventuale terapeuta.

I candidati ideali sono persone con difficoltà relazionale di entità lieve o media, disturbi fobici (in particolare fobia sociale o attacchi di panico), al termine o nel corso di un cammino psicoterapeutico, elevata timidezza etc.

Il progetto è coordinato da Cristiano M. Gaston (psichiatra, psicoterapeuta), Pier Paolo Colombo (psichiatra, psicoterapeuta), Roberto Fioravanti (educatore professionale di comunità). Il gruppo è condotto da Roberto Fioravanti.

Gli incontri si svolgeranno a Roma con frequenza ogni due-tre settimane, il venerdi alle ore 19, in zona Parioli ed inizieranno al raggiungimento del numero minimo di partecipanti.

Informazioni più dettagliate sono disponibili sul sito di Asterione.


Di Terra e di Noi

Si nasce con un dialetto in bocca.

E’ il dialetto della propria origine, coi suoni e le inflessioni della voce giusti, tipici, determinanti, simili al profilo della propria terra, coi motivi cantati di una regione. Il dialetto sta in bocca come un buon sapore, come l’acqua delle fontane o come una musica conosciuta; si possono dimenticare le lingue imparate, ma il dialetto resta nel fondo della gola coi suoi speciali suoni, i gorghi, gli arresti e i canti.

Il nostro è uno dei più ostili all’orecchio del forestiero, suona sgradito quasi come una favella straniera […] non assomiglia infatti a nessuno dei linguaggi delle regioni vicine, ma assomiglia al “volto della gente”. Non so se le lingue vengono considerate come espressioni dirette della razza. Il mio dialetto è come un personaggio: disceso dalle strade delle nostre valli porta con sè una gran quantità di paragoni, di immagini, suoni, similitudini che sembrano essere come i nostri boschi, gli impetuosi torrenti, le case solitarie, le preghiere cantate dell’uomo, i cori delle chiese, il grido dei selvatici; e s’annuncia coi suoni più strani […] non ha grazia all’orecchio di chi ascolta, ma dà sensazioni di forza; senza avere le costruzioni sintattiche involute proprie delle lingue nobili ha una cruda immediatezza, un preciso potere di definizione.

E dà gusto a parlarlo e anche ad ascoltarsi mentre lo si parla; perchè trascorsi anni di vita […] ognuno se lo ritrova in bocca come un mazzetto di erbe nostrane e lo ributta fuori con assoluta fedeltà, come un ruminante.

Sono queste alcune riflessioni tratte da un testo di Vittorio Polli dai Quaderni Brembani 2002, a cura del Centro storico culturale della Valle Brembana. [Continua »]


Un leone incomprensibile

Questo è un articolo-pilota, perchè devo prendere la mano con il Blog. Per questo non mi sforzo più di tanto e vi mando il testo di un articolo che ho pubblicato, il 21 marzo, sul Foglio. Racconto una bella esperienza che ho vissuto e vi parlo di Narnia, il film, il libro e della Carità. Buona lettura!

Come ogni anno anche quest’anno si svolge in Vaticano l’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, dal 13 al 18 marzo. All’interno della manifestazione una giornata è dedicata al cinema e viene coronata dalla visione di un film nella sala privata del Palazzo S.Carlo, sede del Pontificio Consiglio. È una sala famosa anche per l’ospite che in passato l’ha visitata come spettatore di diversi film, il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II.

narniaE così giovedì scorso, con un po’ di trepidazione, ho partecipato anch’io alla giornata e alla visione del film scelto per quest’anno e che sono stato invitato a presentare: Le cronache di Narnia tratto dall’omonima saga fantasy dello scrittore inglese C.S.Lewis. Mi sembra una scelta significativa, per questo ve ne parlo. L’invito era giustificato da un recente saggio sullo scrittore e il suo bestseller, da me realizzato insieme a Paolo Gulisano, per le edizioni SanPaolo, mentre la trepidazione era dovuta alla speranza di avere, tra il pubblico, Benedetto XVI. La speranza è rimasta delusa, la folla era numerosa e anche ricca di cardinali (ne ho contati almeno quattro: Lopez Rodriguez, Vlk, Agrè e Backis) vescovi e prelati, ma lui non c’era e non solo a causa della pioggia: forse non era il film adatto ad un Papa, non perché distante dalle sue sensibilità ma, al contrario, perché troppo vicino. Il Papa, questo Papa, non aveva bisogno di vederlo. Il cardinale Ratzinger infatti è stato in passato un ammiratore di Lewis e mi sono sorpreso io stesso del fatto di essermi trovato quasi costretto, nelle poche parole introduttive, a citare per due volte l’enciclica Deus Caritas est. Quando il Papa afferma che quello di cui l’uomo ha bisogno è “un cuore che vede” (n.31) coglie una delle profonde “morali” della bella favola raccontata da Lewis. [Continua »]